I cartaginesi - parte 3

I cartaginesi - parte 3

Siamo arrivati al terzo contributo della storia sui Cartaginesi, dedicato all'approfondimento dell’istituzione familiare dei colonizzatori provenienti dalla vicina Africa mediterranea.

 

Dalla lettura dei testi storici ed epigrafici si ricava facilmente la conclusione che la famiglia in età punica era organizzata su base patriarcale; l’uomo cioè ne era legalmente riconosciuto.[1]

Le numerose epigrafi puniche della Sardegna, attraverso la totale assenza di nomi femminili dalle loro genealogie, attestano l’organizzazione patriarcale anche nelle famiglie semitiche dell’Isola, confermando il principio su esposto.

Naturalmente, la preminenza dell’uomo non significata necessariamente l’avvilimento della donna, di cui anzi è certo che la società, sia fenicia prima che punica dopo, riconobbe sempre la dignità ed anche molti diritti, fra cui quello di accedere alle cariche sacerdotali, che le consentivano di comandare al personale non solo femminile ma anche maschile dei templi.

Nulla autorizza a credere che nella società punica come in quella precedente fenicia fosse praticata la poligamia e che, fosse pur solo nelle case dei ricchi, esistessero degli harem.

Quanti ai figli non sembra che il loro numero fosse tenuto volutamente basso, come accadeva invece nello stesso periodo nella società greca. La pratica della circoncisione nella Sardegna punica è documentata dai reperti archeologici, costituiti da inequivocabili riproduzioni fittili della parte circoncisa, ma non è possibili a tutt’oggi precisare se si trattasse di un rito obbligatorio per tutti come per gli Ebrei né, tanti meno, a quale età e secondo quali norme venisse praticato.

Così pure nulla possiamo dire dell’educazione che veniva impartita ai figli, sulla quale è giunta a noi solo la generica notizia relativa a tutto il mondo punico secondo cui al fanciullo veniva insegnato a vivere del proprio lavoro, senza mai commettere azioni vergognose.

E’ noto che i Cartaginesi ammettevano i matrimoni con stranieri e le poche notizie lasciateci in proposito dagli storici antichi sembra autorizzare l’ipotesi che a quei matrimoni ed ai figli che ne venivano fosse riconosciuto pieno carattere di legittimità. Probabilmente vi furono casi di matrimoni misti anche in Sardegna, ma nessuna testimonianza diretta ne è giunta fino a noi e non è quindi possibile, per ora, formulare alcuna ipotesi particolare su quell’interessante aspetto della vita nell’Isola in epoca punica.

La scoperta delle case puniche di Monte Sirai ci consente di farci un’idea non solo dell’ambiente edilizio in cui viveva una famiglia ma, almeno per grandi linee, anche del suo tenore di vita e delle sue abitudini; lo scavo ha rivelato il carattere prevalentemente funzionale, senza aggiunta di costosi elementi decorativi e sembra attestare la semplicità della vita familiare che si svolgeva, vita che del resto, doveva essere molto simile a quella delle famiglie di media condizione sociale presso un qualsiasi popolo mediterraneo; la presenza di un vano a cielo scoperto intorno al quali dipendevano tutti gli altri vani della abitazione, potrebbe essere un indizio di una vita tendenzialmente riservata e concentrata nell’intimità familiare, gelosamente difesa così come ancora avviene nella casa sarda tradizionale e specialmente nelle nostre case campidanesi, con lunghi muri esterni privi di aperture ed i vani aperti al loggiato interno.


[1] Ferruccio Barreca, La Sardegna fenicia e punica, Sassari 1995.