CRISTOFORO…IL PORTATORE DI CRISTO

CRISTOFORO…IL PORTATORE DI CRISTO

Iniziamo oggi una breve ricerca sulla iconografia di San Cristoforo, il Santo che nella nostra città viene ricordato attraverso l’intitolazione di una delle tre torri medievali facenti parte dell’antica cinta muraria, che per oltre due chilometri proteggevano la città.

 

E’ innegabile il successo riscosso, a partire dal giugno scorso, della riapertura della Torre sita nella attuale Piazza Roma, nel centro storico della antica capitale del Giudicato di Arborea, oggetto di visita sia dei molti turisti ma soprattutto dei tanti concittadini che non avevano mai colto l’occasione in passato di poter salire i cento gradini fino al terrazzo posto al terzo livello a poco meno di trenta metri di altezza.

Nota soprattutto con la denominazione di Torre di Mariano II, l’illuminato Giudice di origini arborensi e cittadino pisano che, a partire dal 1290, decise di dotare la città di un sistema difensivo costituito da una alta e possente cortina muraria, probabilmente memore del saccheggio perpetrato dal Giudice Guglielmo di Massa solo un centinaio di anni prima.

La ricerca per stabilire una datazione in cui si trova la denominazione di Torre di San Cristoforo si è spostata presso l’Archivio Storico della nostra città, dove vengono conservati i registri relativi alle attività comunali, i cosiddetti Llibres de Conçelleria a partire dal lontano 1479. A tal scopo ci viene in aiuto una pubblicazione del 1937 a cura del Prof. Antonio Era[1] dal titolo: MUNICIPIO DI ORISTANO Tre secoli di vita cittadina 1479-1720 dai documenti dell’Archivio Civico, editata in Cagliari per i tipi della Tipografia Ditta Pietro Valdes; in essa, per quanto attiene gli anni 1564-1565, troviamo quanto segue: “pagamento a mestre Barthomeu Piras (o Uras o Vicy) pintor per renovar lo retaulet de sanct Christofle de la porta ponti”. Ovvero un pagamento effettuato dal Comune di Oristano al tal citato maestro pittore per il restauro del retablo[2] dedicato al nostro Santo presente nella Porta Ponti, ovvero la porta che guarda a settentrione verso il ponte del fiume Tirso, attraversamento obbligato che divide l’Isola e distinguendola dall’altra porta posta a meridione e denominata Porta di San Filippo o Porta a Mari, ovvero l’uscita della città che portava gli oristanesi attraverso il guado di Bau ‘e Carros verso il mare del golfo.

Quindi ancora fino a quegli anni l’intitolazione ufficiale era quella appunto di Porta Ponti. Dobbiamo arrivare finalmente al 1842 per trovare, sempre dai citati registri, una indicazione di “atti di incanto per i lavori di riparazione della torre “denominata di San Cristoforo”. Troviamo una citazione del 1845 del Padre Vittorio Angius nell’Opera del Casalis Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna; di tale opera Angius curò tutta la parte riguardante l'isola di Sardegna dal 1832 al 1848 dove, per la sezione riguardante Oristano, viene citata la torre di San Cristoforo. Ancora un atto che reca la data del 12 maggio 1873 riporta come oggetto: Sopralluogo per verificare lo stato di conservazione della Torre di San Cristoforo,

Un ulteriore prossima indagine, a dire il vero non semplice, sarà quella della consultazione a ritroso di tutti i registri di Consiglieria appunto a partire dal 1842 al 1565 alla ricerca del primo atto in cui oltre Porta Ponti venga citata la denominazione di Torre di San Cristoforo.

Per questa breve ricerca ringrazio per la collaborazione la collega archivista Ilaria Urgu ed il Prof. Zucca per avermi fornito un estratto dell’opera di Antonio Era.

Ma l’intitolazione, cara agli oristanesi più vecchi la vede ancora come Potta Manna per distinguerla come importanza da Portixedda, oppure ancora come su Campanib’e sa Potta per il fornice sommitale contenente la grande campana quattrocentesca.

Come andremo a scoprire, molte città italiane riconoscono proprio tale Santo come protettore, intitolandogli porte e chiese, ma vediamo di ricordare, secondo l’agiografia, ovvero la vita dei Santi, chi fosse questo personaggio in seguito santificato.

L’immagine più frequente di San Cristoforo lo raffigura come un gigante barbuto che porta su una spalla Gesù Bambino nell’atto di aiutarlo ad attraversare le acque di un impetuoso fiume, esattamente come nella realtà oristanese avviene se si vuole accedere ai territori settentrionali dell’Isola.

Gesù Bambino regge sulla punta delle dita il mondo, come se giocasse con una palla. Questa immagine risale ad una delle leggende agiografiche più note relative al Santo martirizzato il 25 luglio a Samo, in Licia. Secondo questa tradizione, il suo vero nome era Rèprobo ed era un gigante che desiderava mettersi al servizio del re più forte del mondo. Giunto alla corte di un re che si riteneva invincibile, si mise al suo servizio, ma un giorno si accorse che il re, mentre ascoltava un menestrello che cantava una canzone che parlava del diavolo, si faceva il segno della croce. Gli chiese come mai, e il re gli rispose che aveva paura del diavolo, e che ogni volta che lo sentiva nominare si faceva il segno della croce per cercare protezione. Il gigante lasciò il re e si mise allora alla ricerca del diavolo, che giudicava più potente di lui. Non gli ci volle molto per trovarlo e si mise a servirlo e a seguirlo. Ma un giorno, passando per una via dove c’era una croce, il diavolo cambiò strada. Reprobo gli chiese per quale motivo l’avesse fatto, e il diavolo fu costretto ad ammettere che su una croce era morto Cristo e che lui davanti alla croce era costretto a fuggire spaventato. Reprobo allora lo abbandonò e si mise alla ricerca di Gesù Cristo. Un eremita gli suggerì di costruirsi una capanna vicino ad un fiume dalle acque pericolose e di aiutare, grazie alla sua forza e alla sua statura gigantesca, i viandanti ad attraversarlo; certo Cristo ne sarebbe stato felice e che forse si sarebbe manifestato a lui. Un giorno il gigante buono udì una voce infantile che gli chiedeva aiuto: era un bambino che desiderava passare sull’altra riva. Il gigante se lo caricò sulle spalle e cominciò ad attraversare le acque tumultuose ma , più si inoltrava nel fiume, più il peso di quell’esile fanciullo aumentava, tanto che solo con molta fatica riuscì a raggiungere la riva opposta. Lì il bambino rivelò la propria identità: era Gesù, e il peso che il gigante aveva sostenuto era quello del mondo intero, salvato dal sangue di Cristo. Questa leggenda, oltre ad ispirare l’iconografia occidentale, ha fatto sì che San Cristoforo fosse invocato patrono dei barcaioli, dei pellegrini e dei viandanti.

L’iconografia di San Cristoforo, come abbiamo visto, è caratterizzata da un simbolismo semplice ed efficace. La sua immagine fu molto diffusa per tutto il medioevo; a quel tempo le immagini erano potentissimi veicoli di comunicazione e informazione per la popolazione che era per lo più composta da illetterati.

San Cristoforo divenne uno dei santi più  popolari;  era  incluso  tra  i  Quattordici Santi  Ausiliatori,  cioè  i  santi  invocati  in  occasione  di  gravi  calamità  naturali; a questo proposito ricordiamo come la nostra città fino alla costruzione degli argini dei primi decenni del novecento del passato secolo fosse continuamente interessata dalle pericolose e gravi esondazioni del fiume, così come ricordate nei dipinti dell’ex voto presente nella sacrestia della chiesa di San Francesco ed in un altro presso la chiesa di San Sebastiano, che vedono l’attuale piazza Roma e la relativa torre invasa dalle acque nell’anno 1860.

In località lacustri o prossime a grandi vie d’acqua, immagini di Cristoforo erano collocate all’interno di chiese ma anche di abitazioni; molto spesso statue erano poste sui ponti, essendo considerato appunto il protettore dalle alluvioni. Si ricorda inoltre che il Santo è il patrono del paese di Buddusò dove nel suo territorio si trovano le sorgenti del fiume Tirso.

Il simbolismo legato all'acqua è molto influenzato, nella tradizione, da miti e da leggende pagane. Del resto la metafora, che ha sempre accomunato l’acqua con la vita e la fertilità, trae origine dai miti più arcaici notissimi in Sardegna già dal Neolitico. La tradizione popolare manteneva tenacemente certe credenze e usanze soprattutto nelle campagne, come la pratica del seguire tradizioni nella frequentazione di sorgenti e fiumi, la cui sacralità si perdeva nella notte dei tempi.

Le dimensioni dell’immagine del Santo sono sempre colossali, soprattutto se rapportate a quelle degli altri affreschi devozionali, questo sia per motivi iconografici derivanti dalla sua natura di “gigante”, sia per il significato apotropaico dell’immagine, che doveva essere visibile anche da lontano.

La sua collocazione è abbastanza caratteristica: l’immagine di San Cristoforo si trova sempre in spazi aperti molto frequentati, come le porte urbane, i cortili dei castelli, i campanili e soprattutto le facciate delle chiese. Questo fenomeno in Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta risulta particolarmente vistoso, perché le immagini di San Cristoforo hanno una diffusione capillare, probabilmente grazie alla tradizione di affrescare completamente le facciate esterne delle chiese. A volte San Cristoforo veniva posto anche all’interno degli edifici religiosi come il Battistero di Parma e il Duomo di Trento; anche in questi casi si tratta di affreschi devozionali commissionati da famiglie nobili, corporazioni, confraternite o semplici cittadini devoti al Santo. Quando si esauriva lo spazio a disposizione si sovrapponeva un nuovo strato senza alcun riguardo per le immagini considerate superate: è quanto si nota ad esempio nel Duomo di Trento, in cui il Santo è parzialmente nascosto da una pittura più recente.

Conoscere la collocazione e l’iconografia di San Cristoforo è utile durante un restauro soprattutto per intuire il soggetto di un affresco che traspare dalla lacuna di un intonaco più tardo o ricostruire il soggetto di una pittura ormai illeggibile: nel cortile del Castello di Avio, accanto ai resti di una finta tappezzeria con un motivo a losanghe, si notano infatti le gambe aperte di una figura gigantesca, purtroppo ormai perduta, che per le dimensioni e la posizione potrebbe essere proprio un’immagine di San Cristoforo.

Non meno la figura del Santo accetta anche una visione quasi esoterica, come spesso ne è pregna l’arte e l’architettura del medioevo. L’elemento maggiormente caratterizzante è il passaggio effettuato da chi si trova “in viaggio” e che avviene nell’acqua; è prevalentemente un fiume a dover essere attraversato.

Il traghettare e l’attraversare corsi d’acqua, paludi o fiumi, sono strettamente legati alla morfologia del territorio locale ed alla memoria storica collettiva, essendo stati esperienza quotidiana per millenni nella nostra parte di pianura, prima impaludata poi solcata da innumerevoli rii e canali. I ponti non erano numerosi e ogni corso d’acqua importante costituiva una barriera sul cammino del viandante. La difficoltà dell’attraversamento dei fiumi aumentava il pericolo e le incognite di ogni spostamento dal luogo in cui si viveva tanto che in epoca medievale esisteva l’uso di fare testamento, prima di affrontare un viaggio, anche per distanze che oggi ci sembrano limitate. Non per niente San Cristoforo è protettore dei viandanti e dei pellegrini. Il viaggio, il cammino, il pellegrinaggio, hanno costituito una realtà fondante della storia umana,

Un importante dipinto è conservato nel Duomo di Crema e rappresenta i tre santi maggiormente invocati per la protezione dalla peste: San Cristoforo, San Rocco e San Sebastiano. Ad esempio a Oristano, durante i lavori di rifacimento dell’attuale sagrato della chiesa di San Sebastiano, vennero in luce alcune sepolture di persone decedute durante le tante epidemie successesi in città nel corso dei secoli.

Pressoché coeve alle nostre mura troviamo quelle della città ligure di Levanto, in provincia di La Spezia che furono erette nel 1265 dalla Repubblica di Genova dopo che questa città subì vari attacchi da parte dei Pisani, i più gravi dei quali furono due. Il primo (1165), nel corso del quale fu messo completamente a fuoco; il secondo (1242), durante il quale i Levantesi si misero in salvo rifugiandosi nel castello e il borgo fu distrutto. Dai documenti risulta che le mura furono ricostruite a partire dal 1565 e, in una planimetria del 1722, sono rappresentate probabilmente ancora nel loro percorso medioevale, che andava dal castello alla torre dell’orologio, per scendere sino alla porta di San Cristoforo.

Ancora il Borgo San Cristoforo di Alessandria dove il castello fa parte di un complesso edilizio situato nel medesimo borgo che, all’interno delle mura fortificate, comprende la corte d’armi, l’edificio con il torchio, la Chiesa Parrocchiale e le adiacenti scuderie.

Seguendo il corso del fiume Tormo, nelle campagne tra Crema e Lodi, e attraversando il centro del paese di Dovera, ci si imbatte nel trecentesco Santuario della Madonna del Pilastrello, che conserva ancora oggi la facciata affrescata con due santi dipinti a tutta altezza. Si tratta di due autentiche autorità protettive, frequentemente rappresentate in coppia: San Cristoforo e Sant’Antonio Abate: il “santo dell’acqua” e il  “santo  del  fuoco”.

Ancora troviamo tracce di questo Santo rappresentate sulla facciata della cappella duecentesca di Santa Barbara prossima al Duomo di Merano, immediatamente nell’area di una delle porte medievali di accesso della città altoatesina; un grande affresco accoglieva i pellegrini e i viandanti che arrivavano in città dopo aver attraversato il vicino e tumultuoso torrente Passirio.

Quella presentata oggi è solo l’inizio di una futura ricerca che cercherà di ripercorrere una sorta di cammino del Santo protettore dei viandanti.


[1] Professore della Regia Università di Sassari e della Regia Deputazione di Storia Patria per la Sardegna.

[2] Il “retablo” è un dipinto contenente soggetti sacri su una base di assi di legno opportunamente predisposte e trattate.