La raccolta delle olive

La coltivazione dell'olivo

Nelle precedenti pubblicazione abbiamo visto, sia dal punto vista archeologico che da quello archeometrico, la genesi e la coltivazione o, usando il termine tecnico di domesticazione, della vite nella nostra Isola, anche grazie alla ricerca scientifica svolta nello scavo nostrano di Sa Osa, abbondantemente proposto in questa pagina. I numerosi pressoi d’età nuragica presenti in molti insediamenti nuragici, seguiti poi dagli altrettanti palmenti in età storica ci danno l’esatta misura di quanto questa specie abbia avuto importanza nella nostra cultura come in quelle di tutto il bacino del Mediterraneo.

 

L’uso dei pressoi non è da restringersi alla sola produzione vitivinicola ma anche a quella di un’altra coltivazione di cui la Sardegna può vantare un eccezionale primato per l’alta qualità del prodotto ottenuto; parliamo ovviamente dell’olivo e del suo preziosissimo olio.
Coloro i quali proprio in queste ultime settimane hanno avuto l’occasione di girare per l’intera Isola non avranno certo mancato di notare il grande fervore all’interno dei tanti oliveti, grandi o piccoli che siano; il proliferare di tanti frantoi è la controprova di quanto ancora sia alto l’interesse alla trasformazione delle tante varietà di olive presenti. Piccoli appezzamenti di terreno coltivato ad olivi che si tramandano da generazioni e che da generazioni forniscono il prezioso liquido, anche solo per un approvvigionamento a carattere familiare; una vera tradizione quasi a rimarcare l’identità sociale da cui molti di noi hanno avuto origine. A volte, come per la vendemmia, interi nuclei familiari si riuniscono per la bacchiatura delle olive e gli appezzamenti alberati si trasformano in multicolori puzzle delle reti messe intorno agli alberi. Tutti i metodi di raccolta sono presenti secondo una tradizione tramandata; da quelli che con le scale raccolgono le olive a mano ad una ad una a quelli che adottano lunghe canne per la battitura dei rami più altri; ancora rastelli a mano e motorizzati fino ai moderni scuotitori idraulici che oramai sostituiscono le famose “raccoglitrici di olive” onnipresenti nei dipinti ad olio di Meledina degli anni ‘50. Ognuno, comunque, convinto che il metodo adottato darà un prodotto qualitativamente ineguagliabile!

Ma vediamo di scoprire dove, come e quando si può far risalire alla domesticazione di questo meraviglioso albero capace di vivere millenni che è stato sicuramente muto testimone di avvenimenti, felici e meno felici nel cammino della nostra antica civiltà.
L’olivo (Olea europea L.), pianta fondamentale nella cultura e nell’economia dei popoli del Mediterraneo, è una delle più antiche specie arboree produttrici di olio e comprende due specie: l’oleastro (Olea europea L. var. sylvestris) e l’olivo coltivato (Olea europea L. var. europea).
L’oleastro, che indica l’olivo selvatico (ovvero un arbusto o un albero con rami più o meno spinescenti e foglie corte rotondeggianti e lanceolate), produce frutti di piccole dimensioni dalla scarsa resa (in olio).

Non è facile stabilire con certezza quando le prime piante di olivo siano state messe a coltivazione né dove questo sia avvenuto[1]. Infatti gli olivi coltivati convivevano, e tuttora convivono, con le piante selvatiche, e la loro distinzione è difficile nelle piante viventi e ancor più nei resti fossili e nei reperti archeologici, così come è difficile capire se i riferimenti all’olio di oliva che si trovano nei reperti e documenti antichi siano da attribuire a piante coltivate o al alberi spontanei, né si può stabilire con certezza se i frutti venissero usati per l’estrazione dell’olio o per il consumo diretto.

I numerosissimi ritrovamenti archeologici, insieme all’impiego di moderne analisi molecolari, hanno contribuito in maniera determinante a chiarire molti punti oscuri della vicenda olivicola.

Sono stati ritrovati e datati frammenti di noccioli di olive presumibilmente selvatiche in Israele risalenti a 19.000 anni fa, ma probabilmente usati per alimentazione umana[2].
Sono state trovate tracce di olivi selvatici del Neolitico (8.000-6.000 a.C.) anche in aree del Sud Italia, Spagna e Nord Africa, dove il clima era più favorevole; la successiva deforestazione e l’innalzamento progressivo delle temperature hanno verosimilmente fatto scomparire la forma selvatica nella gran parte dei territori. Le evidenze più antiche di estrazione meccanica dell’olio, rappresentate da noccioli spezzati, sono state trovate nella valle del Giordano e risalgono al 4000-3.500 a.C.

Moderni studi dimostrano che l’olivicoltura era fiorente nel nordovest della Siria già nell’Età del Bronzo (2.400-2000 a.C.) e documenti scritti nell’antico alfabeto cuneiforme confermano che intorno a 4.000 anni fa l’olio era un prodotto agricolo di grande valore commerciale. Nei palazzi di Cnosso e Festo reperti ceramici e affreschi testimoniano l’importanza della coltivazione di olivo a Creta durante la civiltà minoica 1.800-1.450 a.C.

Per il Greci l’olivo assunse un’importanza enorme; la presenza di una lunga iconografia legata all’olivo nelle ceramiche e nelle pitture ma anche attraverso l’opera di antichi scrittori sono testimonianze indirette del valore che questo popolo attribuiva a quest’albero.
Probabilmente quando la coltivazione dell’olivo si era ormai affermata da secoli nell’area orientale del Mediterraneo, essa si diffuse anche nell’Europa occidentale attraverso i Fenici, che contribuirono a diffondere il consumo dell’olio.

Dopo l’epoca romana, l’olivicoltura ha subito in tutto il Mediterraneo una lunga fase di declino, da cui è riemersa in epoca moderna, per l’impiego dell’olio come fonte energetica, destinato prevalentemente all’illuminazione e, ancor più recentemente, la coltivazione dell’olivo si è solidamente affermata per l’uso alimentare dell’olio e dei frutti, estendendosi ben oltre i confini del Mediterraneo.

Si ritiene che le varietà di olivo oggi in coltivazione non si discostino in maniera sostanziale da quelle coltivate dai popoli antichi che hanno domesticato la coltura e l’hanno diffusa in tutto il Mediterraneo. La gran parte delle varietà di olivo, infatti, deriva dalla selezione empirica operata dagli agricoltori e i programmi di miglioramento genetico, massicciamente compiuti per molte altre colture frutticole, sono stati sporadici ed occasionali per l’olivo, comportando un sostanziale ritardo nel rilancio di nuova specie.
L’olivo è una specie particolarmente longeva e resistente a condizioni climatiche e di terreno avverso e sono ancora in vita e in alcuni casi ancora in coltura malgrado siano pluricentenari o addirittura ultramillenari; per gli olivi antichi l’età è difficilmente stimabile in conseguenza della peculiare struttura anatomica del tronco.



[1] R. Mariotti et alii, La coltivazione antica dell’olivo in Rivista di Storia dell’Agricoltura. 2016

[2] M.E. Kisley et alii. Cereal and fruit diet, Sea of Galilee, Israel in Rivista di Paleobotanica e Palinologia. 1992

 

LA COLTIVAZIONE IN SARDEGNA

L’olivo, essendo una specie subtropicale trova nel clima Mediterraneo e dunque anche in Sardegna le condizioni ottimali di sviluppo.

Le ricerche archeologiche e gli studi archeobotanici, sebbene scarsi e frammentari, hanno permesso di accertare che le più antiche tracce di oleastro nell’isola risalgono al Neolitico medio (V millennio a.C.): resti carbonizzati di Olea europea sylvestris sono stati rinvenuti nella grotta del Rifugio di Oliena. Il frutto dell'oleastro è stato utilizzato anche in tempi recenti, in occasione di guerre o carestie, per ottenere un olio dalle buone caratteristiche organolettiche.

Per quanto concerne il periodo nuragico, noccioli carbonizzati di Olea europea sono stati raccolti in uno strato archeologico del Bronzo Medio tardo (XIV sec. a.C.) del nuraghe Duos Nuraghes di Borore.

L’individuazione della presenza di insediamenti nuragici nelle campagne sarde è in costante aumento grazie alle indagini di scavo e di ricognizione archeologica di questi ultimi decenni.

Molto più problematica, e numericamente assai limitata, è l’accertamento di apprestamenti destinati alla produzione di olio (oleastro, lentisco).

Il miglior indicatore archeologico utilizzato dagli studiosi per identificarne la produzione è rappresentato dalla pietra circolare scanalata che fungeva da supporto alla cesta da sottoporre a schiacciamento, la cosiddetta ara. La prima fase della preparazione dell’olio consisteva nella frangitura, ossia nello schiacciamento delle drupe in modo da lacerare i noccioli e ridurre la polpa in una pasta omogenea.[3]

Abbiamo visto quanto le ricerche archeologiche sempre più spesso tendano a trovare risposte quanto più precise, come è giusto che siano le indagini multidisciplinari; quindi non solo manufatti di cultura materiale ma anche il loro contenuto analizzato con le più moderne tecniche di analisi.

Nelle foto a corredo si presenta il pressoi litico che si trova nelle immediate vicinanze de Su Nuraxi de Samatzai in Trexenta oltre ad alcune immagini dell’oleastro millenario di Cuglieri.

Le immagini sono state realizzate dallo scrivente mentre la Raccoglitrice di olive di Libero Meledina fa parte della collezione presente presso la Pinacoteca Comunale Carlo Contini di Oristano.



[3] C. Loi. “I pressoi litici tra classificazione tipologica e indagine sperimentale”. Tesi di Dottorato in “Storia, letterature e Culture del Mediterraneo” (XXVIII ciclo), Università degli Studi di Sassari. Anno Accademico 2015-2016