Ponti Mannu

IL PONTI MAGNI DE ARISTANIS

Dopo aver visitato le due ville medievali riprendiamo gli studi condotti dal Prof. Salvatore Sebis usciamo appena fuori città, e più esattamente sul nostro ponte che attraversa il fiume Tirso, conosciuto già dal medioevo con la denominazione di Ponti Mannu

(Quaderni Oristanesi n. 53/54; APRILE 2005)

Il Ponti Mannu in quest’epoca viene ricordato quando si parla della cinta muraria cittadina, fatta erigere dal Giudice Mariano II a partire dal 1290; noi infatti conosciamo la grande torre che ora insiste sulla attuale Piazza Roma (già Piazza Mercato prima della demolizione delle loggette mercatali e venisse eretto l’attuale palazzo SO.TI.CO.) con le varie denominazioni di Torre di San Cristoforo, Torre di Mariano II o, secondo la vulgata popolare oristanese Potta Manna, la porta maggiore, proprio per distinguerla da Portixedda o porta minore. In molti però ignorano che l’esatta denominazione sia invece Porta a Ponti, ovvero la porta che conduce verso il ponte sul Tirso, quello che dava accesso a coloro i quali arrivavano da Nord. A tal proposito ricordiamo che l’altra “porta” denominata Porta a Mari; essa conduceva proprio verso il mare del golfo di Oristano e che questo si raggiungeva facilmente seguendo il corso del fiume fino alla sua foce.
Quindi il Tirso che diventa un confine naturale tra Nord e Sud dell’isola e che andava per forza valicato, o attraverso un ponte appunto o a mezzo di guadi naturali che si trovavano lungo il suo percorso; a tal proposito si ricorda uno per tutto il vicino Bau ‘e Proccus (il guado dei maiali) localizzabile a nord-est della città, alle spalle del popoloso quartiere di Torangius e la vicina frazione di Silì.
Parafrasando il motto degli esploratori che lavoravano per la seicentesca Royal Society: “L’uomo giusto, al posto, nel momento giusto” ecco che noi troviamo il Prof. Sebis presente a scoprire degli inediti che il tempo credeva di aver cancellato, ma che agli occhi attenti dello studioso lasciano sempre qualche indizio, seppur minimo e a volte insignificante.

Ora seguiamo il racconto del Professore…

 

 

Nuove testimonianze archeologiche e documentarie sul Ponti Mannu sul Tirso presso Oristano

La scoperta nel mese di settembre 2002 di un pilone dell’antico ponte che valicava il fiume Tirso a Nord di Oristano [1], conosciuto col nome di Ponti Mannu a partire dal Medioevo, ci consente finalmente insieme all’acquisizione di nuove fonti documentarie, di riprendere il discorso su questa storica struttura la quale, più volte restaurata in età giudicale, spagnola e sabauda, fu infine demolita nel 1870. Il ponte che lo sostituì fu a sua volta abbandonato nel 1938 per far posto alla costruzione che attualmente asseconda da Nord il traffico per Oristano e alla quale si affianca verso Est, per il traffico in uscita, un secondo ponte realizzato negli anni ’80 del secolo scorso.

Il pilone è stato localizzato lungo la sponda sinistra del fiume nello spazio che si frappone fra i due ponti attualmente in uso. Di esso resta in evidenza il lato lungo rivolto a Nord verso l’alveo del fiume, con una altezza residua sull’interramento di m. 1,40 e una lunghezza complessiva di m. 5,50 pari all’ampiezza della carreggiata soprastante oramai scomparsa, mentre il lato opposto risulta attualmente ricoperto da uno spesso strato alluvionale, circostanza questa che ci impedisce di conoscere lo spessore. Il nucleo della pila, realizzato in opera cementizia, cioè con pietrame informe unito con malta di calce, è rivestito esternamente con massici blocchi di basalto perfettamente squadrati e levigati; essi sono di varia dimensione, mediamente alti 50 cm e lunghi 80 cm, disposti su piani orizzontali sfalsati. Nel prospetto trasversale si contano tre filari residui, fra i quali quello superiore mostra un lieve aggetto indiziando il piano d’appoggio dell’arcata.

Il pilone è dotato verso monte di sperone frangiflutti a pianta triangolare, parzialmente visibile e mancante della parte della parte terminale; a valle invece gli si addossa un corpo quadrangolare in muratura lungo m. 4,50, la cui costruzione, come si dirà più avanti, risale ad un periodo successivo al primitivo impianto del ponte. Tale contrafforte, eretto in verticale fino all’imposta dell’arco, conserva in corrispondenza del lato esterno, visibile per un tratto di circa 4 metri, due conci d’arenaria allineati e contigui, collocati obliquamente verso l’orinale carreggiata, per cui si può presumere che culminasse in forma di spalto. Tenendo conto della disposizione che il pilone assume sul terreno, si può rilevare che l’intera costruzione era orientata in senso Nord-Sud, diversamente dagli attuali ponti i quali seguono l’orientamento Nordovest-Sudest.

Che il pilone su descritto sia da attribuire all’antico Ponti Mannu e non al ponte a cinque arcate costruito nel 1870, non c’è ombra di dubbio. Sul lato a monte, infatti, gli si affiancano in posizione distante e tangenziale, riproponendone lo stesso orientamento, i resti di un pilastro ottocentesco. Oltre a ciò i pilastri di quest’ultimo ponte, pur essi costruiti con conci di basalto e oggi residui nel solo filare di base, hanno forma e dimensioni alquanto diverse da quelle della pila del Ponti Mannu essendo lunghi m. 10 e larghi m. 3, con avambecco e retrobecco semicircolari.

Non altrettanto semplice appare invece stabilire quale fosse la sua precisa collocazione lungo il tracciato complessivo della costruzione, anche se al riguardo possano essere avanzate delle ipotesi sufficientemente attendibili richiamando la documentazione già nota e avvalendoci in particolare del contenuto di tre documenti inediti rintracciati di recente presso l’Archivio Storico Comunale di Oristano, i quali si occupano  in modo specifico degli interventi di restauro sul Ponti Mannu nella seconda metà del settecento.

Una breve ma efficace descrizione del ponte si deve al viaggiatore tedesco Heinrich von Maltzan, il quale nella sua opera pubblicata a Lipsia nel 1869 così scriveva: “Il ponte ha un aspetto maestoso e consta di quattro arcate, una delle quali ha una corda doppia di quella delle altre. Esso è costituito quasi assolutamente in basalto nero. Siccome a guisa di tutti i ponti medioevali esso è molto alto nel suo mezzo e quindi faticoso a superarsi colle vetture, così a Oristano si ode frequentemente esprimere il desiderio che si dovrebbe distrutto per costruirne in sua vece uno moderno”. In precedenza l’Angius nel 1845, si era limitato ad osservare che “Il ponte grande, sul quale è qualche pazza leggenda, è una infelice costruzione del medio evo sopra antichissimi piloni. Nel secolo scorso dovette l’ingegnere Moya aggiungere alla destra un altro arco, perché la corrente cominciava a battere in questa parte; ed ora sentesi la necessità di costruire un repellente, per cui da questa mala direzione, nella quale persiste, sia riflesso sotto la grande arcata”.

Confrontando i due scritti, s’intuisce subito che il Ponti Mannu era formato in origine da tre arcate e che quella che “ha una corda doppia di quelle delle altre”, come diceva von Maltzan, corrisponde all’arcata centrale. Ma ancora più espliciti sulla sua struttura originaria e in particolare sui lavori di restauro eseguiti nella seconda metà del XVIII secolo, sono i tre documenti dell’Archivio Storico di Oristano.

Il primo in ordine cronologico, datato 11 ottobre 1761, riguarda l’assegnazione al “Maestro Francesco Selis muratore della Città di Cagliari e dimorante nel Villaggio di Paulilatino” dell’appalto dei lavori di restauro “del ponte grande di questa detta Città (Oristano) nel prezzo di 752 + 10 moneta sarda”. L’assegnazione era stata preceduta da una perizia sulla stabilità affidata dalla Città di Oristano al “Magiorale” e ai Maestri del “gremio de fabricatori”, i quali riferirono quanto segue. “(Il ponte) era in pericolo di patire quelché notabile detrimento per mancante in sino dove vengono a passare i carri e viaggianti molte pietre e che nell’arco grande hanno veduto le pietre fuori del suo luogo essendosi dalle une alle altre più di un dito di differenza oltre esservi tante pietre rotte che mal potranno sostenere il peso dell’arco, e questi col peso e movimento dei carri e viaggianti potranno facilmente indurre la rovina del ponte il passo nell’inverno necessariamente requisito per andare al porto e gran torre di questa Città e per imbarcare e sbarcare le merci e per questi motivi dicono necessario il ristoro del ponte”.

Seguono nel documento le previsioni di spesa: “(i periti) dicono necessaria per il ristoro del ponte la somma di L. 1172 + 20 moneta sarda, ciò è a dir di 1000 starelli di calcina a ragione di soldi 3 il sterello, tre chintari di ferro lavorati per postificare le pietre nelle loro unioni e legazioni, a ragione di soldi 4 per libbra. Ornamenti, corda soldi 60 scudi, pietre negre lavorate 350 scudi”.

Il termine dei lavori fu previsto entro il mese di gennaio del 1762, ma non sappiamo se furono effettivamente eseguiti”.

Nel secondo documento, che reca la data del 22 aprile 1789, l’architetto piemontese Gerolamo Moia, nominato Direttore e Ispettore generale dell’Azienda Ponti e Strade il 20 agosto 1784, in sostituzione dell’architetto G. Viana che aveva abbandonato l’isola nello anno, espone il progetto per un nuovo e più consistente restauro e consolidamento del ponte”.

Il Moia, dopo aver rilevato che “fra li diversi difetti di costruzione, che in esso si scoprono, non essersi praticata la più esatta piombatura, che si richiedeva nella forte ellevazione del maggior dei suddetti tre archi, per cui deve necessariamente cedere verso la parte superiore”, propose di eseguire urgentemente le seguenti opere:

“Primo. Resta indispensabile di formarsi un incatenamento di buone chiavi di ferro con i necessari suoi bolzoni perché venga ben compresso, e ligato insieme tutto il corpo dell’Arco maggiore nella sua centinatura, con surrogazione di quei cantoni che rimangono fuori di sua piombatura.

2. Per maggior comprensione, e contrasto della macchina giudico assai efficace il doversi ellevare in scarpa sino al parapetto di due Tagliamari, che in tempo di escrescenze del Fiume vengono coperti dalle acque, e soffrono gli archi l’immediato impeto d’esse, lo scotimento delle quali hanno assi contribuito a dar marche di cedimento, e potrebbero anche presto causare una rovina di d.to arco maggiore.

3. Siccome resta pur anche dalla parte inferiore ugualmente mal costruito il volto med.o con disuguaglianza nella sua centinatura a causa che non si è formato secondo le regole, un perfetto parallelepipedo il pilastro, che sostiene il grand’arco, per cui potrebbe il grave peso sull’obliquità causare, con il tempo, anche la rovina del medesimo, stimo altresì opportuno, che si formino due spessori ai due pilastri nella parte inferiore, li quali ellevati sopra il necessario pilotamento dell’altezza di un trabuco sovra inferiore il suolo del Fiume finiscano in scarpa la parapetto corrispondenti ai due Tagliamari per fare maggiore resistenza alla forma dell’acqua, la quale per essersi ridotta in un canale non proporzionato si alza fino all’altezza di due trabuchi nei tempi di forti escrescenze”.

Fra i materiali da utilizzare nella costruzione dei contrafforti de i due pilastri dell’arcata centrale figurano “n. 800 Cantoni di pietra della più forte del Sinis della lunghezza di tre palmi, e di spessore un palmo, tagliati a grana grossa”.

La spesa complessiva per i materiali e la manodopera veniva fissata in 3166 libbre, 12 soldi e 6 denari.

L’architetto Moia morì nel 1789 per cui i lavori furono proseguiti dal suo assistente, il misuratore Giuseppe Maina, il quale elaborò un nuovo progetto che oltre al consolidamento dei pilastri dell’arco centrale, prevedeva l’aggiunta di una uova arcata. La quarta, verso la sponda destra del fiume.

I dettagli delle opere da realizzare sono riportati in una lettera che lo stesso Maina indirizzò alla Città di Oristano il 30 maggio 1791.

“Il misuratore Giuseppe Maina aplicato a Ponti e Strade in questo Regno, collocazione che da tempo doveva trasferirsi in questa Città. Passando per quella d’Oristano, li fu ordinato dall’Ill.mo Sig. Cavaliere D.n Giuseppe Cossu, di visitare le opere ottimamente formate ed avendo esaminato attentamente trovò essere indispensabilmente aggiungere nuovamente altra giara da longo in longo di tutto lo Stradone principiando dal borgo di d.a Città cioè dal Pontixeddu sino al Ponti Mannu. Di d.a giara se ne dovrà mettere carri otto per cad.n trab.z lineare e doppo passato d.o Ponte sino a giongere quello di Nuracabras, essendo d.o Stradone più assodato sene metterà solo ché carri quattro e da detto Ponte sino davante tutto il finimento dello Stradone verso la Madonna del Buon Rimedio, essendosi detto tratto assodato, si è reso il piano più basso di quello del nuovo ponte di legno oncie sei, per conseguenza di giara sene aggiongerà carri dieci ogni trab.z lineare durante tutto d.o tratto ben regolata a perfetto livello con uguaglianza a schiena d’asino nell’istessa maniera come si è praticato nella costruzione di tutto lo stradone e dopo si dovrà piantare nuovamente le pietre mancanti sull’allineamento delle banchine laterali all’ingiaramento per essere state rimosse da particolari per il loro servizio, per la pocca vigilanza di chi la direzione di custodire il sud.o Stradone, come pure radobar da sito a sito le banchine con aggiungervi la terra necessaria acciò le acque non stagnino sopra le medesime, sebben la cosa sia di pochissima spesa e di gran utlilità per la conservazione di tutto lo stradone, e non eseguendo tutto quanto sovra anderà in rovina ogni opera con pregiudizio del pubblico traghetto oltre le nuove inondazioni per le campagne, come avanti si soffrivano.

Successivamente avendo esaminato il Ponte Mannu che esiste circa alla metà dello Stradone sul fiume Tirsi essere minacciante rovina sotto l’arco Maggiore a motivo per cui essere il medesimo impostato sul tagliamare, cioè il Massiccio di mezzo, che resta fuori piombo di palmi due e mezzo quando che a me fu visitato il medesimo Ponte sin dallo scaduto 1789, essersi allora solo palmi due ben scarsi fuori dal suo piombo, di questo si vede che sempre va ogni volta pericolando d.co arco, il motivo per cui va d.o Ponte in rovina si è che nella sua costruzione è stato poco fondato e siccome avanti le acque nelle forti escrescenze allagavano per tutte le campagne principiando e sino nella città medesma davanti sino alla Madonna del Buon Rimedio per la larghezza di trab.s 800 formando tutto un corpo sino al mare ora colle nuove opere si sono ristrette tutte le dette acque che in più tre luoghi, cioè in tre Canali ed avendo le medesime acquistato una maggior forza, trovandosi al sud.o Ponte pocco fondato il motivo sta se non si ripara prontamente che sarà quanto prima rovinato.

E per…ogni incoveniente che poscia succedere, secondo il mio parere si è di formare un spessore al Massiccio esistente tra l’arco Maggiore ed il minore il quale principerà sulle fondamenta fino al petto dell’acqua per la larghezza di piedi quattro e da d.o petto dell’acqua verrà finire in forma di spalto sino al livello delli archi, indi formare un nuovo arco contro l’arco Maggiore del diametro di trabuchi quattro acciò le acque provenienti dal di fiume abbiano uno sfogo per la sua retta direzione come si vede nella pianta e d.o nuovo arco si costruirà a distanza di tra.hi quattro dall’arco Maggiore per non reccar nessun pregiudizio al medesimo come si vede dal disegno e calcolo che vado a presentare cioè quanto e

Cagliari lì 30 maggio 1791

I lavori si conclusero probabilmente entro il 1793 e in ricordo di questi venne affissa una iscrizione marmorea, rimossa nel 1870 quando il ponte benne demolito.[2]

 

Purtroppo nei documenti presi in esame non sono precisate le dimensione dell’arcata centrale e delle arcate laterali minori, né la lunghezza complessiva del tracciato ponte, come pure non ci sono pervenuti i disegni di cui ci parla il Maina nella sua lettera. Possiamo comunque ritenere attendibili alcune misurazioni indicate dallo Spano quando scrive:” Vi è da visitare il ponte nuovo sopra il Tirso principiato nel 1868. L’antico era lungo 84 metri con quattro arcate, il secondo arco era largo 22 metri. Il nuovo ha cinque arcate, ed è meno culminante dell’antico di circa un metro. Esso costò L. 208.000. Il vecchio era ben solido e costò fatica atterrarlo. Nel distruggersi il selciato si trovarono tre strati, il secondo aveva le pietre vulcaniche, di cui si erano serviti, togliendo le pietre del terzo strato quando venne riparato ultimamente.

In ogni caso i nuovi dati che si ricavano dalla lettura dei tre documenti, costituiscono un’importante conferma del fatto che il Ponti Mannu conservò la struttura originaria a tre arcate fino alla fine del Settecento, e in particolare essi ci consentono di riconoscere nel pilone individuato nel 2002 uno dei pilastri dell’arcata centrale. Il contrafforte che gli si addossa a valle, con i tre conci residui d’arenaria dello spalto, evidenzia infatti le stesse caratteristiche delle opere che il Moia ed il Maina fecero erigere per rinforzare i due piloni dell’arcata centrale. Resterebbe comunque da precisare se si tratta del pilone situato a Nord o a Sud. Se fosse quello meridionale, a Nord esso si raccorderebbe con l’altro pilone dell’arcata centrale; se invece fosse quello settentrionale, a Nord gli si affiancherebbe una delle due arcate minori, mentre a Sud, nello spazio che oggi risulta esterno all’alveo del fiume, dovremmo posizionare l’arcata centrale seguita dall’altra arcata minore.

Un contributo probabilmente decisivo per la soluzione del problema, in attesa di che venga avviata un’indagine archeologica sull’area del ritrovamento, potrebbe provenire da una attenta analisi delle fonti cartografiche più antiche nelle quali il tracciato del Ponti Mannu figura rappresentato. Fra queste vanno ricordate principalmente la carta “tipografica” disegnata da Giuseppe Antonio Maina nel 1786 e la carta topografica del De Candia relativa al Comune di Oristano, eseguita nel 1847 e riutilizzata per le mappe del Cessato Catasto, tutte e due quindi anteriori alla demolizione del ponte. Ugualmente utile potrebbe risultare il raffronto fra queste carte e quelle più recenti, tuttavia, valutando la complessità sul piano tecnico di tali operazioni tenuto conto dei tempi lunghi che le stesse avrebbero richiesto, si è preferito per il momento prescindere dal loro apporto conoscitivo.

Altro tema non meno importante che le nuove testimonianze archeologiche e documentarie ripropongono alla nostra attenzione, è quello delle origini e delle vicende storiche del Ponti Mannu. L’argomento fu sollevato fin dall’Ottocento da Vittorio Angius e Alberto La Marmora. Il primo osservò che il ponte era “una infelice costruzione del medio evo sopra antichissimi piloni”, ed il secondo più ampiamente scrisse: ”Il ponte sul quale si traversa il fiume ha la fama, al pari di altri, d’essere opera del diavolo che lo fabbricò in una notte ma questo lo merita meno degli altri ponti ai quali l’opinione popolare attribuisce una simile origine, perché niente ha di sorprendente, né alcun terribile precipizio, come il ponte del diavolo delle nostre Alpi. I suoi pilastri sono antichissimi, ed è probabile che siano dell’epoca romana, perché necessariamente, vi doveva essere un ponte per comunicare Othoca colle città antiche che si trovavano sulla sponda destra del fiume, e con Tharros e Cornus. Questo ponte fu riparato nel medioevo, ed in seguito dagli Spagnuoli. Nello scorso secolo l’ingegnere piemontese Moja vi eseguì delle opere, e vi aggiunse un arco: il di lui nome si trova scolpito in una lastra di marmo incastrata in mezzo del ponte, e dedicata alla memoria del Re Vittorio Amedeo III”.

Secondo i due autori, quindi, i piloni del Ponti Mannu erano “antichissimi”, probabilmente dello medesimo ponte che in epoca romana consentiva nello stesso punto l’attraversamento del Tirso, congiungendo le strade che mettevano in comunicazione la città di Othoca con le altre di Tharros e Cornus. Una conferma di questa ipotesi fu considerato il rinvenimento nel 1936, nel corso dei lavori di costruzione del nuovo ponte, delle fondazioni lignee che sostenevano, secondo Doro Levi, il nucleo in opera cementizia di un pilone del ponte romano. Osservando ora la posizione della pila individuata nel 2020, appare interessante constatare come essa si collochi a breve distanza dalle strutture messe in luce nel 1936 e lungo la stessa direttrice. Non si può escludere pertanto che anche il pilone superstite del Ponti Mannu sia pertinente la medesimo impianto di costruzione di età romana. Tra l’altro le dimensioni, la tecnica costruttiva in opus quadratum e la presenza dello sperone triangolare che lo caratterizzano, costituiscono elementi che sembrano confermare, più che contraddire, questa attribuzione.

Il restauro del ponte romano in età giudicale comportò, come si può arguire da quanto riferiscono V. Angius e A. La Marmora, la costruzione sulle antiche pile di tre nuove arcate con quella centrale più elevata di quelle laterali, per cui le rampe di accesso erano ripide e rendevano difficoltoso il superamento del ponte. Di questa ristrutturazione, però, non ci è pervenuta alcuna testimonianza documentaria e non so quanto sia attendibile, anche perché non viene citata la fonte, la notizia che Antioco Melis attribuisce a P. Mattei secondo la quale il ponte fu restaurato ad opera “di maestri pisani valentissimi, che dimoravano in Oristano” e che “furono premiati con apposite pergamene e decorati del titolo di maestri di primo sapere per aver trasfuso in quest’opera colossale tutta la loro maestria e intelligenza, per la maestria e intelligenza, per la maestria con la quale (il ponte) fu fabbricato, per la perfetta costruzione con la quale fu rinnovato”.

In conclusione di questa breve nota, mi rendo conto che le nuove testimonianze acquisite sul Ponti Mannu di Oristano avrebbero meritato una valutazione più ampia dal punto di vista storico e archeologico, ma al momento si è voluto proporne soltanto un quadro preliminare nella prospettiva di successivi approfondimenti.

Come già riportato in altro contributo presente nel sito web di Museo Oristano, della ricerca si conosce sempre l’inizio ma spesso in corso d’opera si fanno ulteriori e illuminanti scoperte. Così è accaduto per questo lavoro che, oramai terminato e pronto ad essere immesso nel sito, si è arricchito di una notizia, grazie ad un suggerimento del Prof. Raimondo Zucca che consigliava la consultazione del Codice Diplomatico Sardo di Pasquale Tola [3].

Per quanto attiene l’anno 1310 alla data 31 marzo il Giudice Mariano III “accorda a Parasone, e Giovanni de Ponti, a Giovanni de Scano, e Giorgio Seque, e loro eredi maschi, la esenzione di tutti i tributi soliti pagarsi nel regno di Arborea, coll’obbligo per parte dei medesimi, e di tutti loro eredi, di custodire e riparare il gran ponte di Oristano [4], di abitare presso il medesimo nelle case ivi costruite, e di non dipartirsene senza il permesso di detto giudice; e ciò al fine di mantenere sempre libero il transito sullo stesso ponte”.

Pubblicazione autorizzata dall’Autore.
Immagini da archivio Salvatore Sebis - Lucio Deri


[1] La pila fu individuata dalla scrivente nel corso di una indagine sui resti del ponte costruito nel 1870. Il rinvenimento fu segnalato alla Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano e al Comune di Oristano in data 14/10/2002, e reso noto con un breve articolo pubblicato il 27 ottobre dello stesso anno su “Vita Nostra” settimanale della diocesi arborense.
[2] Per quanto attiene l’iscrizione su menzionata si rimanda ad una immagine del reperto custodito presso l’Antiquarium Arborense.
[3] Pasquale Tola; Codice Diplomatico Sardo, Tomo I, parte seconda; Torino 1861; pag. 505.
[4] Ponti Magni de Oristano.