I sardi nelle relazioni e nei traffici nel Mediterraneo antico

I sardi nelle relazioni e nei traffici nel Mediterraneo antico

La Sardegna se la guardiamo con l’obiettivo di un satellite che viaggia a migliaia di chilometri di quota, appare come una grande e remota piattaforma ancorata in mezzo al mare, ancora distante da ore e ore di navigazione anche con le moderne navi veloci che dai tre scali isolani raggiungono il “Continente”, per commutare persone e merci, sia in ingresso che in uscita. Sono molti ancora che considerano, nel III millennio, la nostra Isola “isolata” da tutto e da tutti…ma in antico così non era. Prima ancora della invenzione della bussola e dei moderni apparecchi elettronici di tracciamento delle rotte, i nostri avi si muovevano senza difficoltà se non quella di una finestra temporale che obbligava il fermo della navigazione dovuta ai mesi invernali per il cattivo tempo, quello che i romani definivano mare clausum, il mare chiuso, che durava quattro mesi. Siamo certi che questo ulteriore contributo dia un valore aggiunto per la conoscenza e soprattutto per la curiosità di approfondire queste appassionanti tematiche attraverso la letture di testi presenti nella nostra biblioteca comunale.

 

Per tentare una ricostruzione delle relazioni tra la cultura dei Sardi e quelle degli altri popoli che si affacciano nel bacino del Mediterraneo, sia esso Orientale che Occidentale, purtroppo dobbiamo fare quasi esclusivo affidamento alle scarne fonti storiche ma, fortunatamente, abbiamo dalla nostra una vasta documentazione archeologica.
Queste sono le cosiddette “fonti mute”. Esse rendono ai nostri giorni le testimonianze per tentare di ricostruire i quadri in cui determinati fenomeni si inseriscono; fenomeni che vedono i Sardi e la loro organizzazione, i rapporti con il mondo etrusco, dapprima gestiti direttamente con le città dell’Etruria settentrionale come Vetulonia e Populonia, poi, dopo lo stanziamento degli empori commerciali a cura delle colonie fenicie sulle coste dell’Isola, mediati proprio attraverso questi centri quali erano Tharros, Othoca e Neapolis nel golfo di Oristano, Sulci , Bithia e Nora nella parte più meridionale della Sardegna, che instaurano rapporti preferenziali con le città di Vulci, Tarquinia e Cerveteri.
Con la fine dell’età arcaica, tra i primi decenni del VI e il V secolo a C., la Sardegna è oramai ridotta a una provincia dell’impero cartaginese e, come efficacemente riporta l’archeologo Carlo Tronchetti in una sua opera: "i Sardi non sono che una delle tante componenti di questo impero, senza originalità e autonomia politica e culturale.”
Dobbiamo pertanto fare un salto indietro nel tempo per accorgerci che, quando più quando meno, la Sardegna è sempre stata pienamente immersa nei circuiti commerciali per la sua posizione al centro del Mediterraneo e la ricca e frastagliata articolazione delle sue coste, a eccezione di quella orientale dove esistono solo pochi punti favorevoli all’approdo, hanno fatto sì che l’Isola fosse, sin dalla più remota antichità, un punto di passaggio, d’incontro e anche di rielaborazione autonoma, di correnti culturali provenienti dalle diverse regioni circostanti, cioè un costante rapporto con altri popoli; questo ci occorre per far si che la Sardegna non venga considerata una realtà separata a sé stante, ma facente parte di un più grande bacino culturale proprio attraverso gli scambi di tutti quegli elementi, non solo di cultura materiale, che ora ci permettono di tracciarne meglio i confini.
Nel Neolitico Medio (IV millennio a C.) troviamo raffinate ceramiche a superficie bruna e lucida, spesso decorata con incisioni, talora con rilievi che trovano riscontro nel Mezzogiorno francese così come spiccano le statuette in pietra, le cosiddette “dee madri”, che hanno riferimenti stilistici nelle similari produzioni del Mediterraneo orientale.
Il Neolitico Recente, alla fine del IV millennio, vede la massiccia presenza della cosiddetta Cultura di San Michele di Ozieri con la sua prestigiosa ceramica che richiama forme e motivi decorativi egeo-orientali come spirali, festoni, triangoli e le stilizzazioni di figure umane singole e a gruppi, con riferimenti che vanno da Creta alle Isole Cicladi.
Tra gli orizzonti culturali che si pongono nella nostra Isola fra la metà del terzo e gli inizi del secondo millennio a C. vi sono le cosiddette facies di Monte Claro e quella definita Campaniforme che prende il nome dalla forma a campana del suo vaso più caratteristico; i popoli di tale periodo, definiti spesso come “gli zingari della preistoria”, si spostano per tutta l’Europa in piccoli gruppi isolati arrivando in Sardegna frazionati in tempi diversi, occupando in prevalenza i territori della nostra costa occidentale, convivendo pacificamente a fianco delle popolazioni indigene.
Alla soglie di quella che sarà la fase più importante per la cultura della nostra Isola a partire dalla fine del Bronzo Medio (1800 – 1700 a C.) assistiamo alla nascita, prima con forme più rudimentali definiti protonuraghi e pseudonuraghi per finire con forme più evolute come le strutture megalitiche dei nuraghi maggiori che ancora a migliaia punteggiano l’intera Sardegna.
Questa fase potremmo sicuramente definirla come “autoctona”; in ambito Egeo assistiamo alla costruzione di strutture definite a “tholos” per molti versi architettonicamente consimili alle nostre nel posizionamento dei filari litici che costituiscono la sua erezione ma, almeno per le parti residue che il tempo ha risparmiato di tali strutture, esse venivano utilizzate esclusivamente in ambito di un megalitismo funerario ad appannaggio delle classi regnanti.
E’ soprattutto in questa fase che i Nuragici (così verranno definiti i costruttori di queste possenti torri) entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee, sia a oriente che a occidente dell’Isola; incontreremo i popoli di area Egea almeno a partire dal quindicesimo secolo a C.; essi sono apportatori di strumenti e nuove tecniche per la lavorazione dei metalli. Nello stesso periodo si intrecciano relazioni con le isole Eolie e, come già accennato all’inizio con l’area tirrenica villanoviana che in seguito sfocerà nella splendida civiltà Etrusca, dove i cospicui ritrovamenti di materiali come piccoli bronzetti e altri tra cui quelli definiti come “faretrine votive”. In Sardegna, i materiali provenienti dalla Penisola sono altrettanti abbondanti; Abbiamo armi, strumenti e oggetti metallici e soprattutto fibule. Particolare rilevanza assumono i ritrovamenti di tali oggetti in quanto direttamente legati a fogge di vestiario che nell’Isola non erano adottate.
Tali scambi e relazioni fra la Sardegna e l’area Etrusca fanno intendere che essi si svolgono in un contesto ben determinato e cioè quello, appunto, delle aristocrazie.
La presenza di oggetti, prodotti nelle officine sarde, in ripostigli o altri contesti di ritrovamento in varie parti dell’Italia, spesso assieme a materiali di alto pregio proveniente da diversi e lontani centri di produzione quali la Grecia, ci fa capire come la partecipazione Sarda al “circuito dei metalli” nel bacino del Mediterraneo, fosse un fenomeno oramai ben definito.
Tutto ciò, chiaramente, non avviene all’improvviso; gli studi della archeologa Fulvia Lo Schiavo sulla notevole componente vicino orientale sia nella bronzistica che nella metallurgia sarda in generale, ci fanno capire che in Sardegna esistevano già le condizioni per un successivo sviluppo in tali direzioni.

La Sardegna, così, prosegue la sua antica tradizione di “crocevia” del Mediterraneo occidentale.
Molto spesso dispiace notare in molti la tendenza a voler considerare la nostra Isola come una entità culturale distante da altri influssi esterni, quasi che questo potesse togliere prestigio a quanto il passato ci ha tramandato; ed ecco quindi un fiorire di teorie su usi e significati di siti e oggetti che, siano essi provenienti da scavi archeologici o che si possano vedere come emergenze dei nostri paesaggi, a volte vanno ben oltre quel legittimo alone di “mistero”.
I Sardi sono stati e rimangono un importante punto fermo nel grande “melting pot” culturale, Neolitico prima e protostorico dopo; il fatto d’aver a volte appreso nuovi metodi per migliorare una tecnica esistente non ci deve per forza mettere in una condizione di sudditanza o inferiorità intellettuale, al contrario, invece è da interpretare tutto ciò; siamo stati un popolo aperto agli scambi e alle novità e il fatto di non aver avuto alcun segno che possa essere “realmente” chiarito come scrittura non deve essere interpretato in termini negativi.
La rivincita di molti “sedicenti” specialisti nella lettura del territorio antico e di quanto in esso contenuto trova spesso sfogo in teorie in cui astronomia ed esoterismo sembrano le uniche attività praticate dai nostri predecessori per poter espletare anche per le quotidiane pratiche; molto spesso il posizionamento o l’orientamento di una qualsiasi costruzione era dettato da motivi molto più pratici, come quella di poter sfruttare quanta più luce possibile per illuminare un determinato ambiente o, al contrario tenere fresca un’altra determinata area; sono convinto che i nostri progenitori, un po’ come noi ora del resto, non cercassero le complicazioni.
I Sardi ben conoscevano l’astronomia e ben conoscevano le pratiche esoteriche che sicuramente adattavano ai loro rituali ma, soprattutto erano in grado di dosare con saggezza tali conoscenze che, in una storia da considerare esclusivamente e sempre a “360 gradi”, le troviamo come patrimonio comune di ogni popolo che proprio grazie agli scambi di idee, esperienze, merci e forse anche sogni, sono arrivate fino a noi.

Le immagini sono dell’archivio di Lucio Deriu