La necropoli di San Giorgio Anfora da trasporto necropoli di San Giorgio

La necropoli di San Giorgio

La necropoli fenicia di San Giorgio alla luce attuale degli studi,  si configura come la più antica della Sardegna.

La documentazione archeologica attualmente a disposizione, vede la maggiore antichità dei centri fenici nella regione sulcitana. Tale area infatti mostra ampie attestazioni di una presenza fenicia ampiamente strutturata già verso la metà dell’VIII sec. a. C.
La ricerca archeologica legata alla ritualità funeraria fenicia, nel caso della Sardegna, rappresenta spesso l’unico strumento di conoscenza degli insediamenti fenici.
La necropoli a incinerazione fenicia di San Giorgio di Portoscuso alla luce attuale degli studi,  si configura come la più antica della Sardegna, messa in luce nel 1990 dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano.
Doveva essere correlata ad un piccolo abitato collocato nell’area intorno alla località di Porto Sa Linna e Punta Tabarchina, a nord della Peschiera di Boi Cerbus, come parrebbero indiziare i resti di un’abitazione con zoccolatura in pietra legata ad un battuto di terra pressata scoperto entro l’area industriale di Portoscuso. Altresì la collocazione topografica del sito, consentiva senz’altro un agevole collegamento con il vicino centro di Monte Sirai distante circa sette chilometri.
Il piccolo sepolcreto, venuto alla luce durante lavori di sbancamento di una serie di dune sabbiose per la costruzione di un impianto di depurazione, mise in luce 11 sepolture, alle quali se ne sono aggiunte altre, per un totale di venti, anche se fortemente compromesse, durante uno scavo successivo.
La necropoli, appartenente alla piccola comunità, era composta da tombe a incinerazione del tipo a cassetta litica, cioè costituite da una serie di lastre in pietra che racchiudevano il vaso destinato a contenere le ceneri dei defunti e chiuse superiormente da una lastra di copertura anch’essa in pietra.
La documentazione di questa ben nota tipologia tombale, ha trovato a Bitia in territorio di Domusdemaria la documentazione più abbondante e significativa, ma i materiali bitiensi rimandano ad un orizzonte più recente rispetto a San Giorgio, di almeno 150 anni.
La cista individuata con il numero 10, risparmiata dai danneggiamenti relativi ai mezzi pesanti, ha restituito l’aspetto originario delle sepolture,  testimoniando un modello costante replicato in tutte le tombe di San Giorgio, nelle quali,  anfore destinate al contenimento e al trasporto del vino, appartenenti ad una tipologia di ampia circolazione in area mediterranea, tra la seconda metà dell’VIII e l’inizio del secolo seguente, venivano utilizzate come cinerari.
I cinerari, coperti da una coppa carenata rovesciata che fungeva da coperchio, erano  accompagnati da altri reperti riferibili inequivocabilmente ad un contesto arcaico anteriore di uno o due decenni rispetto a quello registrato nella vicina Sant’Antioco; le due brocche tradizionali utilizzate nel cerimoniale funerario fenicio, le brocche trilobate, alcune del tipo a sacco, le brocche con orlo circolare espanso con collo corto, tozzo e indifferenziato, rivestite della caratteristica vernice rossa, rimandano tipologicamente ad una cronologia alta, trovando puntuali confronti con esemplari siro-palestinesi e ciprioti.

Inoltre è necessario sottolineare, la presenza nella necropoli di olle indigene con ansa a gomito rovescio, attestate anche in altre aree limitrofe come San Vittorio di Carloforte identificate da Raimondo Zucca, che rimandano con tutta probabilità ad una comunità mista, fenicia e sarda, dotata di spazi funerari comuni. La presenza delle armi, quindi di un militare con il suo corredo fenicio in un contesto relativo all’VIII secolo pone un problema interpretativo rilevante riguardo ad un insediamento misto che attesta un personaggio fenicio sepolto con una lancia dotata di punta e tallone in ferro. L’analisi complessiva dei corredi di San Giorgio, i resti combusti, e i materiali rinvenuti, tra cui anche monili in bronzo e in argento, rimandano ad età ed uno status dei defunti differente.  Il richiamo  ad un costume funerario legato al cerimoniale e al rito della libagione e del banchetto, con il  consumo rituale del vino, trova connessione  con l’eroizzazione del defunto, rimandando  a tradizioni antichissime di matrice orientale legate ai banchetti funebri (marzeah).

 

Bibliografia:
P. Bartoloni, 2011,  Fenici al volo. La Sardegna fenicia e punica
P.  Bartoloni 2009, I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna
P.  Bernardini 2010, Le torri, i metalli, il mare. Storie antiche di un’isola mediterranea.
P. Bernardini, R. Zucca,  Indigeni e Fenici nelle isole di San Vittorio e Mal di Ventre

(Sardegna occidentalehttps://core.ac.uk/download/pdf/11692263.pdf

M. Guirguis, Dal fuoco alla terra: le necropoli fenicie del Sulcis (VIII-VI sec. a.C.), in M. Guirguis, E. Pompianu, A. Unali (a cura di), Summer School di Archeologia fenicio-punica. Atti 2011 (Quaderni di Archeologia Sulcitana, 1), Carlo Delfino Editore, Sassari 2012, pp. 55-61mo