Scheda: Luogo - Tipo: Edifici monumentali

Cattedrale di Santa Maria Assunta

Cattedrale di Santa Maria Assunta. Foto di Gianfranco Casu_SarGea. ©Archivio Fotografico MuseoOristano

La Cattedrale di Santa Maria Assunta è il principale luogo di culto della città. Fondata al trasferimento della capitale del regno da Tharros a Oristano, è tuttora la più grande chiesa cattedrale dell’Isola

Piazza Duomo


Lat: 39.902778 Long: 8.590233

Costruzione: XI Sec. (1000-1099) - XII Sec. (1100-1199)

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  • edificio religioso | cappella | edificazione | gotico | romanico | chiesa

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  • Cattedrale | Duomo | culto

Le origini bizantine

La Cattedrale di Santa Maria Assunta sorge in una zona sopraelevata ai margini dell’originario abitato altomedievale di Oristano. Indagini archeologiche  condotte intorno agli anni Ottanta hanno rivelato una frequentazione dell’area a partire dal V secolo, nel periodo in cui l’isola è interessata dall’occupazione vandala. Tra il VI e il VII secolo un vasto settore viene impiegato come cimitero pertinente una piccola chiesa in forma di croce. Secondo i documenti risalenti al XII secolo, la chiesa è intitolata a San Michele Arcangelo. Il culto di colui che accompagna le anime in paradiso, giustifica la presenza del cimitero con presenza di sepolture del tipo “a cassone”, ovvero costituite da lastre in arenaria e basalto posate verticalmente

Il periodo romanico

Il primo documento che menziona la Cattedrale di Santa Maria risale al 1131. Il cantiere romanico probabilmente viene impostato negli ultimi anni dell’XI secolo, quando la nuova divisione delle province ecclesiastiche e il trasferimento della capitale giudicale da Tharros a Oristano determina anche lo spostamento del clero.
Il sito designato per l’impianto della cattedrale e del palazzo arcivescovile, si presenta adatto ad accogliere il principale edificio ecclesiastico di Oristano. Del primo cantiere ben poco si conosce: le colonne e i capitelli marmorei  del II/III secolo d.C.  che fungono da pilastri per i settori della basilica romanica e i celebri Plutei con Daniele nella fossa dei Leoni e Leoni che adunghiano cerbiatti, ospitati nel Museo Diocesano Arborense. I Plutei, opera di un ignoto maestro dell’Italia meridionale, fungevano da recinzione presbiteriale del duomo romanico. L’aspetto di questa prima chiesa doveva richiamare complessivamente quello della cattedrale di Santa Giusta e della basilica di San Gavino di Porto Torres.
Tra il 1195 e il 1228 la cattedrale muta per la prima volta il suo aspetto. In seguito all’invasione del giudicato d’Arborea da parte di Guglielmo di Massa, il duomo subisce gravi danni che determinano una parziale ricostruzione. Grazie alla descrizione del padre cappuccino Jorge Aleo, è possibile restituire l’immagine di una chiesa riedificata in opera bicroma, segno del passaggio di maestranze formatesi in cantieri pisano-pistoiesi. Negli stessi anni è attivo un nuovo cantiere del vicino San Francesco di Oristano, forse ad opera degli stessi costruttori. La solenne consacrazione del duomo avviene entro il 1228, quando il maestro Placentinus firma i Picchiotti bronzei con protomi leonine oggi conservati nell’Aula Capitolare, celebrando cosi per via epigrafica il concorso del giudice “condomino” Mariano II di Torres.

 

Il Trecento e le novità del gotico.

Durante tutto il Medioevo, la cattedrale diventa il luogo prescelto per la stipulazione di atti, contratti e per la redazione di diplomi di cancelleria. Nel primo Trecento, sotto il regno di Ugone II Bas-Serra, il duomo subisce un nuovo adeguamento alle esigenze dell’epoca: viene demolita l’abside semicircolare romanica per lasciar spazio a un monumentale transetto, con quattro cappelle a pianta quadrangolare e ampio presbiterio. Così la basilica romanica assume quella forma de cruz ricordata dall’Aleo. Vi è tuttora incertezza sull’esatta collocazione della cappella sepolcrale dei regnanti arborensi consacrata a San Bartolomeo, citata nel testamento di Ugone del 1336. Secondo alcuni studiosi l’ultima dimora terrena dei giudici si sarebbe potuta trovare nel transetto appena costruito; secondo altri in una cappella prospicente la cattedrale, identificata con l’attuale oratorio dell’Immacolata del Seminario Arcivescovile.

Al XIV e al principio del XV secolo risalgono preziose opere d’arte pervenute sino ad oggi. Intorno alla metà del Trecento i Plutei vengono rilavorati sul lato opposto alla scultura del XII secolo. Uno scultore affine a Jaume Cascalls, tra i massimi artisti del gotico catalano, scolpisce i nuovi rilievi con figure di santi entro cornici architettoniche. Questi rilievi policromi si accompagnano certamente al simulacro della Beata Vergine del Rimedio, anch’esso marmoreo e prodotto dalla medesima officina artistica. La preziosa statua è sita nella cappella del Santissimo Sacramento, unica  testimonianza architettonica superstite del periodo medievale.

 

Il duomo nell’Età Moderna

Paradossalmente ancor meno si conosce sulla storia del duomo nell’Età immediatamente successiva. Una rara scultura traccia però un segno di continuità nelle scelte di grande qualità: è il simulacro ligneo dell’Annunziata, scultura del primo decennio del Quattrocento attribuita oggi a Francesco di Valdambrino, artista prerinascimentale. Nel corso dell’Età Moderna, la cattedrale vede le sue strutture radicalmente modificate ancora una volta. Da documenti rinvenuti recentemente e riferibili alla metà del XVI secolo, sono oggi note circa quindici cappelle e altari consacrati, alcune amministrate da un obriere, generalmente detentore con la sua famiglia dei diritti di sepoltura. Nel corso del XVII secolo una corporazione artigiana, il Gremio dei Falegnami, trova posto in cattedrale con il patronato della cappella di San Giuseppe. Le nuove cappelle vengono ricavate aprendo brecce nel paramento murario medievale, aumentando così notevolmente la superficie della chiesa. Le cappelle sorte in questo periodo (XVI/XVII secolo) somigliano ad altre erette in chiese cittadine come: il San Martino, San Francesco e San Domenico.

In un periodo compreso tra il XV e il XVI secolo viene collocata  l’imponente torre campanaria della cattedrale, edificata sopra una pianta ottagonale sul fianco aperto verso il sagrato. Le celle possiedono ogni faccia con aperture ogivali adorne di capitellini fitomorfi, ma vengono occluse intorno alla metà del Settecento a causa del crollo della cella superiore. Il Daristo aggiorna il gusto tardo-gotico della struttura con balaustre, mascheroni e con una nuova copertura ottenuta mediante un cupolotto coperto in maioliche realizzate da artigiani oristanesi.

Nel febbraio 1637 la cattedrale viene devastata insieme ad altri edifici e luoghi di culto cittadini, dalle truppe francesi del conte di Lorena Enrico d’Harcourt. Con la sconfitta e successiva fuga del nemico, avvenuta il giorno di Sant’Alessandro, le armi nobiliari del conte vengono consegnate all’arcivescovo. Quattro stendardi di seta finemente ricamati si trovano da allora sulla controfacciata del duomo, a memoria della vittoria sugli invasori. Negli stessi anni viene realizzato un nuovo coro, detto oggi Archivietto, capolavoro del sincretismo tardo-gotico e rinascimentale di scalpellini oristanesi.

 

La ricostruzione settecentesca

Un secolo più tardi nel 1729, il Capitolo Metropolitano delibera unitamente all’arcivescovo Nin la ricostruzione pressoché totale della cattedrale. I documenti raccontano di una scelta sofferta, causata dal pessimo e irreparabile stato di conservazione di gran parte delle murature, della pavimentazione e delle coperture. Il progetto viene affidato prima all’architetto Garruccio, poi all’Ariety. La morte del primo progettista permette al secondo di risparmiare parte delle strutture medievali, già demolite fino al transetto. Le possenti fondazioni medievali avrebbero retto parte del nuovo edificio. La difficoltà di disporre di architetti qualificati, come nel caso del coevo Seminario Arcivescovile, determina diverse modifiche in fase progettuale. Nonostante questi inconvenienti, si ottiene un insieme maestoso e coerente, specchio del gusto tardomanierista e barocco. Su un’unica ampia navata voltata a botte si aprono tre cappelle per lato, anch’esse di notevoli dimensioni; i volumi dilatati danno l’impressione di una chiesa a tre navate. Altrettanto ampio è il transetto, nel quale si integrarono le strutture medievali. All’incrocio dei bracci svetta il tamburo della cupola.
Al decoro marmoreo della cattedrale provvede il ligure Pietro Pozzo, attivo nei maggiori cantieri dell’Isola. Il Pozzo viene coadiuvato da Giovanni Maria Massetti, che mette a disposizione una quantità di progetti per la realizzazione dell’arredo presbiteriale e dell’altar maggiore. Al Pozzo si devono anche le due prime cappelle in direzione del presbiterio, una intitolata a San Filippo Neri e l’altra a Sant’Archelao, patrono della città, il pulpito e il fonte battesimale. Le nicchie degli altari in marmi policromi ospitano statue monumentali coi santi titolari. La cattedrale, consacrata entro il 1742, riceve nel corso del Settecento preziosi arredi lignei. L’altare della cappella di San Giuseppe, realizzato da artisti oristanesi per il Gremio dei Falegnami, custodisce nelle sue nicchie i simulacri dei patroni della corporazione, opere della bottega del napoletano Lorenzo Cerasuolo. Quasi tutte le opere attualmente in cattedrale sono di provenienza campana o locale, eccezion fatta per il grande ovale con L’Assunzione di Maria e Sant’Archelao, dipinta da Vittorio Amedeo Rapous. Le due cappelle contigue a quella di Sant’Archelao, intitolate a San Michele Arcangelo e all’Annunziata, con altari in stucchi policromi, sono opera di un certo Muy, artista locale. Nell’ultimo decennio del XVIII secolo viene completato il rivestimento esterno della cattedrale. Il progetto iniziale prevede il reimpiego delle colonne di spoglio dell’antico duomo romanico, ma la penuria di fondi costringe i progettisti ad optare per un liscio rivestimento, movimentato solo dal portale con edicola retta da colonnine granitiche e timpano spezzato. Il semplice modello dell’edicola diventa un vero esempio per le chiese del circondario, come la parrocchiale di Massama.

 

La fabbrica di Santa Maria tra Ottocento e Novecento

Importanti lavori vengono condotti tra il XIX e il principio del XX secolo. Il canonico Luigi Tola lascia alla sua morte (1829) una ingente somma destinata alla realizzazione di un’ampia cappella da ricavarsi sul lato sinistro del transetto. La cappella deve essere intitolata a San Luigi Gonzaga. L’architetto Giuseppe Cominotti elabora i progetti per la nuova opera, pensando di estendere l’idea al lato opposto del transetto. Per restituire maggiore armonia all’edificio viene edificata una cappella gemella, intitolata a San Giovanni Nepomuceno. Entro il 1837 i lavori si concludono e le cappelle vengono consacrate. Le sculture monumentali in marmo ivi presenti sono di Andrea Galassi, allievo del Canova. Alla metà del secolo risalgono le grandi tele del coro, opera del Marghinotti, acquisite però qualche decennio dopo la loro realizzazione.

Nel 1861 viene realizzato il nuovo altare in marmo per la cappella del Sacro Cuore, in sostituzione di un precedente altare ligneo dedicato alla Beata Vergine di Montserrat. Nei primi anni del Novecento si provvede a liberare alcuni spazi occultati e obliterati da murature recenti: tornano alla luce i resti del transetto gotico, la bifora del battistero e la cappella della Vergine del Rimedio. L’antica cappella viene allora investita dal revival neo-medievale, e accomodata con un nuovo altare opera dello scultore Giuseppe Sartorio. La decorazione musiva sul fondo si deve invece a Ettore Ballerini, che dirige anche i lavori di decorazione a fresco dell’intera chiesa, col concorso di pittori locali.

La cattedrale non ha cessato l’attività della sua “fabbrica”. Molti lavori vengono ancora condotti, con opere di manutenzione, ripristino e restauro delle opere del duomo, che necessitano di costanti cure e solerti interventi.

 

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