NURACRABA

Nuracraba

In questa seconda uscita non ci sposteremo di molto dalla precedente località trattata; a poco più di un chilometro a ovest, rispetto a Fenughedu/Iscolopius troviamo l’attuale area dove sorge la Basilica del Rimedio e, proprio da essa partiremo con una nuova storia. Sarà sempre la penna felice del Prof. Salvatore Sebis a guidarci alla scoperta di questo territorio con il suo passato [1].

 

Le origini della Basilica della Madonna del Rimedio, situata nella omonima borgata del Comune di Oristano, sono strettamente legate alle vicende storiche di Nuracraba, un modesto villaggio sorto in età medievale e abbandonato tra il 1728 e il 1736. Il nucleo primitivo della basilica è composto infatti dalla chiesa parrocchiale superstite del piccolo centro rurale scomparso, dedicata probabilmente fin dalle origini al culto di Nostra Signora del Rimedio.
Nuracraba, come i vicini paesi di Nuraxinieddu e di Nurachi formatisi in prossimità di un nuraghe, prese il nome da una di queste antiche costruzioni le cui tracce sono affiorate inaspettatamente nel 1983 a breve distanza dalla chiesa, nella tenuta che appartenne al nobile oristanese Don Efisio Carta.
Secondo alcuni studiosi, la villa di Nuracraba fu denominata inizialmente, in opposizione a Nuraci Nigellu (nuraghe nero), l’attuale paese di Nuraxinieddu, Nurau Albu (nuraghe bianco) e con tale nome pare citata nell’atto di pace del 1388 tra Eleonora d’Arborea e Giovanni d’Aragona fra le ville comprese nella curatoria del Campidano Maggiore. Se così non fosse, la prima attestazione documentaria di Nuracraba si avrebbe molti anni più tardi, e precisamente nel 1533 negli Atti del Parlamento del viceré spagnolo Fernandez de Heredia.
Le scarse notizie sulle vicende della villa durante la dominazione spagnola si riferiscono quasi esclusivamente alla sua consistenza demografica. Nei censimenti effettuati negli anni 1589 e 1627 furono conteggiati in essa, rispettivamente, 34 e 36 “fuochi”, vale a dire famiglie. La popolazione si ridusse in modo drastico fino a 16 fuochi nel 1655 a causa della peste che imperversò in tutta l’Isola negli anni 1652-56. Una lieve ripresa demografica si riscontra col censimento del 1678 (28 fuochi), subito però vanificata dalla terribile carestia del 1681 a seguito della quale rimasero a Nuracraba solo 4 famiglie. Da questo momento in poi il villaggio appare ormai avviato verso un inesorabile declino fino al suo abbandono definitivo da parte delle ultime famiglie residenti. A nulla valsero le franchigie richieste e ottenute dalla città di Oristano nelle Corti generali del conte di Monteleon del 1688 per chi si fosse trasferito a Nuracraba o nelle ville di Silì e di Fenughedu.
Dieci anni dopo, infatti, nel villaggio continuavano a dimorare appena 11 famiglie e 41 abitanti e pressoché invariata (12 famiglie e 45 abitanti) si presenta la situazione nel 1728 a pochi anni dalla cessione del Regno di Sardegna ai Savoia. Le condizioni di vita dovevano essere diventate davvero insostenibili, se di lì a poco gli ultimi abitanti decisero di abbandonare il villaggio, trasferendosi, come si tramanda, nel vicino paese di Donigala.
Non sappiamo con precisione quando la villa rimase effettivamente “deserta”, in ogni caso lo era di certo nel 1736, anno in cui il suo territorio, diventato un salto del patrimonio regio, fu concesso in feudo insieme ai salti di Iscla Maggiore, Pompongias, Fenugheda e Fossados, a Don Saturnino Ignazio Cani, col titolo di Conte di Iscla Mayor.
Le vicende storiche che seguirono riguardano soltanto una terra spopolata che restò un possesso feudale fino al 1839. Morto Don Saturnino Cani nel 1741 senza eredi e senza testamento, il feudo fu trasferito nel 1745 a Don Antonio Bernardino Genoves, Marchese della Guardia e Duca di San Pietro, col titolo di Marchese di Vallermosa e Santa Croce e l’obbligo di ripopolare con tale nome la deserta Nuracraba, stabilendovi almeno 50 famiglie. Tale impegno tuttavia non poté essere mantenuto in quanto diversi privati e Congregazioni religiose di Oristano e dei villaggi vicini si erano già impossessati della maggior parte delle terre di Nuracraba e del salto limitrofo di Fenughedu.
Nel 1804, per donazione testamentaria da parte di Carlo Alberto Genoves, figlio di don Bernardino, il possesso feudale fu ereditato dal nipote Don Stefano Manca di Thiesi, e dopo l’abolizione del sistema feudale decisa dal governo sabaudo nel 1836, fu suo figlio Don Carlo ad occuparsi nel 1839 della causa per la cessione del feudo. I redditi monetari quantificati per i salti di Nuracraba e di Fenughedu (scudi 204,8 soldi e 4 denari) e per i piccoli salti di Cannedu, Cabuen e Gutturu Mannu, attigui a quello di Nuracraba (scudi 74,29 soldi e 2 denari), furono riscattati dall’allora Comune di Donigala, il quale poté così unire queste terre al proprio territorio.
Ridisegnare oggi in modo attendibile i confini del salto di Nuracraba entro i limiti del territorio di Donigala, aggregato al Comune di Oristano nel 1927, non è certo un compito agevole. E’ tuttavia possibile grazie soprattutto a un documento del 10 aprile 1810, conservato presso l’Archivio di Stato di Cagliari (Regio Demanio, Feudi, n.5, Marchesato di Villaermosa e Santa Croce).
La preziosa fonte documentaria costituisce il verbale della ricognizione del salto di Nuracraba compiuta da cinque periti revisori su richiesta di Don Stefano Manca che in tal modo intendeva far valere i propri diritti feudali nei confronti di coloro che si erano impossessati, secondo lui in modo illegittimo, delle terre comprese nel suo feudo.
Sperare di ritrovare oggi sul terreno gli stessi elementi che consentirono allora di riconoscere i limiti del salto, sarebbe vano. L’intero territorio ha infatti subìto nel tempo, soprattutto a causa delle opere di bonifica e di trasformazione agraria eseguite negli ultimi cinquant’anni, radicali interventi da parte dell’uomo, i quali hanno concorso a cancellare e ad alterare i diversi aspetti del paesaggio agrario che traspaiono dal documento. In particolare va ricordato che negli anni ’30 e ’40 dello scorso secolo il rio Nuracraba che prima confluiva nel fiume Tirso, fu canalizzato e deviato verso lo stagno di Cabras.
Nonostante queste oggettive difficoltà, i dati contenuti nel verbale della ricognizione ci appaiono indispensabili per poter ricostruire, almeno sulla carta, il perimetro del salto di Nuracraba, avvalendoci contemporaneamente delle informazioni che possiamo ricavare dalle mappe del Cessato Catasto del 1855 e del Nuovo Catasto del 1933 relative al Comune di Donigala, e pertanto anteriori nel tempo alle opere di bonifica e di trasformazione agraria.
La ricognizione inizia dal “fondo” del rio di Nigola Stroni del quale non è rimasta nessuna traccia né sul terreno né sulla toponomastica. Il testo della ricognizione, tuttavia, ci consente di localizzare il rivolo poco più a est del ponte sul Rio Nuracraba nel quale confluiva formando una profonda voragine allungata, chiamata localmente “fondo”. Risalendo dal bennaxi verso il gregori, lungo il tratto di circa 740 metri, il territorio di Nuracraba confinava con il salto della villa abbandonata di Fenughedu. L’ultima pietra di confine con questo salto era collocata in un sentiero, tuttora esistente, che conduce al vicino paese di Donigala, e da identificare col Viottolo Nura Cabras del Cessato Catasto e con Gutturu is Arcais del catasto del 1933.
Proseguendo verso ovest per circa 1 chilometro fino a incrociare la strada che porta a Solanas, la stessa strada su cui si affaccia il monumentale portale di Vitu Sotto, il salto di Nuracraba confinava con il territorio di Donigala, secondo una linea che possiamo ipotizzare pressoché dritta.

Da questo punto in poi si sviluppavano i limiti con i territori di Solanas e di Oristano, seguendo una linea che vediamo riproposta fedelmente nelle carte catastali dal 1855 al 1933.
In dettaglio, ripartendo dalla citata strada per Solanas, dopo 816 palmi, ossia 214,2 metri, si incontravano in una vigna i ruderi della chiesa di Santa Maria Canedu. Quasi certamente si tratta della stessa chiesa richiamata dal toponimo Pauli de Santa Maria Maddalena de Cannedu, che compare in una carta del 1640 fra gli Atti Notarili del Convento di San Francesco di Oristano. Di seguito la linea di confine, dopo aver intersecato la palude di Cannedu, raggiungeva la strada per Solanas e Cabras e proseguendo verso sud, superata la strada di Torregrande, si univa al corso del fiume Tirso in località Sa Piscada.
Nel tratto conclusivo, confinante con il territorio di Oristano, si seguiva a ritroso il corso del Tirso, quindi si giungeva al punto di confluenza del rio Nuracraba nello stesso fiume e costeggiando il rivolo in località Is Lacunas, fino al ponte detto appunto di Nuracraba, lungo la strada per Oristano. Poco più a est era situato il “fondo” del rio Nigola Stroni, da cui ebbe inizio la ricognizione dei periti.

Pubblicazione autorizzata dall’Autore.
Le fotografie fanno parte dell’archivio del Pr. Sebis e di Lucio Deriu

[1] Da: QUADERNI ORISTANESI 59/60; aprile 2008.