La Sardegna nelle fonti classiche 2

LA SARDEGNA NELLE FONTI CLASSICHE 2

In questa seconda parte ci dedicheremo alla scoperta degli approdi; questi spesso erano spesso in delle insenature riparate e una semplice formazione rocciosa con sufficiente fondale rendeva, in condizioni di mare calmo, possibili l’avvicinamento dell’imbarcazione per procedere all’imbarco e allo sbarco di persone e cose.

 

I porti e gli approdi della Sardegna, sia di interesse strategico sia commerciale che spesso, se non direttamente riportati nelle fonti classiche, sono facilmente ravvisabili nei brani di importanti opere come Tolomeo [1]: “Mandò inoltre navi da carico in Sardegna e in Lybia per l’approvvigionamento del grano e di altri viveri” e poi ancora “[La Sardegna]… è estesa e fornisce abbondanti quantità di prodotti, e in particolare grano.”

Il particolare interesse di Cartagine allo sfruttamento intensivo delle fertili pianure sarde; questo sembra confermato anche da un passo dello pseudo Aristotele ove si legge che Cartagine, nel suo intervento in Sicilia e Sardegna tra il 540 a.C., e il 509 a. C., proibì nell’isola la coltivazione degli alberi da frutta, ed è evidente che lo spirito del provvedimento dovette essere quello di privilegiare le colture estensive ed intensive di cereali, riservando ad esse tutto il terreno disponibile dando così il probabile inizio al disboscamento dell’Isola.[2]

L’età romana repubblicana vede la Sardegna come grande produttrice di grano e, anche se in minore misura, di pregiato olio.
L’importanza rivestita dalla iscrizione ostiense del 173 d.C. dedicata al mercator M. Junius Faustus frumentarius dai domini navium Afrarum universarum item Sardorum indica come fosse assai stretto il legame tra Sardegna ed Africa nell’ambito del mercato dei rifornimenti granari all’Urbe, mercato che veniva affiancato dallo smercio di altre derrate alimentari quali appunto olio, garum e allec (salse piccante di pesce particolarmente apprezzate), con altre probabili merci di accompagnamento a completamento del carico.

Tutti richiami che non fanno altro che confermare la primaria necessità di poter disporre di approdi, anche solo stagionali (del resto la maturazione del grano e la sua mietitura avvengono proprio nei mesi tardo primaverili ed estivi, quelli solitamente dedicati alle navigazioni d’altura e al cabotaggio costiero nonché e, solo presumibilmente in base alle fonti, per utilizzi militari), ma sicuramente disposti lungo un tratto di costa molto ampio, onde evitare lunghi e costosi trasferimenti sia di cereali che di truppe via terra e di quanto altro veniva prodotto ed esportato dall’Isola.

A tal proposito è bene ricordare che il commercio nell’antichità veniva quasi esclusivamente condotto via mare; queste vie erano di gran lunga preferite a quelle terrestri per molteplici ragioni, a partire dalla portata delle stive delle navi onerarie di molto superiori ai volumi di carico dei mezzi di terra; per fare un esempio, il carico di 375 carri con una portata totale di 150 tonnellate (mediamente 4 quintali a carro) potevano essere trasportati su una unica nave di medie dimensioni che aveva l’equivalente in peso di 3000 anfore.

Certo il commercio marittimo era pieno di incertezze, e i numerosi relitti lo dimostrano, così come dimostrano l’utilizzo e la preferenza delle vie marittime. Dove avvennero i naufragi?

Nella grandissima maggioranza dei casi in prossimità della terra, in vista delle coste. Secondo la natura di queste (basse o a picco) i relitti si trovano più o meno in profondità. I fondali con relitti sono quindi in buona parte ambienti accessibili ai subacquei; se la vicinanza di una costa rappresentò un pericolo evidente per la navigazione, l’alto mare in ogni tempo contribuì notevolmente ai naufragi.

Si stima che il numero potenziale di relitti romani nel Mediterraneo sia di alcune decine di migliaia, dato che è noto come il solo vettovagliamento di Roma richiedesse annualmente il trasporto di 400.000 tonnellate di cereali dall’Egitto e dall’Africa. Comparativamente, il complesso dei porti attivi nello stesso periodo non superò il migliaio e quindi si ha motivo di attendersi ancora molte rivelazioni dalla gran quantità di relitti conosciuti o da scoprire.

Una economia quella sarda già sfruttata dai Cartaginesi, che occuparono l’isola alla fine del VI sec. a.C. sino al 238 a.C. proteggendo le rotte da e per l’isola con l’ausilio della loro flotta militare, come si desume, non solo dai trattati tra Roma e Cartagine del 509 a.C. e del 348 a. C., ma anche da un celebre passo di Strabone:

“I Cartaginesi senza alcuna esitazione avrebbero fatto affondare qualunque nave, qualora qualche forestiero avesse navigato nei tratti di mare adiacenti alla Sardegna o alle Colonne d’Ercole”.



[1] Claudio Tolomeo in Geografia. (I sec. d.C.)

[2] Non è da escludere che molti nuraghi delle nostre pianure, già ridotti in rovina, siano stati definitivamente smantellati per lasciare posto alle grandi estensioni di grano.