LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI SA OSA 6

LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI SA OSA 6 - Fiore femminile di vite selvatica

In questa sesta parte del resoconto dello scavo dell’area di Sa Osa ci soffermeremo su un argomento che spesso ha affascinato e coinvolto moltissime persone, spesso totalmente digiune della necessaria preparazione scientifica, ma armate di una inesauribile percentuale di sardo-centrismo, dove appunto la nostra Isola appare non solo fisicamente al centro del Mare Mediterraneo ma anche al centro di tutta la cultura antica; quindi noi Sardi quali “unici e veri” dispensatori della cultura e del sapere, non solo tecnologico

Da quando la pagina di MuseoOristano sta dedicando alla nostra Isola ampio spazio alla archeologia e alla storia in generale, abbiamo imparato a conoscere moltissimi altri attori comprimari coinvolti in quella fittissima rete di traffici di persone e cose ne mondo antico tra i quali anche noi Sardi.
In questo bellissimo contributo, di mero taglio scientifico, si parlerà di vite e di vino…argomento spesso presente nelle discussioni. I nuragici prima dei Fenici…dei Greci e dei Romani che domesticano questa pianticella per trarne quel prelibato nettare che sarà il vino; bianco, rosato o rosso che sia accompagna l’evoluzione dell’uomo da millenni e ancora oggi non vi è avvenimento o cerimonia, formale o informale che non lo veda protagonista.
Come già proposto in precedenti contributi anche per questo si è scelto la presentarlo pressoché in versione integrale, mondandolo solo della parte bibliografica (che potete trovare effettuando sul web il download completo degli articoli presenti in Tharros Felix IV)

 

 

Prime osservazioni sui vinaccioli rinvenuti negli scavi di Sa Osa

La vite è una coltura di grande interesse: il suo studio è connesso a campi molto lontani dalla pratica agricola o dalla tassonomistica botanica. Infatti religione, tradizioni, usi e costumi sono legati alla sua storia fin dalle origini dell’umanità.
Chiarire le origini della vite coltivata significa, quindi, conoscere la storia del coltivatore che ha colonizzato le terre portando con sé esperienze e conoscenze necessarie per sviluppare nuove società agricole.
Le scoperte archeologiche degli ultimi anni e le potenzialità offerte dallo sviluppo della biologia molecolare permettono oggi di affrontare il problema della storia della vite sotto una diversa prospettiva, partendo dalla determinazioni dei rapporti genetici di parentela tra vite selvatica (Vitis vinifera L. ssp. sylvestris) e vite domestica (Vitis vinifera L. ssp. sativa).
La vite coltivata (Vitis vinifera L., spp. sativa) si sarebbe originata dalla vite selvatica (Vitis vinifera L., spp. sylvestris).
Diverse sono le caratteristiche distintive tra queste due sottospecie: la vite selvatica cresce spontaneamente nei corsi d’acqua dei Paesi che si affacciano nel bacino del Mediterraneo ed è una specie dioica con una rara presenza (5%) di individui ermafroditi, mentre la vite coltivata predilige ambienti aridi ed è caratterizzata da fiori completi capaci di autofecondarsi.

Le teorie classiche sull’origine e la diffusione di questa coltivazione presuppongono che dall’Oriente del Mondo Antico essa sia stata trasportata per tappe successive fino al Mediterraneo occidentale. In effetti, se è vero che, al momento, le tracce più antiche relative alla produzione di vino provengono dal Caucaso, e se sempre da questa regione sembra provenire la vite selvatica, è altrettanto vero che nuove indagini sul corredo genetico dei vitigni coltivati sembrano indicare come questi siano frutto di una domesticazione puntiforme della vite, avvenuta in diversi areali partendo dalle viti selvatiche locali, più che di un’improbabile origine unica.
È facile intuire che se veramente la coltura della vite (e le sue varietà) sono state portate per tappe da Est verso Ovest, tracce di questa origine dovrebbero essere presenti nel DNA. In realtà sembra proprio che le varietà coltivate nel Mediterraneo occidentale siano molto più vicine alle viti selvatiche dello stesso areale che non a quelle del lato orientale.
E questo non è cosa di poco conto, soprattutto se si considera che il tipo di viticoltura che si è affermato nel mondo (almeno a livello di scelta della varietà da coltivare) non è certo quello greco, ma è quello dell’Occidente europeo. I vitigni più coltivati al mondo sono tra i neri il Grenache (il nome con cui il Cannonau è internazionalmente conosciuto) e, tra i bianchi, un vitigno di origine spagnola, l’Airèn. In entrambi i casi si tratta di varietà di vite sicuramente mediterranee – occidentali.
A gettare una luce ancora più chiarificatrice sull’argomento giunge la ricostruzione delle origini di un vitigno che si pensava tipicamente greco: il Malvasia.

Premesso che vi sono diverse varietà di Malvasia, esse presentano comunque alcuni caratteri ampelografici comuni: grappolo spargolo, gusto più o meno aromatico, generalmente bianche. Una delle Malvasie che si è diffusa maggiormente è quella che caratterizza le produzioni di alcune aree del Mediterraneo occidentale (Sardegna, Lipari, Sitges) e dell’Atlantico (Isole Canarie). Infatti il vitigno Malvasia di Sardegna, il Malvasia delle Lipari, il Malvasia di Sitges (Catalogna) e il Malvasia delle Canarie sono lo stesso vitigno.
Ricordiamo che il vino e il vitigno Malvasia, secondo le più comuni opinioni, sono derivati dalla Grecia, dal porto di Monembasia. La logica conseguenza di questo è che il vitigno e il vino si sarebbero diffusi nel mondo da questo porto. Tanto che uno dei sinonimi del vino malvasia, ma anche del moscato, è quello di “vino greco”.
Eppure, pur ammettendo la notevole eterogeneità di questo gruppo, studi recenti evidenziano non solo la assoluta mancanza di qualsiasi parentela genetica tra le malvasie coltivate oggi in Grecia e quelle del Mediterraneo occidentale, ma addirittura queste ultime presentano caratteri genetici tipici dei vitigni del Mediterraneo occidentale. Certo che se non abbiamo certezza che nemmeno il famoso Malvasia arrivi da Oriente, diventa sicuramente importante prestare molta attenzione ai processi di selezione e domesticazione che si sono avuti da questa parte del Mediterraneo.
È evidente a questo punto che sapere e conoscere la dinamica della domesticazione della vite e dell’origine e della diffusione delle varietà nel Mediterraneo occidentale non è solamente un esercizio culturale, ma diventa indispensabile per gettare una luce più chiara ed esaustiva su questa coltura.
Un carattere molto importante, specialmente per l’esame dei vinaccioli provenienti da scavi archeologici, è il rapporto tra la larghezza e la lunghezza del vinacciolo. I vinaccioli della specie selvatica tendono a forme rotonde, con un rapporto tra larghezza e lunghezza che oscilla tra 0,8 e 1, mentre i vinaccioli delle varietà coltivate presentano una forma allungata e quindi un rapporto inferiore a 0,8 e tanto più basso quanto più la varietà è specializzata: infatti i semi più lunghi sono presenti nelle uva da tavola.
Ermafroditismo e autofecondazione rappresentano i caratteri di maggiore interesse agronomico che l’uomo primitivo ha selezionato nel processo di domesticazione, per ottenere una sicura ed abbondante produzione.
Le notevoli risorse genetiche della vite in Sardegna (all’elevato numero di vitigni tradizionali coltivati in vigneti antichi fa da sponda l’elevato numero di viti selvatiche presenti nel territorio) fanno intravedere origini antichissime sia della coltivazione di questa specie che dell’esistenza di un’industria del vino nell’isola.
La presenza di vinaccioli in strati archeologici risalenti al bronzo medio e al bronzo finale, unita a quella di recipienti atti a contenere vino, sia nel territorio dell’isola che di altre aree del Mediterraneo, dimostra la presenza di attività vitivinicola di una certa entità nell’isola.
I vinaccioli ritrovati a Sa Osa, in comune di Cabras, riconducibili al Bronzo recente, si presentano con una notevole peculiarità rispetto alla quantità degli stessi e allo stato di conservazione, trattandosi di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli “freschi” reperibili da acini raccolti da piante odierne.
Il loro numero e il buono stato di conservazione permettono di verificare la possibilità di studi di dinamica di popolazione delle varietà di vite, cercando di stabilire se i vinaccioli presenti a Sa Osa sono in qualche misura compatibili con vitigni arrivati fino a noi.
Un programma di ricerca di questo tipo non può non avere, per quanto dichiarato in precedenza, un approccio multidisciplinare. Pertanto, per gli aspetti di carattere ampelografico e botanico, oltre ad Agris Sardegna (l’Agenzia per la Ricerca in Agricoltura della Regione Sardegna) verranno coinvolti anche il Dipartimento della Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano Bicocca per le analisi di biologia molecolare sui vinaccioli, il Centro di Conservazione della Biodiversità dell’Università di Cagliari e la Stazione di Granicoltura di Caltagirone della Regione Sicilia, che ha messo a punto una metodologia di determinazione morfo-colorimetrica dei semi, in collaborazione con il CCB dell’Università di Cagliari. Non è da escludere, naturalmente, che ulteriori competenze possano essere messe a disposizione di questo progetto.
Un pool di esperti di Agris, delle Università di Milano Bicocca, Cagliari e della stazione di Caltagirone ha potuto esaminare un campione di questi vinaccioli, presso il laboratorio del Museo Civico Archeologico di Cabras.
L’esame visivo effettuato con un microscopio binoculare su un campione di semi ha evidenziato il prevalere di forme dei vinaccioli riconducibili direttamente a varietà coltivate, anziché selvatiche. Questo primo esame visivo ha peraltro evidenziato la notevole diversità di forma dei semi di vite di Sa Osa. Questo ci porta ad ipotizzare che i frutti custoditi originariamente nel pozzo fossero acini di varietà di viti coltivate e, data la notevole variabilità dei vinaccioli, è opportuno parlare di più varietà di vite.
È stata prelevata anche una piccola parte di campioni (circa una decina) per le analisi del DNA.
Due vinaccioli di questo campione sono stati esaminati al microscopio binoculare e sezionati longitudinalmente con un bisturi per valutare la presenza di endosperma, cioè della parte interna del seme utile ai fini delle analisi del DNA. È stato possibile notare la presenza di piccole quantità di una sostanza che poteva essere riconducibile all’endosperma.
Un precedente progetto di ricerca tra il CRAS (il Centro Regionale Agrario Sperimentale, ora confluito in Agris) e il DBTBS dell’Università di Milano Bicocca ha portato all’individuazione di un gran numero di vitigni autoctoni sardi e alla caratterizzazione biologico-molecolare degli stessi, con la creazione di una banca dati genetica di riferimento per la vite selvatica e coltivata della Sardegna. Pertanto sono stati utilizzati i medesimi strumenti molecolari per l’analisi dei vinaccioli finora forniti e provenienti da Sa Osa.
Sono stati testati diversi protocolli di estrazione del DNA, appositamente studiati per materiale di natura archeobotanica. Le procedure inizialmente sono state applicate su un pool di 5 semi. Uno solo dei protocolli applicati ha permesso di evidenziare la presenza di DNA dopo elettroforesi su gel di agarosio. Sebbene il DNA fosse ampiamente degradato l’analisi di alcuni loci microsatelliti è risultata positiva, confermando che il DNA ottenuto è di Vitis e non di agenti biologici inquinanti (batteri, funghi, ecc.).
Il sequenziamento genomico dei loci microsatelliti per il DNA estratto dal pool di semi ha mostrato la presenza di un elevato numero di forme alleliche. Questo indicherebbe che nel sito di studio sono presenti diverse accessioni di vite poco definibili. E questo è un risultato che conferma le ipotesi formulate dopo le prime osservazioni: cioè il pozzo conteneva acini provenienti da più varietà di vite.
Le attenzioni si sono quindi concentrate sull’estrazione del DNA da singoli semi. Partendo da un numero di 6-7 semi almeno 4 hanno fornito DNA amplificabile con 2 loci SSR.
I risultati sono incoraggianti e ci spingono a definire meglio le condizioni analitiche per valutare le dimensioni degli alleli e la natura delle viti trovate. Per questo sarà necessario disporre di altri vinaccioli da sottoporre ad analisi biologico-molecolare.
Sono quindi previste una serie di indagini, sia di carattere biologico-molecolare che, laddove queste ultime risultassero di difficile applicazione proprio per la deterioraribilità del DNA, anche di tipo morfocolorimetrico.
In entrambi i casi, i risultati ottenuti saranno sottoposti al confronto sia con la banca genetica del DBTBS dell’Università Bicocca di Milano che con la banca dati morfocolorimetrica dei vinaccioli del CCB e della SGC. Entrambe le banche dati sono ottenute dalle accessioni coltivate e spontanee presenti nei campi di germoplasma di Agris Sardegna.

Le immagini a corredo sono degli autori, che si ringraziano:

- Gianni Lovicu_AGRIS – Agenzia per la Ricerca in Agricoltura della Regione Sardegna. Dipartimento per la Ricerca nell’Arboricoltura.
- Massimo Labra_Dipartimento di Biotecnologia e Bioscienze, Università di Milano Bicocca.
- Fabrizio De mattia_Dipartimento di Biotecnologia e Bioscienze, Università di Milano Bicocca.
- Massimino Farci_AGRIS – Agenzia per la Ricerca in Agricoltura della Regione Sardegna. Dipartimento per la - Ricerca nell’Arboricoltura.
- Gianluigi Bacchetta_Centro di Conservazione della Biodiversità, Università di Cagliari.
- Gianfranco Venora_Stazione di Granicoltura delle Regione Sicilia, Caltagirone.
- Martino Orrù_Centro di Conservazione della Biodiversità, Università di Cagliari.