La Sardegna nelle fonti classiche 4

La Sardegna nelle fonti classiche 4

Già in epoca di navigazione e colonizzazione greca e fenicia le imbarcazioni non erano dotate di grande parte immersa (opera viva), questo perché spesso non esistevano dei moli d’attracco nei porti, ma era possibile soltanto prendere l’ormeggio a ridosso di coste alte o sulle spiagge o penetrando nelle foci dei fiumi.

 

L’aspetto di queste navi ci è giunto anche attraverso modelli iconografici che vedono la tipologia costruttiva continuare ancora in età tardoantica e altomedievale; a conferma di ciò ci giunge l’epigrafe di Maximus del V secolo d. C., rinvenuta nell’area cimiteriale di paleocristiana di Cornus, dove il lapicida ha riproposto l’aspetto di una nave oneraria romana, probabilmente sul preciso modello che poteva osservare di quelle che facevano scalo nel vicino Korakodes Portus.
Su questa costa i venti dominanti tendono a spingere le navi sottocosta ma, la loro forza dava la possibilità alle imbarcazioni di percorrere lunghi tratti d’altura e, all’evenienza, trovare un ridosso.
Su una costa frequentata abitualmente, gli ormeggi sono rifugi temporanei conosciuti dai marinai, nei quali una nave può attendere all’ancora il vento favorevole; la traccia di simile scali d’un giorno o di un’ora permane in fondo al mare, sulla sabbia o sulla posidonia, in un tappeto reso compatto da parecchi secoli accumulatisi in quella anonima discarica nella quale gli oggetti, perduti o abbandonati dai proprietari, esprimono praticamente la storia della navigazione lungo la vicina costa.
Come in gran parte del Mediterraneo le navigazioni commerciali erano limitate a pochi mesi l’anno; solo le traversate dettate da motivi bellici potevano protrarsi anche nei mesi invernali.
Per quanto attiene le navigazioni e le marinerie fenicie e puniche dobbiamo tuttora scontrarci con la cronica carenza di documentazione se non quella degli scrittori antichi, i quali non avevano dubbi nel qualificare Fenici e Cartaginesi come i popoli più esperti in fatto di navigazione, come genti che passavano la loro vita sul mare, praticando il commercio, compiendo viaggi lunghissimi, affinando continuamente la loro esperienza nel costruire e nel condurre le navi; tuttavia, quello che sappiamo sulle marinerie fenicio-puniche è ben poco se confrontato con la mole di informazioni che possediamo per quelle greche e romane.

Conosciamo la marineria Cartaginese soltanto attraverso la visione degli storici greci e romani e la maggior parte delle informazioni riguarda l’epoca delle guerre puniche; questi tra l’altro, trasmettono soltanto poche dettagli sulla navigazione.

Molte sono le pagine di storia che legano la nostra Isola alle più importanti imprese di famosi conquistatori che proprio in acque sarde consolidarono il loro prestigio come il comandante della flotta di stanza in Sicilia Tito Otacilio Crasso,  che nel 215 a.C. intercettava la flotta punica guidata da Asdrubale il Calvo propria sulla rotta Cartagine – Baleari - Sardegna Occidentale; la rotta da Cartagine alla Sardegna meridionale poteva infatti compiersi in condizioni normali in un giorno e una notte.

I reperti archeologici rinvenuti sul fondo del mare hanno considerevolmente trasformato e aumentato la nostra conoscenza delle rotte e dell’attività navale svolta in antico.

Gli scavi hanno portato alla luce un gran numero di carichi costituiti da anfore, dimostrando l’importanza di cibarie e vino come prodotti di esportazione.

Visto che una imbarcazione è essenzialmente una struttura deperibile destinata ad attività precise e che una traversata in mare dura al massimo qualche mese, le navi naufragate nella scala del tempo possiedono la fragilità della loro stesa vita. Il medesimo scafo naviga solo in casi eccezionali per oltre un secolo; quanto ai carichi, è nell’interesse dell’armatore tenerli a bordo il minor tempo possibile.

Nel commercio marittimo del mondo romano un altro tipo molto importante di carico consisteva in materiali da costruzione, per edificare le città dell’impero, molte delle quali sono tuttora esistenti; carichi di marmo in blocchi squadrati, delle migliori qualità provenienti dalle cave della penisola per soddisfare lo spirito esibizionistico dei romani sono stati trovati disseminati lungo tutto il bacino del Mediterraneo e senza dubbio ce ne sono ancora in attesa di essere scoperti.
Errato sarebbe pensare che la navigazione antica si svolgesse per così dire “per caso”; i naviganti avevano dalla loro un validissimo strumento: il portolano. Questo è di chiara origine mediterranea, quale derivazione dai peripli di origine greca e romana, ossia resoconti di viaggi oppure celebrazioni cortigiane delle gesta di condottieri o imperatori.

Esiste, cioè, una tradizione "portolanica" ininterrotta nei secoli, a differenza di quanto accade con la carta nautica, di cui i più antichi esemplari giunti sino ai nostri giorni risalgono al basso Medioevo.

Nell’impero romano, a fianco delle molte opere geografiche, per lo più destinate agli studiosi, vi erano delle semplicissime guide di uso comune, chiamate appunto itinerari, che descrivevano dei percorsi terrestri o marittimi mediante la mera consultazione delle località intermedie fra il punto di partenza e quello di arrivo, oltre le distanze fra ciascuna località e la successiva.

A noi è giunto quello che rimane dell’Itinerarium Maritimum e per ogni navigazione, esso delinea le rotte costiere che venivano consigliate ai comandanti meno esperti o alla prima navigazione in una area a loro sconosciuta, fornendo una meticolosa elencazione di tutti i porti, degli ancoraggi e delle altre possibilità di ridosso esistenti lungo il percorso. Di tali possibilità il comandante doveva tener conto nella pianificazione della navigazione, prevedendo le soste intermedie più appropriate alle proprie esigenze o nel decidere di ridossarsi all’avvicinarsi di una tempesta.
Potremmo quindi considerare questo genere di documento come l’antenato dei nostri portolani, cioè un testo di riferimento utile per ogni genere di navigazione costiera, da quella delle grandi linee di commercio marittimo (che seguivano sia dei percorsi costieri, sia delle rotte d’altura), al piccolo cabotaggio, ai viaggi per mare, alle attività di pesca ed a quelle da diporto.

Le parti restanti dell’Itinerarium Maritimum consistono in annotazioni molto frammentarie su traversate e traghetti di varia natura e rilevanza; la nostra isola è più volte inclusa nei traffici del Mediterraneo Occidentale da e per la penisola e da e per l’Africa Romana con singole traversate da Cagliari a Roma; da Cagliari a Cartagine e da Cagliari – Galata – Tabarka.

Traghetti più importanti, indicati isolatamente come quello delle Bocche di Bonifacio.
Tutte le distanze tra le località sono espresse in miglia e questo fatto fa supporre si tratti di un documento ufficiale romano o almeno di un collegium naviculariorum.

Questi, erano gli antesignani delle moderne Agenzie Marittime, con rappresentanti spesso in ogni scalo importante; i naviculares di Arles nella Francia attuale, avevano una propria rappresentanza a Beirut, ma basti pensare alle numerose sedi di agenti di navigazione, di ogni nazionalità, nei mosaici che ancora resistono nel piazzale delle Corporazioni a Ostia; i naviculares sardi sono lì rappresentati dai Naviculari Karalitani e dai Naviculari Turritani.
Come ci riporta Varrone: “[…] frumentum locamus qui nobis adveat[…] ex Africa et Sardinia[…]”. “Noi assumiamo a nolo coloro che, per il bisogno di sfamarci, ci porti il grano dall’Africa e dalla Sardegna”.

Forse meno noto dell’Itinerarium è lo  Stadiasmus  Maris Magni del III secolo d. C., che riporta una descrizione ordinata dei porti del Mediterraneo, in quanto si tratta dell’unico e vero portolano che ci sia pervenuto dal mondo antico.
Conservato allo stato frammentario, il codice contiene tre distinti brandelli:

- un frammento molto accurato, che partendo da Alessandria descrive i porti lungo la costa africana fino all’antica colonia fenicia di Utica.
- un frammento relativo alla costa asiatica partendo dalla Fenicia costeggia la Siria e la Turchia, includendo le isole.
- una accurata descrizione delle isole di Cipro e Creta.

Per quanto attiene il Mediterraneo, questo portolano dà l’ordinata successione dei siti lungo le coste. E’ chiaramente esposto per una navigazione definita dai naviganti come costodromica cioè che si avvale dei punti cospicui, solitamente in elevazione che possono essere facilmente individuati da grande distanza senza errori; aspetto dei promontori e degli scogli, colore della costa, alture retrostanti, castelli e torri nonché informazioni essenziali quali profondità, sicurezza e capacità del porto, possibilità di rifornimento di acqua e distanza della fonte dall’approdo.
Mentre abbiamo visto l’uso delle misurazioni in miglia per le distanze tra le località riportate nell’Itinerarium Maritimum, per lo Stadiasmus l’unità di misura di distanza era espressa in “stadi”, equivalenti a poco più di 180 metri del nostro sistema metrico decimale i misurazione.

C’è ancora da notare che nei peripli redatti in area ionica a partire dal VI secolo a.C. le distanze marittime sono espresse in giornate di navigazione, con tutte le varianti da calcolare sulla tipologia delle navi e del carico nonché sulle condizioni meteorologiche riscontrate lungo la rotta.

Per ritrovare un nuovo portolano dobbiamo attendere gli anni trenta quando lo storico medievalista Bacchisio R. Motzo rinvenne in una biblioteca di Alghero un documento anonimo e non datato, chiamato Compasso da Navegare, pubblicandolo solo nel 1947.

Poiché il manoscritto era stato in origine ritrovato tra le carte di un mercante del Quattrocento, lo si era ritenuto della sua epoca e non era stato quindi apprezzato in tutto il suo valore di primo testo tecnico a noi noto; Motzo, invece, lo confrontò con altri esemplari del tutto simili, anche se conservati in luoghi diversi, e pervenne alla conclusione che si trattava di rifacimenti di uno stesso archetipo, copiato senza modifiche di rilievo dagli amanuensi; ne assegnò pertanto la stesura originale alla metà del Duecento, sulla base essenzialmente dei toponimi che vi compaiono, alcuni dei quali si riferiscono a luoghi che in quell'epoca furono fondati, abbandonati o modificati, così offrendo elementi oggettivi di datazione.

Egli osservò, inoltre, nel Compasso da Navegare, molti elementi in comune con la Carta Pisana, oggi conservata presso la Biblioteca Nazionale di Francia, ma in origine rinvenuta in un archivio di Pisa, da cui il nome. E' anch'essa anonima e non datata, ma una vecchia registrazione di quella Biblioteca la assegna alla fine del Duecento.

Un altro portolano per il Mediterraneo fu compilato da Willem Barentsz alla fine del Cinquecento. I documenti sin qui citati sono privi di carte nautiche, danno indicazioni di rotta e misurano le distanze in base al tempo necessario per percorrerle.
Nello stesso periodo, con lo sviluppo della navigazione e con il rapido infittirsi delle scoperte geografiche, ai portolani si unirono carte nautiche a scale diverse. Il primo di questo tipo fu pubblicato all'olandese Lucas Janszoon Waghenaer nel 1583, dopo pochi anni imitato in Inghilterra e in Francia. Dopo d'allora tutte le nazioni marinare, in guerra militare e commerciale le une con le altre, intensificarono la propria produzione di portolani-atlanti in più volumi a copertura mondiale, strumenti insostituibili di potere politico e mercantile. In Italia, invece, i portolani erano di interesse prevalentemente locale e regionale, per la navigazione di cabotaggio.

Nel secolo successivo il portolano si scisse dalla carta nautica e acquistò le caratteristiche con cui lo conosciamo ancora oggi. E’ noto che fra l’enorme quantità di opere latine andate perdute, vi furono dei pregevoli trattati di arte navale, la cui conoscenza ci avrebbe consentito di meglio comprendere le efficienti ed innovative metodologie istituite dai romani nel campo della navigazione e del dominio del mare.
Ne conosciamo solo qualche titolo, come quelli dei numerosi Libri Navales di Marco Varrone, andati tutti perduti, e gli Stratagemmi di Sesto Frontino di cui ci sono pervenuti tutti mancanti della sezione navale. Ma ci fu ben altro, dai trattati ad uso della marina mercantile ai regolamenti militari per le flotte imperiali.

Una parziale traccia di tale letteratura ci viene da alcune opere che vennero scritte nel periodo del basso impero, ispirandosi ai testi più antichi allora reperibili.

La più nota opera latina di tale periodo è ovviamente quella di Vegezio, Praecepta Belli Navalis, scritta verosimilmente nelle prime decadi del V secolo dopo Cristo; si tratta della parte navale del De re militari, cioè della seconda metà del libro IV dell’opera. Piuttosto rozza ed imprecisa nella parte navale, è comunque interessante poiché riporta diversi dati che sarebbero rimasti altrimenti sconosciuti.
Dopo questa lunga disamina di manuali di navigazione antica ci auguriamo che l’interesse resti alto, con la promessa che altri contributi saranno più “leggeri” ma sempre altrettanto interessanti.
Adottando una frase del famoso scrittore John Steibeck: “Non sono le persone che fanno i viaggi…ma sono i viaggi che fanno le persone”…