I sardi nei traffici e nelle relazioni antiche

I sardi nei traffici e nelle relazioni antiche

Questa volta andremo a parlare della nostra bella Isola…vedremo la sua collocazione e gli elementi geografici e storici che la hanno caratterizzata nel corso dei millenni.

 

La Sardegna, seconda isola del Mediterraneo per dimensioni, costituisce, assieme alla sua naturale appendice geografica della Corsica, una sorta di elemento di spartizione di questo mare in due parti: quella orientale più chiusa in se stessa, contornata dalle isole dalle coste tirreniche sia continentali che della Sicilia; l’altra, occidentale, con le spiagge francesi, spagnole ed africane.
Proprio questa posizione al centro del Mediterraneo e la ricca e frastagliata articolazione delle sue coste, ad eccezione di quella orientale dove esistono solo pochi punti favorevoli all’approdo, hanno fatto sì che la Sardegna fosse, sin dalla più remota antichità, un punto di passaggio, di incontro e anche di rielaborazione autonoma di correnti culturali provenienti dalle diverse aree circostanti.
La nostra Isola è, fondamentalmente, una terra montagnosa; i rilievi, di no elevatissima altezza ma per lo più aspri e scoscesi, occupano la maggior parte del territorio, soprattutto la regione centrale ed orientale, dove la montagna cade spesso a strapiombo sul mare e dove spicca la mole del Gennargentu. La zona sud occidentale è caratterizzata anch’essa da rilievi, con il massiccio montuoso del Sulcis Iglesiente. Le pianure non sono molte, ma si presentano piuttosto articolate e tali da poter essere utilizzate come vie di penetrazione; la principale è quella del Campidano, la quale, partendo da Cagliari, percorre trasversalmente la regione centro occidentale dell’Isola, giungendo sino alla foce del Tirso alla altezza di Oristano, dove si allarga sensibilmente co zone di bassa collina. Altee zone pianeggianti e fertili si trovano adiacenti la costa sud occidentale a ovest dei monti del Sulcis e nella punta nord occidentale, dove la Nurra offre ampie pianure coltivabili.
Pochi i corsi d’acqua, che creano comunque strette vallate tra i monti, tali da poter essere usate come accessi verso l’interno; il Cixerri a sud, con un percorso perpendicolare al Campidano, che mette in comunicazione con la pianura occidentale del Sulcis; il Tirso e il Temo sulla costa occidentale poi il Cedrino e il Flumendosa su quella orientale.Una tale conformazione del territorio, con carenza di spazi sfruttabili a scopo agricolo e meglio adatti al pascolo del bestiame come pecore e bovini, offre senza dubbio una spiegazione alla divisione “cantonale” che troveremo in età nuragica…ma, prima di questi, la storia è ancora lunga.
Tralasciando le sporadiche tracce di presenza umana in età Paleolitica, databili in un imprecisato momento tra il 450.000 e il 150.000 a.C., le prime attestazioni di vita si hanno anteriormente al VI millennio a.C. con i reperti rinvenuti nella grotta Corbeddu di Oliena; questi ritrovamenti rafforzano l’ipotesi di contatti transmarini fra le due sponde tirreniche prima del Neolitico.
E’ nel corso del VI millennio che si sviluppa il Neolitico Antico, che si caratterizza con insediamenti in grotta e con una economia fondata sull’allevamento, sulla caccia e sulla pesca. Alcuni indizi fanno percepire anche un certo inizio di attività agricole e soprattutto estrattive, in riferimento all’ossidiana dei ricchi giacimenti del Monte Arci.
Le ceramiche rinvenute negli insediamenti di questa epoca, definite “cardiali” dalla decorazione che veniva impressa sulla argilla ancora molle con il bordo dentellato della conchiglia Cardium; questa fase antica del Neolitico giunge fino agli inizi del IV millennio a.C.

Maggiori sono le testimonianze del successivo Neolitico Medio, caratterizzato dal cosiddetto orizzonte culturale detto di Bonu Ighinu [1]; abbiamo ancora insediamenti in grotta, ma appaiono diffuse tracce di insediamenti all’aperto, ben rappresentate attorno al nostro vicino stagno di Cabras nell’aria preclusa alla visita di Cuccuru is Arrius, localizzabile in un isolotto risparmiato dall’apertura del grande canale scolmatore.

Cresce lo sfruttamento e la commercializzazione dell’ossidiana, con esportazioni documentate in Corsica, nella Francia meridionale e nella penisola italiana centrale e settentrionale. Anche le ceramiche, raffinate, con superficie bruna e lucida, decorata con incisioni di varia tipologia e con piccoli rilievi. Gli scavi condotti a Cuccuru is Arrius hanno rivelato gruppi umani ben organizzati anche dal punto di vista religioso e artistico; tombe caratteristiche sono quelle a grotticella artificiale scavata nel terreno in cui il defunto veniva deposto in posizione fetale rannicchiata, rivestito di ocra rossa a rappresentare il sangue della nascita e accompagnato da un ricco corredo tra cui spiccano le cosiddette “dee madri” che hanno un preciso riferimento stilistico a produzioni similari del Mediterraneo orientale.
Con la fine del IV millennio, nel Neolitico Recente, si assiste alla nascita e alla diffusione della cultura di Ozieri [2]; si diffondono i villaggi all’aperto con capanne a fondo scavato nel terreno e strutture lignee fissate da pietrame. Il loro numero, così come quello delle necropoli, suggerisce che si è difronte ad una fase di aumento demografico. Le sepolture avvengono in grotte naturali o artificiali, le cosiddette domus de janas o case delle fate secondo la tradizione popolare sarda. In alcune di esse all’interno viene riprodotta la struttura della casa reale con tetti conici o a doppio spiovente, sostenuti da pilastri o colonne e le pareti decorate o scolpite con spirali, festoni, corna e protomi bovine, da collegarsi alla divinità maschile raffigurata sotto forma di toro.
La ceramica richiama forme e motivi decorativi già presenti nell’area orientale come Creta o le Isole Cicladi; anche qui troviamo decorazioni a spirali, festoni e triangoli con stilizzazioni della figura umana sia singola che a gruppi. Molteplice è la produzione di statuette di divinità femminili sia in pietra che in argilla.
Sul finire del III millennio a.C. l’architettura inizia ad arricchirsi di costruzioni megalitiche, non con finalità di difesa bensì a scopo cultuale e funerario. E’ l’epoca dei menhir, le grandi pietre più o meno lavorate infisse nel terreno e della grandi tombe a circolo come quelle di Arzachena e di Goni.
Con l’inizio del II millennio la nostra Isola esce la Neolitico per entrare nella fase di transizione dell’età dei metalli definita Eneolitico, e dura dalla metà circo del III millennio sino agli inizi del II millennio a.C.
Un fenomeno rilevante che accompagna i secoli fra la metà del III millennio e gli inizi del II è la diffusione delle statue-mehir cioè dei menhir con attributi umani.
Si fa avanti l’orizzonte culturale del Campaniforme, che prende il nome dalla forma a campana del suo vaso più caratteristico; largamente diffusa in tutta l’Europa questa cultura presenta in Sardegna caratteri già presenti nell’area francese. Si tratta di piccoli gruppi isolati di individui che giungono nell’Isola in tempi diversi e abitando pacificamente a fianco agli indigeni sardi producendo ceramiche decorate che si protrarranno fino all’età del Bronzo; troviamo spesso indicati questi gruppi come “gli zingari della preistoria”.
La civiltà nuragica occupa praticamente tutta l’età del Bronzo sarda; le sue prime manifestazioni sono parallele all’ultima fase dell’orizzonte culturale definito di Bonnanaro, che termina tra il 1800 e il 1700 a.C. ed è proprio in questo periodo che iniziano a comparire le strutture megalitiche definite protonuraghi o pseudonuraghi, costruite con grossi massi non lavorati o appena sbozzati, che posso formare grandi capanne con piattaforme su cui costruire capanne più piccole, oppure essere attraversate da corridoi.
Le sepolture avvengono nelle “tombe di giganti” che derivano il loro nome dalla grandiosità delle più importanti e meglio conservate, destinate alla deposizione plurima dei membri della comunità; si compongono di una camera bassa, stretta e molto allungata, costruita con la medesima tecnica dei nuraghi e larghe lastre squadrate. Dinnanzi alla camera, a partire dall’ingresso si trovava una alta stele con la sommità ricurva e due ali allungate a forma di semicerchio, costituite da ulteriori pietre piantate nel terreno che formavano una esedra.
La civiltà nuragica è una cultura megalitica. Tutte le sue costruzioni sono edificate a grandi blocchi messi in opera a secco. E’ in questa fase che i Nuragici entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee e di particolare rilevanza è il rapporto con il mondo miceneo.
La Sardegna continua così la sua antica tradizione di crocevia del Mediterraneo occidentale.
In questo contributo non si è volutamente trattare del fenomeno della costruzione dei nuraghi; a loro verrà dedicato uno dei prossimi contributi di questa pagina.

 



[1] Prende il nome da una località situata nel territorio del comune di Mara, in provincia di Sassari, in cui si trova la grotta di Sa Ucca de su Tintirriolu (la bocca del pipistrello), nella quale furono osservate per la prima volta nel 1971, da Don Renato Loria e David H. Trump, testimonianze archeologiche riconducibili a questa cultura.

[2] La cultura di Ozieri (o di San Michele) fu una cultura prenuragica che si sviluppò in tutta la Sardegna durante un periodo di tempo che va dal 3200 a.C. al 2800 a.C.. Il suo nome deriva dalla località in cui sono state rinvenute per la prima volta testimonianze importanti e precisamente in una grotta chiamata di San Michele, presso la cittadina di Ozieri.