Antonio Taramelli 5

Antonio Taramelli 5

Siamo nel 1910 e il soprintendente Taramelli è giunto al suo settimo anno nell’Isola

Continua con grande entusiasmo la sua missione di cercare risposte attraverso i mezzi che, rispetto a quanto visto durante le pubblicazioni dello scavo di Sa Osa, appaiono piano piano sempre più scientifici e non come gli “sterri” ottocenteschi, sempre a caccia di mirabilia da esibire sia nei musei che nelle collezioni private. Abbiamo imparato termini come “stratigrafia” o “unità stratigrafiche”, “U.S.” e “multidisciplinarietà”; vocaboli pertanto sconosciuti al nostro archeologo di inizio Novecento.
Abbiamo più volte evidenziato quanto il friulano sia stato colpito dal mal di Sardegna, come ad altri archeologi succederà un secolo dopo. Questa volta leggeremo della sua ricerca in una area molto vicina a noi; parleremo infatti delle indagini al Nuraghe Lugherras di Paulilatino. Seguiamolo…

 

Il nuraghe lugherras presso Paulilatino

Sul territorio di Paulilatino era già stata portata l’attenzione degli studiosi delle antichità della Sardegna. Già il Lamarmora [1] aveva preso in esame alcuni dei monumenti preistorici, altri di questi e specialmente nuraghi, erano già stati esaminati dal benemerito Canonico Spano [2] ed anzi quest’ultimo, nella sua notevole Memoria sui nuraghi, oltre alla menzione di taluni fra i più notevoli avanzi archeologici, dette anche una cartina geografica, disegnata da un certo geometra F. Guabello e che, per quanto schematica, ha tuttavia un certo interesse per segnare la ubicazione dei copiosi edifici archeologici. Giacché l’agro di Paulilatino è fra i più ricchi di nuraghi e di avanzi relativi all’epoca preistorica, i quali danno un carattere altamente solenne ed accrescono la vaghezza austera del paesaggio, bello di ampie distese boschive, aperto al sud verso il Campidano di Oristano e limitato tutto all’ingiro da una ampia lontana cerchia di monti, il Monti Ferru ad occidente, al nord i monti del Marghine, verso est gli altipiani del centro dell’isola sui quali giganteggia la dorsale nevosa del Gennargentu. Il territorio di Paulilatino, vasto oltre 10200 ettari, è costituito in gran parte da un lembo di quel vasto altipiano che dalla media valle del Tirso si va elevando verso i monti del Marghine.

Tralasciamo per un po’ la precisa descrizione non solo geografica che ancora viene data dell’area, compresa di esame geologico dell’altipiano per ritrovare l’argomento principale di queste nostre escursioni nella archeologia di primo novecento, con un elenco dei tanti nuraghi che ancora oggi si possono in parte scoprire[3], in occasione di una esplorazione di questo vicinissimo territorio.” In questo territorio si elevano copiosi i monumenti preistorici; quelli conservati in modo vistoso sono in numero di oltre cinquanta, ma rimangono le traccie di oltre un centinaio, quanti appunto sono ricordati nell’elenco dello Spano, e nella cartina del ricordato sign. Guabello. […] Alcuni di essi sono situati lungo i vari ciglioni o gradoni dell’altipiano che degrada verso la valle dei Tirso ed il rio Gespiri; altri sono in testa dei solchi o valloncelli, che degradano verso il Tirso, come il N. Oschina, bell’esempio illustrato anche recentemente dal sig. Nissardi [4], di nuraghe a due piani; altri infine sono disposti ai due fianchi della vallata che da Bauladu risale verso l’altipiano come un’ampia porta di ingresso, offrendo l’esempio più noto e più evidente di un passo vigilato da costruzioni erette a scopo di difesa.

Seguirà ora una lunga elencazione dei nuraghi dell’area; “Sulla destra di questo vallone i vari nuraghi Crabia, Pillitu, Turule, Trontili, Mura e’ Mandra, formano un allineamento che si accosta col N. Perdosu, prossimo al ben noto Pozzo di S. Cristina [5], al punto in cui la valle viene a raggiungere l’altipiano; dall’altra sponda del vallone i nuraghi Mur’e Cresia, Mur’e Crabas, Mur’e Figus, nei salti di Bauladu questi, e poi, in territorio di Paulatino, quelli di Meddaris, La Menga, Monte de Utturu, Mur’aguada, Pranu Majales, Siringones, Onella, formano un allineamento che fa capo al grandioso nuraghe Oschina, dianzi accennato, che visibile sul versante del Tirso, come su questo valico a Bauladu, ha il carattere di vedetta posta a segnalare alla gente dell’altipiano un’avanzata delle due valli. Gli edifici sparsi sull’altipiano o sono sopra mammelloni isolati, o per lo più in prossimità ai solchi segnati dai vari corsi d’acqua ed in prossimità di sorgenti e paludi e di corsi abbastanza ricchi di acque perenni. Si noto che in vicinanza di taluni nuraghi si conservano altre costruzioni preistoriche, di carattere funerario; così poco lungi dal nuraghe, di Pira Inferta è la ben nota sepoltura dei giganti di Goronna [6]presso al N. Putzu è la tomba di Perdu Pes, munita di betili con incavi a forma di scodelle raffiguranti i seni femminili. […] E’ appunto al nuraghe Lugherras che venne richiamata al principio del 196 l’attenzione della Direzione degli Scavi. Il detto nuraghe dev’essere sempre stato una località di rinvenimenti di fittili, massime di antiche lucerne (log. lugherras = lucerne); ma l’accesso alla cella era ritornato nascosto, finché alcuni braccianti che lavoravano nella prossima vigna del proprietario del predio Carta Vidili, riuscirono a penetrarvi dall’alto e vi rinvennero una quantità di stoviglie antiche. Resa avvertita per mezzo del sig. Sebastiano Carta Obino che denunciò la notizia al chiaro cav. E. Pischedda, ispettore circondariale dei Monumenti e scavi, la Direzione degli Scavi poté impedire uno scavo tumultuario ed intraprendere una metodica ricerca [7]. Il nuraghe Lugherras, che nella carta dell’Istituto Geografico militare è indicato, ma non è ricordato col nome, si trova ad ovest del paese di Paulilatino, a non molta distanza dal ciglio della valle del R. Gespiri, presso il confine tra l’agro Paulese e quello di Bonarcado. […] In immediata prossimità del N. Lugherras, stanno, ad un chilometro circa di distanza, nelle varie direzioni, il N. Battizonis, verso oriente, il N. Atzara ed il N. Riju a mezzodì, il N. Surzaga, al nord, il Battizonis e l’Atzara in special modo edifici grandiosi e fratelli al N. Lugherras per mole e per quegli elementi di struttura che senza scavi si poterono indovinare. Dopo una indagine condotta sul posto dal sig. Nissardi, Ispettore degli Scavi, e da me si poté assodare che la cella principale del nuraghe era riempita per un paio di metri di altezza da un potente strato di materiale di gettito di qualche edificio antico, formato in grande maggioranza da lucerne e di tiameteri fittili a forma di busti di divinità femminile, frammisti con abbondante terriccio di cenere e di carbone; era evidente il ripostiglio o la favissa di un tempio di epoca storica che doveva cercarsi poco lontano dal nuraghe, Fu quindi decisa la esplorazione regolare del cumulo di avanzi, che data la cupidigia sollevata dalla scoperta e la naturale curiosità degli abitanti, non era possibile ritardare; perciò, non ostante la trista stagione, si decise la immediata prosecuzione dello scavo. […] Lo scopo principale della nostra indagine non era soltanto l’esplorazione della massa del materiale votivo che era accumulato nella cella del nuraghe; ma ne sorrideva la speranza che al di sotto dello strato formatosi gradatamente in età storica rimanesse lo strato più antico, protetto per mezzo della massa di offerte dalle ricerche vandaliche che sono il nemico principale di ogni ricerca sistematica.”

Siamo al principio del XX secolo e Taramelli stigmatizza l’opera degli scavatori clandestini, presenti presso tutte le aree archeologiche dell’Isola; forse risuona ancora la memoria delle compagnie di scavatori di metà ottocento che a Tharros fecero razzie e saccheggio dei contenuti delle tombe ipogeiche puniche, privandoci di veri tesori per portare a volte pochi soldi ai violatori locali ma soprattutto a far accrescere le collezioni private di mezza Europa.

“Le speranze furono in gran parte mantenute e furono largamente compensate le fatiche ed i pericoli che costò questo scavo, massime per la ricerca dell’ingresso, dovendosi la trincea in mezzo a una massa enorme di grossi blocchi lavici in equilibrio instabile, mal trattenuti da una fanghiglia viscida e traditrice, senza i mezzi tecnici occorrenti, non facili a procurarsi in mezzo ad una boscaglia a non breve distanza dal paese. L’esplorazione della fronte di questo cumulo di rovine, che presentavasi come una vera e propria collina, provò anzitutto che in origine il nuraghe doveva aver avuto almeno due piani. Il fatto poi, che alla superficie di questo cumulo di detriti furono rinvenuti oggetti e e monete di età romana proverebbe che esso era già formato sino a quell’età ed il monumento preistorico doveva già sin d’allora presentarsi come un piccolo colle dal quale emergeva solo la porzione terminale residua dell’edificio megalitico. […] Nel lavoro di scavo si ebbero in grande quantità lance ed altre armi in ferro. […] Fra queste armi pochi erano i pugnali e le lame di coltelli di forma triangolare allungata; prevalevano invece le cuspidi di lancia, alcune a cannone con lunga ghiera e con cuspide corta e robusta, altre invece con cuspide e cannone entrambi sviluppati e dalla forma svelta ed elegante, veri ferri da lancia. […] Rappresentano queste armi la testimonianza di un combattimento avvenuto intorno a questa rovina, in età romana, in occasione forse di lotte religiose che posero un termine violento alle cerimonie sacre che si svolgevano su questo luogo, oppure debbono ritenersi come armi di voto e spiegarsi col medesimo ordine di idee di tutto il rimanente del deposito votivo rivelato in questo santuario? Io sarei più propenso a quest’ultimo avviso, anzitutto perché l’uso di offrire armi alla divinità appare anche per la Sardegna di origine remota, come risulta dalle grandi quantità di armi votive, specialmente spade, rinvenute nel ripostiglio di Abini, formatosi a spese di un santuario preistorico saccheggiato in età forse romana. […] Le monete dateci dallo scavo del cumulo, per lo più alla superficie sul lato verso la fronte, quanto nel lato settentrionale per la ricerca dell’ingresso, appartengono ai seguenti tipi: assi della repubblica romana appartenenti alla serie riferita al periodo dal 268 al 217 a.C.; un semisse della serie più recente, ma anonima del periodo dal 217 al 154; due denari anonimi, altri della famiglia Domitia ( a. 119 a.C.), della Lucretia (a. 74 a.C.), della Clodia (a. 20 a.C.)…[…] Queste monete, in qualunque modo siano state perdute, stanno a provare, come ho accennato, che l’edificio nuragico già all’epoca della repubblica romana si presentava in modo poco differente da quello in cui fu da noi trovato, come una collina, lungo i fianchi della quale saliva per mezzo di un sentiero sino alla sommità.”

Con questa bella e appassionante narrazioneueste Quqqqqqqqqqqq, ricca di personali sensazioni ed emozioni e pensieri in libertà ben lontane, come abbiamo visto nelle asciutte descrizioni dello scavo “moderno” di Sa Osa; ripropongo pertanto agli amici che ci seguono la lettura integrale di questo lungo contributo, accorciato a malincuore per motivi di spazio, magari integrandola con una escursione nel vicino e raggiungibile sito paulese.



[1] Itinieraire de l’Ile de Sardaigne.

[2] Memoria sopra i Nuraghi della Sardegna.

[3] Non dobbiamo dimenticare il pesante saccheggio subito dai monumenti quali cave di estrazione del pietrame necessario per la realizzazione della massicciata alla non distante linea ferroviaria in età Sabauda.

[4] Nissardi, Contributo per lo studio dei nuraghi della Sardegna.

[5] Il così detto pozzo di S. Cristina, secondo le recenti osservazioni, dev’essere ritenuto un pozzo sacro, simile a quello di S. Vittoria presso Serri, recentemente esplorato.

[6] Lamarmora, Voyage en Sardaigne.

[7] Il caso favorì benevolmente gli studiosi; ma è con vera soddisfazione che io addito alla benemerenza dell’archeologia isolana il sig. Carta Obino, procuratore, che si adoperò a preservare dalla manomissione il monumento, ed il parroco di Paulilatino. D. Salvatore Angelo Dessì, che debbo ricordare con senso di gratitudine e di affetto per l’incomparabile aiuto che egli volle dare alla nostra difficile e penosa ricerca; li addito come preclari esempi di quella schietta e nobile ospitalità che tanto onora l’isola dei nuraghi.