Immagini tratte da "Ceramiche, storia, linguaggio e prospettive in Sardegna" - Collana di etnografia e cultura materiale, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2007)

TERR’E CUNGIALIS

Is Crongioagius di Oristano, per la realizzazione delle loro opere, utilizzavano la materia prima estratta dalle cave di argille che si trovavano nei pressi della stessa città.

Con il termine terr’e cungialis si indicavano infatti i terreni dove si trovavano le cave, vere e proprie “tane” di argilla, scavate sino alla profondità di circa 4 metri dai figoli ed in particolare dai giovani apprendisti che offrivano il loro lavoro nelle botteghe dei maestri. Queste aree, nel corso dei secoli, vennero acquistate da la Maestrança de los Alfareros, l’antica associazione di mestiere o Gremio dei Figoli che riuniva tutti i lavoratori della ceramica, documentata in città sin dal XVI secolo. Oristano, adagiata su un terrazzamento di origine alluvionale e ricca di corsi d’acqua, offriva naturalmente e in abbondanza la materia prima per is crongioagius. In città, sino agli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, sono documentate cave dove si estraeva un’argilla particolarmente buona nei terreni compresi tra Viale Risorgimento e Via Tempio, proprio nell’area definita dal toponimo Orto Busachi, mentre, in grande quantità, ne venne estratta nella zona del San Nicola, a partire dell’attuale Via Gennargentu, sino all’area oggi occupata dagli uffici della Prefettura e Questura. L’individuazione della “buca” o “tana” e quindi la scelta e l’approvvigionamento dell’argilla da parte dei singoli figoli, costituiva un momento fondamentale della produzione artistica tanto che, sino al 1953, era regolamentato dal Gremio. Nel capitolo XXVIII della versione dell’antico statuto del Gremio dei Figoli datato al 1692 si ordina in particolare che “nessuno osi mettersi nel fosso (detto volgarmente tana) che un Maestro abbia scavato o segnalato, né osi porsi davanti a lui in modo da dargli impedimento né ai lati in modo da recargli danno nel suo fosso con qualsiasi genere di disturbo, sotto la pena di cinque libbre di cera destinate la metà alla cassa della Cappella e l’altra metà al giudice”. Dal 1953, dopo lo scioglimento del Gremio, sino al 1963, sarà la Cooperativa della Santissima Trinità, sorta sulle ceneri dell’antica corporazione che, in qualità di proprietaria dei terreni, ancora presso la zona San Nicola, posti a ridosso dell’attuale caserma della Guardia di Finanza, continuerà a governare l’accesso alle cave dell’argilla. Is Crongioagius, a seguito della stratificazione, sulla base delle caratteristiche fisiche, classificavano l’argilla in tre differenti tipologie: quella appena sotto la superficie, in genere molto grassa, veniva definita srebestia, quella subito sottostante, terr’e coru, la migliore, e infine, ancora più in fondo giaceva nelle tane quella più arenosa, per l’appunto sabbiosa. L’argilla srebestia e quella arenosa venivano utilizzate per “tagliare” l’argilla terr’e coru, in base al manufatto da realizzare. L’argilla cavata a zolle, separata per tipologia e trasportata con i carri dei cavalli o dei buoi presso la bottega del figolo, dopo la stagionatura e l'asciugatura al coperto, veniva sottoposta a diverse fasi di lavorazione. Frantumate le zolle, veniva setacciata, ripulita da eventuali impurità e finalmente impastata nelle grandi vasche scavate nei cortili delle botteghe, prima generalmente con i piedi, successivamente con le mani. E saranno ancora le mani, uniche e preziose di questi straordinari artigiani artisti che ultimando con la lavorazione al tornio le loro opere, daranno vita alla ricca e variegata produzione di stoviglie di uso quotidiano quali vasi, piatti e bicchieri nonché all’elegante serie delle brocche e delle fiasche finemente rifinite e talvolta decorate.