LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI SA OSA 8Lamella

LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI SA OSA 8

Oggi parleremo dell’ossidiana. Chissà quanti di noi hanno tenuto in mano questa “pietra” nera senza sapere che in effetti essa è un vetro.

L'ossidiana in Sardegna si è formata circa 3.25 milioni di anni fa a seguito di effusioni di lava acida, ricca di silice e alcali. La composizione chimica insieme al rapido raffreddamento del magma sono alla base delle sue caratteristiche: l'omogeneità strutturale e la vetrosità. Queste peculiarità fanno sì che l’ossidiana, opportunamente lavorata, abbia una notevole capacità e precisione di taglio, oltre che una discreta resistenza.
Passeggiando in uno dei tanti sentieri dell’ormai vulcano spento del massiccio del Monte Arci nel territorio del piccolo paese di Pau (una vera montagna di vetro) è facile imbattersi nelle cosiddette vie o sentieri dell’ossidiana, caratterizzati da lunghi tratti dove si cammina su un vero tappetto nero, come la famosa Scaba Crobina, la lunga salita nera corvina nell’area della località di S’Ennixeddu.
L’ossidiana si presenta di colore nero, ma non si tratta di un nero uniforme: osservata alla luce la pietra brilla di diversi colori, dal nero al grigio fino al marrone, al verde bottiglia e addirittura rossa nonché la tipologia detta “fiocco di neve” per i piccoli inclusi bianchi presenti.
Ad accorgersi delle potenzialità di questa pietra, particolarmente tagliente, furono i sardi del Neolitico, oltre cinquemila anni orsono utilizzando questo vetro naturale per la fabbricazione di armi e strumenti da taglio e preferendolo alla selce. Se siti di estrazione di ossidiana si trovano anche a Lipari e a Pantelleria, è fuor di dubbio che i più ricchi giacimenti dell’intero bacino del Mediterraneo si trovino nell’area del nostro Monte Arci. L’ossidiana in questo periodo divenne perfino perno dei commerci con gli altri popoli del Mediterraneo, tanto da meritarsi l’appellativo di “oro nero della preistoria”.
Dopo questa breve introduzione rientriamo nel vivo delle relazioni degli archeologi che finora hanno caratterizzato gli ultimi contributi di questa pagina dedicata all’archeologia.
Abbiamo sempre saputo e visto all’interno delle vetrine del nostro Antiquarium Arborense di reperti come punte di frecce, bulini e raschiatoi ma pochi, immagino, si sono mai chiesti come questi venissero lavorati. Nel contributo che segue, che anche stavolta per non semplificare la narrazione degli autori verrà proposto integralmente; si potranno leggere dei tanti modi in cui questo semplice utensile viene descritto dagli specialisti.
Con questa ultima relazione si conclude il nostro viaggio che ci ha portato a conoscere quanto ora è occultato dal grande spartitraffico circolare; come poteva essere l’area confinante con il più importante corso d’acqua dell’Isola e quanto esso abbia influito nelle scelte insediative; chi ci ha vissuto oltre tremila anni orsono; le risorse alimentari su cui potevano disporre e i metodi di conservazione.
Torneremo presto a raccontarvi di archeologia e dei suoi protagonisti.

 

Il presente contributo preliminare prende in esame parte del complesso litico dell’insediamento di Sa Osa, Cabras (OR) (fig. 1). I materiali studiati provengono dalle collezioni effettuate nel corso della prima campagna di scavo (agosto-settembre 2008) nell’area meridionale del sito (a Sud della strada provinciale esistente Oristano – Torre Grande). Di seguito verranno presentati la metodologia utilizzata nello studio, la descrizione dei materiali e le ipotesi interpretative sulla natura degli stessi.

1. Metodologia
Per l’analisi dei manufatti in ossidiana di Sa Osa sono state utilizzate delle schede analitiche appositamente create in cui sono annotati dati tipometrici, tecnologici, tipologici e morfologici di ciascun elemento; dove presente, è anche stato analizzato il ritocco. Lo studio funzionale è stato effettuato solo sugli oggetti con particolari caratteristiche macroscopiche e morfo-tecniche. Le informazioni sono state poi trattate per giungere ad una valutazione complessiva dell’industria. Ciascun oggetto è stato documentato, fotografato e scannerizzato per facilitarne lo studio futuro.
L’inserimento dei dati in un data-base ha permesso di effettuare diversi tipi di studio sia statistici che di composizione riguardo il complesso litico di Sa Osa. Le schede che completano il data-base sono tre e rispondono alle varie caratteristiche degli oggetti analizzati[1]. La prima (fig. 2) contiene le informazioni generali sul pezzo: lo scavo in cui è stato trovato, il numero d’inventario, il quadrato e il settore di ritrovamento, l’US d’appartenenza, il materiale (il supporto materiale) dal quale è stato estratto, la tipologia, l’immagine dell’oggetto e le note aggiuntive, quali il peso e qualunque altra informazione che non richiede una voce a se stante. La seconda scheda (fig. 3) contiene le informazioni morfo-tecniche: la prima voce ripropone il numero d’inventario; seguono poi: la tipologia dei margini (concavi, convessi, dritti, irregolari), la tipologia del tallone (corticale, lineare, faccettato, diedro, liscio, puntiforme), la diffusione del bulbo (piatto, prominente, diffuso, scagliato), il cortice (se presente e la percentuale dell’oggetto coperto), il colore (le variazioni nel colore e nella lucidità dell’ossidiana) e infine altre note aggiuntive e informazioni utili agli studi morfo-metrici. L’ultima scheda (fig. 4) analizza tutto ciò che riguarda il ritocco dello strumento, tranne la prima voce che ripresenta la tipologia dello strumento; per l’analisi del ritocco le voci utilizzate sono: la definizione (semplice, erto, denticolato, sopraelevato, semplice), la posizione (distale, mesiale, prossimale, continuo), l’estensione (marginale, invasivo, coprente) e la direzione (diretto, inverso, bifacciale, alterno).

2. Descrizione degli oggetti
L’industria in ossidiana di Sa Osa considerata in questo studio è rappresentata da 155 oggetti, provenienti da tre differenti contesti all’interno del sito: la fossa B (US 2, 39, 70), la struttura A (US 9 e 38) e la fossa J (US 11). L’analisi ceramica, i cui risultati sono consultabili in altri contributi in questo stesso volume (Castangia G., Pau L., Usai A., Sebis S.)[2], permette l’attribuzione di questi tre contesti rispettivamente al Bronzo Finale e Primo Ferro, al Bronzo Recente e ad un orizzonte cronologico eneolitico. Verrà analizzata nel prossimo paragrafo la effettiva compatibilità delle collezioni litiche con quelle ceramiche.
Di seguito verranno descritte le vari tipologie ritrovate.
La tipologia più frequente è la scheggia non ritoccata (75% dei casi) che in nessuno degli esemplari mostra tracce macroscopiche di uso. Gli strumenti più rappresentativi sono i grattatoi (5 reperti), i geometrici (6), e le lamelle (15) (fig. 5).
I grattatoi sono tutti molto simili, di forma sub-rettangolare; il ritocco è sia semplice che erto, continuo e marginale, solo in un caso coprente (fig. 6).
I geometrici ritrovati sono anch’essi molto regolari, di forma trapezoidale o semi-lunata. Tre di questi strumenti presentano un ritocco sul lato dritto (i semi-lunati) o sul lato più lungo (i trapezi) per l’immanicatura. Inoltre la metà dei geometrici presenta tracce di lucidatura sul lato funzionale, probabilmente dovute all’azione di taglio su fibre vegetali (fig. 7). Non superano i 2 cm di lunghezza e pesano tra 0,25 e 1,50 grammi, sono da considerarsi quindi di dimensioni ridotte. Il ritrovamento di geometrici in ossidiana di questo tipo è raro in contesti dell’età del Bronzo sia insulari che peninsulari, ma trova un confronto nel sito nuragico di Ortu Còmidu[3]. In questo sito sono stati ritrovati più di cento geometrici su cui sono state eseguite analisi funzionali: il loro risultato indicherebbe l’uso di questi strumenti nella lavorazione di piante e altre fibre vegetali.
Le lamelle non sembrano avere uno standard di produzione. Solo quattro sono ritoccate e tutte in modo diverso (denticolato, semplice, erto), su margini diversi (mesiale sinistro, mesiale destro, distale). In media le lamelle misurano 2-3 cm e pesano tra 0,50 e 2,50 g (fig. 8).
Sono presenti ma numericamente inferiori altri tipi di strumenti: lame, bulini, punte (fig. 9), troncature (fig. 10) e un lisciatoio. La quantità limitata di esemplari per categoria e la mancanza di ritocchi o ravvivamenti li rendono difficilmente studiabili.
È stato ritrovato un solo nucleo (N. Inv. 48, fig. 11), di medie dimensioni (28,5 grammi; 4,5 cm di lunghezza), molto sfaccettato (Fossa J, US 11). La mancanza di nuclei è comune in contesti lontani dalle zone di approvvigionamento dell’ossidiana. In questo caso risulta anomala la loro mancanza considerando la distanza tra il sito di Sa Osa e il Monte Arci (circa 18 km). Sulla base di un esame più attento delle schegge di medie dimensioni, sembra che un numero ridotto di esse siano dei nuclei molto sfruttati di dimensioni ridotte (fig. 12). La pratica di sfruttare i nuclei fino all’ultimo strumento è anch’essa, di solito, attribuita a contesti distanti dalle zone di affioramento dell’ossidiana. Questi due aspetti (numero ridotto di nuclei e forte sfruttamento dei nuclei) meritano uno studio più approfondito.
Due frammenti in particolare meritano un’analisi più dettagliata: una lama a dorso (N. Inv. 153; fig. 13) e una punta di freccia foliata (N. Inv. 154; fig. 14). La prima presenta un ritocco erto sul lato sinistro, sia semplice che marginale sul lato destro; la direzione del ritocco è alternante, molto precisa e curata; è lunga 5 cm e pesa 3,75 grammi. Questa tipologia di strumento è rara in contesti dell’età del Bronzo; generalmente essa è associata a contesti cronologicamente anteriori, Neo-Eneolitici, localizzati in tutto il Mediterraneo occidentale.
La punta di freccia è caratterizzata da un ritocco coprente bifacciale semplice e piatto; è peduncolata e presenta la punta spezzata; misura 2 cm e pesa 1,10 grammi. Quest’armamento, come la lama a dorso, non è caratteristico di contesti dell’età del Bronzo. Le punte di freccia riferibili cronologicamente alla cultura di Ozieri presentano molte similitudini con questo strumento[4].
Questi due oggetti, provenienti dal contesto della Fossa B (US 70), sono da considerarsi pertanto probabilmente delle intrusioni, attribuibili a orizzonti cronologici precedenti rispetto alla stessa fossa, il cui taglio è riferibile ad una fase cronologica successiva al Bronzo Recente (vedi Pau L. in questo volume). Tale ipotesi è sostenibile anche in virtù della presenza diffusa nel sito di residui stratigrafici e materiali sicuramente anteriori all’età del Bronzo (vedi Usai A., Sebis S. e Pau L. in questo volume).
Rintracciare l’appartenenza dei manufatti studiati a una delle colate d’ossidiana sarda usate per l’approvvigionamento in età preistorica risulta molto difficile a livello di analisi macroscopiche[5]. Ciononostante è stato possibile riconoscere l’ossidiana di tipo SB in due casi (N. Inv. 8, fig. 15; N. Inv. 76, fig. 10) grazie a caratteristiche macchie bianche e sfumature grigie.

3. Interpretazione
Attribuire l’industria litica del sito di Sa Osa a un orizzonte cronologico specifico risulta molto difficile considerando la scarsa documentazione esistente in Sardegna per l’industria litica dell’età del Bronzo (fig. 16). Inoltre la maggior parte degli strumenti ritrovati potrebbe essere ascrivibile a diversi orizzonti cronologici. Gli unici due elementi che trovano confronti con facies culturali definite sono la punta di freccia e la lama a dorso: la prima trova molti confronti nella cultura di Ozieri, mentre e la lama a dorso è presente in un gran numero di siti sia del Neolitico che dell’Eneolitico sardo, ed è assai diffusa in contesti dei medesimi orizzonti cronologici di tutto il Mediterraneo Occidentale. Ciò potrebbe portare a pensare che il taglio della fossa B abbia intaccato depositi databili a fasi anteriori all’età del Bronzo, come è confermato dallo studio dei reperti ceramici del deposito in essa contenuto (US 2, 39, 70) (Pau L. in questo volume).
Degna d’interesse si è rivelata la bassa specializzazione dei reperti, associata allo sfruttamento intensivo dei nuclei. Il 75% dei reperti sono infatti schegge non ritoccate: tale carattere indica uno scarso interesse per la produzione di strumenti tipologicamente specializzati. Ciò può essere collegato alla necessità di creare oggetti dalla funzionalità il più possibile generica e di breve utilizzo. Per tutta la durata dell’età del Bronzo dell’area mediterranea occidentale si assiste ad una progressiva diminuzione e scomparsa dello sfruttamento dell’ossidiana, mentre in Sardegna l’uso di questo materiale sembrerebbe continuare nel tempo almeno fino all’età del ferro. La scoperta della metallurgia permette di creare strumenti più vari ed affidabili, ma la presenza di una risorsa come l’ossidiana, in grande quantità e di elevata qualità, disponibile a corto raggio, può aver portato gli abitanti dell’età del Bronzo di Sa Osa a continuarne lo sfruttamento, più o meno intensivo.
La presenza di un solo nucleo di medie dimensioni, oltre ai pochi nuclei ridotti a schegge, è un elemento raro per un sito così vicino ad affioramenti d’ossidiana. Questo dato parrebbe indicare una situazione diversa da altri contesti, in cui lo sfruttamento intensivo è legato alla scarsità del materiale, poichè gli oggetti creati a Sa Osa (schegge) non richiedevano una quantità notevole né una qualità elevata della materia prima.
Infine un elemento rilevante emerso in questa fase preliminare di studio è stato l’identificazione in due casi (vedi paragrafo 2) di una delle qualità d’ossidiana definite da Tykot nel suo studio del 1992, la cosiddetta SB, tale qualità si caratterizza per la sua relativa rarità nell’ambito del campione sardo, e si può ipotizzare che la sua presenza nell’area di Sa Osa sia dovuta alla vicinanza della fonte di approvvigionamento primario.
Si auspica che lo studio presentato in queste pagine possa essere integrato da futuri dati al fine di ottenere una visione più chiara riguardo lo sfruttamento dell’ossidiana in contesti dell’età del Bronzo sarda.

 


[1] In ogni scheda è stata ripresentata una voce presente nella scheda precedente per facilitare le ricerche incrociate.

[2] Per la topografia complessiva del sito di Sa Osa vedi Usai A. in questo volume.

[3] Hurcombe L. M., Use Wear Analysis and Obsidian: Theory, experiments and results, Sheffield, University of Sheffield, 1992.

[4] Antona Ruju A., Lo Schiavo F., Oredda - Sassari, la Domus delle doppie spirali, in L Dettori Campus (a cura di), La cultura di Ozieri. Problematiche e nuove acquisizioni, Atti del I Convegno di studio, Ozieri gennaio 1986-aprile 1987, ed. Il Torchietto, Ozieri 1989, pp. 49-74.

[5] Tykot R. H., The sources and distribution of Sardinian Obsidian, in R. H. Tykot, T. K. Andrews (a cura di), Sardinia in the Mediterranean: A Footprint in the Sea, Sheffield, Sheffield Academic Press, 1992, pp. 57-70.