Materiali Nuraghe Palmavera

Antonio Taramelli 4

Siamo così arrivati al 1908. Dalla lettura delle relazioni del Soprintendente nonché Direttore del Museo Archeologico di Cagliari si evince la sua passione per “le sarde antichità” come ebbe a dire il Canonico Spano. In quest’anno verranno da lui proseguite le ricerche sull’altipiano della Giara e i suoi monumenti preistorici nonché le indagini nella antica Sulcis per quanto attiene l’età punica e romana.

In quest’anno verranno da lui proseguite le ricerche sull’altipiano della Giara e i suoi monumenti preistorici nonché le indagini nella antica Sulcis per quanto attiene l’età punica e romana. Nel 1909 lo troviamo impegnato nel nord dell’Isola e più esattamente ad Alghero; leggeremo le relazioni sul grande Nuraghe Palmavera; nello stesso anno lo vedremo impegnato nelle necropoli di Cuguttu e Angelu Ruiu sempre nel vasto territorio di Alghero.

“Il Nuraghe Palmavera presso Alghero. Ubicazione del nuraghe. La questione relativa alla destinazione dei nuraghi, alla loro cronologia ed a quella dei materiali ad essi riferiti, come quella dei rapporti tra la civiltà da essi rappresentata con quella delle grotte artificiali, o domus de gianas, non possono essere chiarite se non mediante l’opera degli scavi. […] Per la grande cortesia del Cav. Fignoni, sindaco di Alghero, fu possibile praticare lo scavo nel nuraghe detto di Palmavera, in terreno della signora Giov. Angela Sannino congiunta del predetto cav. Fignoni. E’ mio dovere porgere qui ad entrambi i miei pubblici ringraziamenti per l’aiuto prestato ad una ricerca scientifica che tocca tanto direttamente le origini sarde. Come si può conoscere da una semplice occhiata allo schizzo topografico della regione, la posizione del nuraghe si presentava interessante e attraentissima. Tra la vasta rada di Alghero ed il profondo e sicuro golfo di Porto Conte, si avanza in mare, a dividerla l’una dall’altra, il promontorio collinoso di Punta del Giglio, che tutto roccioso ed a mammelloni coperti di magre boscaglie, quasi da ogni parte cadenti a brusca scarpata, nel mare, è l’ultima propaggine meridionale di quel gruppo montuoso che ha la sua maggior elevazione nel M. Doglia (. 437). […] La posizione dominante e nel tempo stesso riparata del nuraghe, non meno che la grandiosità dei suoi resti, e la relativa opportunità di accedervi dalla strada provinciale, rendevano quell’edificio degno della maggior attenzione, così che parvermi opportuna la scelta in mezzo ai numerosi nuraghi della regione per eseguirvi uno scavo. Come altri nuraghi, il n. Palmavera non lasciava scorgere che una piccola parte di un cono, sorgente da un grandioso cumulo di pietre sconvolte, legate con terriccio compatto ed avvolto da una intricata vegetazione di palmizi nani, specialmente abbondanti in quella regione, che essi appunto ha preso il nome. […] Una visita superficiale che si poté dedicare a questi cumuli di pietre, molto numerosi, lasciò la certezza che trattavasi di resti di piccoli edifici a pianta circolare, costruiti nella tecnica del maggiore edificio nuragico e a quello contemporanei.

Descrizione del nuraghe. Vediamo innanzi tutto i risultati dello scavo per quanto riguarda la struttura dell’edificio, ricordando che le indagini furono rivolte a segnare più precisamente i limiti della costruzione nuragica e le parti che la costituivano, come anche la successione con la quale questa varie parti erano sorte. Il nuraghe Palmavera comprende due parti principali, differite e due differenti epoche di costruzioni; A, una torre o nucleo centrale, sorto in epoca più antica; B, un corpo aggiunto, di costruzione certamente più recente del nucleo centrale, che si compone di un fasciame o rinforzo ai fianchi ed ha dinnanzi alla fronte della torre o nucleo primitivo un recinto ampio o cortile, nel quale si apriva una porta d’ingresso principale, con uno sperone circolare sporgente dal recinto ed un complicato ingresso secondario. […] E’ alla regolare disposizione di questi strati che è dovuta la struttura di questo nuraghe, come di molti altri sorgenti tutto attorno al monte Doglia; tuttavia l’esame accurato della costruzione di questa torre nuragica, come di altri nuclei primitivi di altri nuraghi finitimi, da me esaminati, permettono di riconoscere una tecnica costruttiva più antica, pure regolare, da più agguerrita, in cui trasse miglior partito dallo stesso favorevole materiale. […] La torre, alta ancora oggi m. 8, ha alla base un diametro, di m. 9, con uno spessore di muro di m. 2,50; questo notevole spessore era ottenuto con tre fasce di pietre; nell’andito d’ingresso, nelle nicchie, nelle fratture era evidente la struttura accurata, per quanto primordiale del muro, essendo le pietre legate da una disposizione alternata per il lungo e per testata, disposizione frequente nei nuraghi come negli edifici difensivi o d’altro uso d’età micenea, e che unitamente colla stratificazione dell’argilla e delle zeppe di scheggioni tra corso e corso ne assicurava la stabilità. La struttura insomma era rude e robusta, e tale è l‘aspetto della maggior parte dei nuraghi, assai più grandioso”

Già da questa parziale presentazione del monumento si intuisce la spasmodica ricerca di scoprire, oltre le tecniche edificatorie, una esatta destinazione delle costruzioni presenti in tutta l’Isola, cosa che a distanza di oltre un secolo e malgrado l’apporto multidisciplinare ancora appare parzialmente risolta.

Ma proseguiamo ancora la lettura del resoconto di Taramelli:

“La porta del nuraghe Palmavera era provvista di un lastrone mobile, della larghezza del vano della porta ed un poco più alto; esso venne trovato adagiato in terra, sul pavimento del corridoio d’accesso; evidentemente questa robusta chiusura doveva sbarrarsi dall’interno dell’edificio; abitualmente rimaneva aperta, formando pavimento all’androne; rialzata invece sbarrava l’ingresso e vi doveva essere mantenuta con travi e puntelli di legno, fissate all’estremità opposta o nel pavimento, o negli interstizii fra le pietre delle pareti. Quando la porta era sbarrata in modo così formidabile, la luce e l’aria penetravano largamente dalla feritoia posta sopra l’architrave, larga nel punto più stretto 15 cm, ma alta quanto un corso del fasciame di pietra, cioè circa 0,50 cm. Contrariamente all’uso più frequente nei nuraghi, l’andito non era provvisto, né a destra né a sinistra, della nicchia, aperta nella parete del fianco”.

Tralasciamo la descrizione dell’edificio per dedicarci ad una elencazione dei tanti materiali rinvenuti durante lo scavo.

“I MATERIALI OFFERTI DALLO SCAVO: Lo scavo della cella principale A provò che dopo il crollo della parte superiore del recinto B e lo sbarramento conseguente della porta principale, si entrò in ogni tempo nella camera per la breccia aperta in corrispondenza della nicchia della scala […] Gli strati superiori allo strato primitivo dettero ancora qualche frammento di ceramica di età romana, specialmente di anfore e brocche da liquidi si ebbero anche i resti di un’anfora rodia, del tipo abbastanza frequente nell’isola in periodo punico.[…] Il carattere assolutamente chiaro di abitazione che era attestato dalla presenza del focolare, con doppio sedile accanto, col vaso ancora in posto tra le ceneri, era ancora maggiormente confermato dalla grande massa di materiali frammentari rifiutati dalla vita e dall’ingente quantità di ossa che si infittivano in prossimità del focolare, non mancando neppure in tutto lo strato. Lo studio fatto dallo zoologo confermò la nostra osservazione sul luogo; abbondavano le ossa lunghe di cervo e di bove; frequentissime le corna, alcune molto ramificate del primo; numerose le ossa della pecora, della capra, numerose anche le ossa di piccoli roditori, conigli e lepri. Tra i gusci dei molluschi furono raccolti in gran numero, massimo accanto al focolare centrale e a quello di sinistra, le valve dei mytilus, quelle delle patellae, alcune delle quali grandissime; abbondavano anche le valve di pectunculs, di ostrea e di cardium, di alcuni esemplari presentarono il foro intenzionale alla cerniera, che li indicava come pendagli d’ornamento, portati per qualche tempo e poi lasciati tra i rifiuti del focolare; non mancarono le valve di pinna nobilis e quella della purpura haemastoma.[…] Nella massa di cenere e carboni che si addensava nel centro del nuraghe si ebbero, come notai sopra, numerosi frustoletti di metallo ossidato, bronzo o rame, in piccole masse tondeggianti, che avevano il carattere di sbavature o gocce di fusione, sfuggite dal crogiuolo; accanto a queste si raccolsero in quantità abbastanza rilevante di oltre un chilogrammo, frustoli di bronzo lavorato, forse di origine raccolti in un vaso in terracotta, posto accanto al fornello dove si fondevano nei crogiuoli, come proverebbero i vari frammenti di una rozza urna in terracotta, nella faccia interna incrostati di sali di rame. Sparsi nello strato che formava il fondo della cella specialmente a poca distanza dal focolare centrale, in modo da lasciar supporre che fossero caduti nella cenere, o fossero stati gettati perché inservibili e spezzati, si ebbero alcuni pugnaletti, unitamente ad altri oggetti di uso e di ornamento in bronzo. Ai bronzi trovati nello strato della cella appartiene anche un bottone a tronco di cono, vuoto internamente e terminante in alto con anellino che ha taluni confronti col materiale nuragico sinora conosciuto, e che io ritengo come il bottone terminale di un casco, destinato a reggere o una penna od altro ornamento. […] Assai interessante è la perla d’ambra, a sezione ellittica, di 32 mm. di lunghezza, ornata alla superfice da solchi paralleli alla base, e forata nell’asse mediano; perle d’ambra, ellittiche di forma, ma non decorate, si trovarono nel nuraghe Attentu, nella Nurra di Sassari; questo oggetto di ornamento accenna certamente a provenienza da altre regioni.

OSSERVAZIONI GENERALI E CONCLUSIONI. Gli elementi raccolti nello scavo del Nuraghe Palmavera e che ho qui esposti, se non tolgono l’oscurità che è lamentata dagli studiosi intorno alle questioni preistoriche sarde, contribuiscono però alquanto a chiarire la tenebra fonda. […] SE ora volessimo esprimere una valutazione cronologica dei dati qui esposti noi dovremmo, sia in base degli elementi architettonici che quelli forniti dalla suppellettile, distinguere due periodi. In una prima età si stabilisce il torrione nuragici e si ha un lungo periodo di vita, certo più volte secolare, rappresentato dallo strato denso di focolari con suppellettile più arcaica di pietra, di bronzo, di ceramica, che può condurci fino alla metà del secondo millennio a. C.. Le difese poderose del recinto devono essere fatte in un periodo più recente e possono corrispondere alle prime minacce per parte di popolazioni marinare di approdare e di stabilire forse dei posti di rifugio sulle spiagge del golfo, minacce e sbarchi che potremmo anche attribuire a genti egee, prima che fenicie. Anche la mancanza di materiali fenici e punici nello strato antico del nuraghe dà una prova negativa, ma efficace per supporre che il ciclo della vita di quella famiglia fosse già chiuso quando le incursioni dei Fenici costrinsero gli indigeni a ritirarsi dalle spiagge verso l’interno. Ma la messe di dati ora raccolti non è tanto ampia da permettere più precise determinazioni cronologiche e giova attendere e sperare da ricerche ulteriori che meglio ci conducano a raffigurare i caratteri e le vicende  di questo popolo isolano e che, illustrandone le intime energie originarie, lascino meglio comprendere come queste siansi svolte e come siansi alimentate e sorrette dagli scambi e dai rapporti con altre civiltà mediterranee”.

Malgrado i tagli necessari alla narrazione del Soprintendente, che ormai abbiamo iniziato a capire e sicuramente apprezzare per gli sforzi profusi, si è riusciti a comprendere uno spaccato di vita nuragica anche attraverso le elementari metodiche di indagine, che poi sono quelle ereditate dagli studiosi tardo ottocenteschi. Taramelli con lo scavo del Palmavera si trova davanti al monumento simbolo della civiltà sarda preistorica, il più grande da lui indagato e pertanto ricco di problematiche che l’indagine dei piccoli nuraghi non gli avevano dato.

Come sempre invitiamo i nostri lettori a prendere visione dei testi originali che si trovano presso la nostra biblioteca comunale; un invito ulteriore è quello della lettura dei dati di scavo più recenti condotti dall’archeologo Alberto Moravetti.