Le navi di San Salvatore

Le navi di San Salvatore di Cabras

Nell’ipogeo di San Salvatore di Cabras, fra i numerosissimi graffiti e dipinti che costellano le pareti dei diversi vani, è stato rilevato un certo numero di raffigurazioni nautiche identificabili con diverse tipologie di “navi”.

 

 

Nell’ipogeo di San Salvatore di Cabras[1], fra i numerosissimi graffiti e dipinti che costellano le pareti dei diversi vani, è stato rilevato un certo numero di raffigurazioni nautiche identificabili con diverse tipologie di “navi”.

Esse costituiscono uno degli elementi più frequenti all’interno dell’ipogeo ed appaiono distribuite in quasi tutti i vani (vedi immagini delle planimetrie); le accomuna il fatto che sono state eseguite con il carboncino, utilizzando una punta fine annerita in cima, che ha lasciato una traccia quasi sempre chiara e ben percettibile[2]. Il disegno sembra pertanto del tutto intenzionale e realistico, non tracciato come se fosse stato eseguito per caso.

Questa serie di raffigurazioni sembra essere l’elemento preponderante e forse caratterizzante il complesso santuariale di San Salvatore, anche se non quello più vistoso; esse definiscono l’ipogeo come legato al culto delle acque già da epoche molto più antiche[3], e in particolare come luogo cui  , marinai e persone scampate a pericoli in mare portavano i loro ex voto; “All’importanza del culto delle acque rivelata dalla tradizione letteraria, corrisponde in Sardegna la testimonianza archeologica. Tra le strutture più imponenti della preistoria sarda, e in genere della preistoria del Mediterraneo, sono i tempi a pozzo, di cui i più noti sono quelli di S. Anastasia di Sardara e di S. Vittoria di Serri.”[4]

Per le figurazioni presenti più antiche viene comunque proposta e storicamente accettata una cronologia compresa tra il IV e la fine del V secolo d.C.; il luogo deve però essere stato ancora noto per queste sue peculiarità nelle età successive, per la presenza, nel vano centrale, nell’immagine di un galeone di epoca moderna, presumibilmente databile al XVI-XVII secolo. Il galeone è anch’esso dipinto, curato fino nei minimi particolari, a differenza di quanto avviene nella resa sommaria delle navi antiche.

Il grande archeologo Doro Levi[5] evidenziava e riconosceva diverse tipologie di imbarcazioni, individuando tra di esse rates, naves onerariae, naves speculatoriae, celetes, cladivatae ed altri tipi ancora, fino alla barca da pesca sul tipo dei fassoni che sicuramente venivano utilizzato nel vicino e grande stagno di Cabras.

In realtà, i disegni sono molto semplificati e, considerato anche lo stato di conservazione, sembra molto difficile proporre una precisa identificazione del tipo e della funzione della nave. Pare, comunque, da escludere la presenza di navi da guerra, a favore di quelle per il trasporto di merci e per la pesca.

La tipologia delle raffigurazioni è varia e porta ad affermare che esse non possono essere l’opera di disegnatori di epoche diverse che hanno ricopiato l’uno gli schemi dell’altro, servendosi tutti di uno dei più semplici strumenti di scrittura quale è il carboncino. Tutti i disegni hanno elementi che lo accomunano fra di loro e che consentono di affermare che sono stati tutti eseguiti in un lasso di tempo piuttosto breve, forse limitato ad un secolo o due.

Sempre gli studi del vecchio Soprintendente della Sardegna portarono a dei precisi confronti in altre rappresentazioni simili, soprattutto in quelle dell’Africa Romana, oltre quelle famose del piazzale delle Corporazioni di Ostia, dove sono presenti anche quelle dei naviculari (armatori) di Caralis (Cagliari) e Turris Libisonis (Porto Torres).

Numerosi sono i casi di raffigurazioni isolate di imbarcazioni, in siti diversi, ma preferibilmente all’interno o nei pressi di luoghi sacri, non necessariamente sul mare.

Ad Oristano alcune di esse sono state rinvenute alcuni anni orsono durante i lavori di restauro all’interno della chiesa di Santa Chiara[6] entro le mura di Oristano o ancora quelle rappresentate nelle pareti della parte inferiore della torre spagnola di Torre Grande[7]. Altro esempio è quello della nave, verosimilmente spagnola, incisa su un pilastro in tufo presente nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista di Nurachi, questo solo per citarne solo alcune nelle vicinanze di Oristano.

Alcuni siti molto importanti come Pompei hanno restituito consistenti nuclei di imbarcazioni graffite sulle pareti di edifici diversi, a carattere sacro, pubblico, ma anche privato.

Molte altre presenze di imbarcazioni onde fare confronti rendono sempre più sicura l’identificazione delle navi dell’ipogeo di Cabras con segni di ex voto ad una divinità, per uno scampato pericolo, o più facilmente come segno di devozione espresso attraverso un oggetto familiare al dedicante.

Una iconografia pittorica degli ex voto a carattere religioso è rappresentato dai dipinti presenti presso il santuario della Madonna di Valverde[8] nei pressi di Alghero; pescatori e marinari hanno deposto nella chiesa i quadri che li rappresentano a bordo di imbarcazioni naufragate o durante una forte burrasca con la richiesta di aiuto alla Madonna nera li venerata. Ecco quindi rappresentata con un votum solvit il felice epilogo della disgrazia.

 



[1] “Solo una volta all’anno, per tutta la prima settimana di settembre, a partire dalla domenica, cioè dall’inizio dell’anno nel calendario agrario (cabudanni), è luogo di feste popolari, durante le quali convergono pastori, pescatori e contadini di tutti i borghi intorno, che pernottano nelle casupole, disabitate il resto dell’anno.” Così riporta Levi. (vedere le note successive).

[2] A. Donati. Le navi di Cabras in Sardinia Antiqua. Cagliari 1992.

[3] La civiltà nuragica nel luogo di San Salvatore è documentata sia all’interno che all’esterno con la presenza di due nuraghi circostanti; uno, monotorre, appena distinguibile mentre l’altro, il Leporada, è un grande quadrilobato.

[4] D. Levi: L’ipogeo di San Salvatore di Cabras in Sardegna. Roma 1949.

[5](Trieste 1898 – Roma 1991) è stato un archeologostorico dell'arte greco-romana, direttore della Scuola archeologica italiana di Atene. Nel 1935  Levi divenne professore ordinario all'Università di Cagliari in ArcheologiaStoria dell'arte grecaromana e dal 1935 al 1938 tenne anche la direzione della Soprintendenza della Sardegna.

[6] I lavori di restauro dell’intero complesso del monastero sono stati amorevolmente seguiti dagli architetti Federica Pinna e Rossella Sanna di Oristano che si ringraziano per l’immagine fornita.

[7] G. Tola. La Gran Torre d’Oristano. Cagliari 2003.

[8] M.M. Satta. I miracoli. per grazia ricevuta. religiosità in Sardegna, sassari 2000.