Il pane in Sardegna

Il pane in Sardegna

Abbiamo parlato della vite e abbiamo conosciuto della produzione dell’olio della nostra Isola attraverso l’archeologia; non potevamo pertanto trascurare un altro elemento basilare nella alimentazione, sia dell’uomo antico che in quello moderno. Parleremo ovviamente del pane e dell’elemento basilare che è il grano attraverso l’intera filiera produttiva.

 

La Sardegna è nel mezzo delle terre mediterranee del grano e del pane; anche nell’Isola come nel resto del vasto mare Mediterraneo il grano è re! [1]

La Sardegna è già dalla preistoria in un’area del mondo dove il pane è stato un fondamento della vita, come in altre parti del mondo lo sono stati il riso, il mais e altri tuberi.
La campagna era per il grano…c’è tutto se c’è il pane. Un bicchiere di vino magari con qualche fetta di salsiccia e un morso di formaggio.
Al pane si davano tante forme diverse: di fiori e di frutti e di tutte le cose le cose belle e buone. Per ogni festa c’era il suo pane speciale e i luoghi più puliti erano quelli dove lo si faceva, a cominciare dal tavolo e dai recipienti; si toccava con mani pulite e si maneggiava con grande rispetto. C’era venerazione per il pane, quasi a chiedergli perdono per doverlo mangiare…e guai se il pane cadeva per terra, dovevi baciarlo appena raccolto.
Nella preistoria, sebbene il pane sia collegato agli albori della agricoltura e in particolare alla coltivazione dei cereali, non sempre era preparato con farina di cereali, né tutti i cereali consentivano o erano adoperati per fare il pane, come le ghiande della quercia.

In Sardegna per mancanza di specifiche analisi il consumo del pane in età preistorica può essere solo ipotizzato mettendolo in associazione alla diffusione della cerealicoltura introdotta nell’Isola nel VI millennio a.C. dove la più antica presenza di cereali per quanto attiene il Neolitico proviene dalla grotta Filestru di Mara, dove sono stati trovati dei piccoli chicchi di farro, oltre ai cosiddetti macinelli in pietra per la trasformazione del cereale in farina.

Le fonti archeologiche, storiche ed etnografiche confermano per la Sardegna la produzione ininterrotta, fin da tempi preistorici, sia del frumento sia dell’orzo.

A partire dall’ultima fase del Neolitico si trovano negli abitati dei dischi i ceramica, chiamati “spiane” che fungevano, probabilmente da piani di cottura per alimenti; questi dischi, con diametri variabili e spessi anche alcuni centimetri, venivano poggiati sulle braci e sembrerebbero funzionali per la cottura di sottili focacce.

In età nuragica erano adoperati grossi contenitori in terracotta, gli ziri, di notevoli dimensioni che spesso venivano infossati parzialmente nel terreno e adoperati come silos; erano sicuramente molto preziosi in quanto alcune di essi sono stati ritrovati restaurati con delle grappe di piombo e potevano essere anche di grandi dimensioni, come quello rinvenuto in un cortile del grande Nuraghe Arrubiu di Orroli, che poteva contenere 150 quintali di cereali.

Molto simili alle precedenti “spiane” sono le “coppe di cottura”; simili a grandi tegami rovesciati e con diametri compresi tra 40 e 80 centimetri, hanno il fondo convesso ed alcuni fori sulle pareti, forse con funzione di sfogo del calore o del vapore. L’alimento da cucinare veniva coperto dalla coppa sulla quale si deponevano le braci.

In età romana le pianure producevano grano in grande quantità, tanto da fare dell’isola uno dei tria frumentaria subsidia reipublicae.

Le fonti classiche riportano che nel 206 a.C., durante la seconda guerra punica, a Roma si dovettero costruire dei nuovi silos per poter conservare tutto il grano che arrivava dall’Isola; anche Plinio, qualche secolo dopo, parla del grano sardo anche lo definisce di qualità non eccellente.

Per quanto riguarda il Medioevo non si hanno notizie univoche in quanto l’isola era frammentata in tante piccole realtà politiche e autonome tra di loro, tuttavia si può affermare con sufficiente sicurezza che in età giudicale le coltivazioni cerealicole avevano un ottimo sviluppo.

Ogni casa, dall’età preistorica in poi aveva delle piccole macine in pietra amano e macine più grandi, mosse dagli asini; ne sono state trovate anche in scavi archeologici in ambito romano tardo-imperiale nonché in età medievale, dove sono attestati i mulini ad acqua, diffusi in tutta l’isola; il maggior numero si trovavano nel Giudicato di Arborea a nel Logudoro e in genere vengono impiantati nelle terre dei grandi latifondi privati o ecclesiastici e naturalmente il loro uso non si limitava solo alla molitura del grano. L’uso di questa macchina poteva essere infatti la più diversa e venivano definiti anche craccadorgius, crakkadoriu, crakkera ecc.

Il grano sardo era principalmente di tipo duro e, per quanto riguarda la composizione del pane, esso era fatto probabilmente di farina di grano ma tuttavia non possiamo esserne certi in quanto in Sardegna la procedura della panificazione, delle forme e la composizione degli ingredienti, a partire dal lievito usato, differisce dal paese a paese.

Di pane ricavato da grano duro e da farine bianchissime, dà notizia in Sardegna nella seconda metà del Cinquecento, lo storico Gian Francesco Fara ma risalgono alla fine del Settecento le prime dettagliate informazioni sulle pratiche cerealicole e sulla produzione del grano, orzo e non solo.

Nel Novecento, quando per le pressioni esercitate da agronomi e istituzioni agrarie si era ormai si era ormai diffusa in tutta l’Isola la produzione di grano Capelli o trigu senadori, dal nome del senatore che lo aveva selezionato, ma molti contadini seminavano ancora orgiu sardu e trigu sardu, e cioè quelle varietà prodotte nelle terre dei padri e dei nonni, selezionate dalla secolare esperienza e sapienza de is antigus. Gli anziani ne ricordano ancora molti nomi: trigu biancu, trigu corantinu, trigu murru baxu, trigu arrubiu, trigu sciscilloni nell’oristanese; cinixu, dent’e cani, su fogu pissinu, co’e accriaxu, brenti bianca nel cagliaritano.

Quella di fare il pane era, insieme alla preparazione dei cibi, una occupazione esclusivamente femminile, come ricorda un brano contenuto del Condaghe di Santa Maria di Bonarcado.


[1] F. Braudel. Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II. 1953.