ARCHEOLOGIA SUBACQUEA - LA STORIA RACCONTATA DAL MARE

La storia raccontata dal mare

Finora le nostre letture si sono incentrate sulle ricerche archeologiche avvenute in ambiente “terrestre” quasi dimenticando che noi viviamo in una grande isola circondata da uno dei mari più belli del mondo. Ma non è del mare inteso come luogo ameno adatto a trascorrere le nostre vacanze o solo una giornata in spiaggia che andremo a parlare oggi, ma di quell’elemento solcato per millenni dalle genti che si spostavano e che lo adottarono come alternativa ai lunghi percorsi via terra.

 

“Le isole godono nel pensiero antico di una profonda ambivalenza: da un lato esse rappresentano un “punto di passaggio” lungo le rotte mediterranee, dall’altro, per la loro stessa natura, sono luoghi “remoti” e “isolati”, e, in quanto tali, possono trasformarsi in luoghi utopici”.

Questo brano, tratto dal volume Insulae Sardiniae et Corsicae, Le isole minori della Sardegna e della Corsica nell’antichità di Raimondo Zucca, richiama non solo l’esotismo delle isole in generale, caratterizzate spesso da nicchie antropologiche, ecologiche e geologiche a volte non riscontrabili in contesti peninsulari, ma anche i benefici ricavabili dai traffici commerciali.

Per certo possiamo affermare che la navigazione costituì un fattore di primaria importanza per le civiltà del Mediterraneo antico, non solo per gli aspetti commerciali e militari, ma anche per i vastissimi riflessi che ebbe a livello sociale e culturale, fatto   che mette in evidenza il rilievo delle rotte verso la Sardegna percorse dai navigatori levantini, sin dalla fase detta della  precolonizzazione.

Ovvio che per raggiungere la nostra Isola non vi era alternativa che seguire le grandi vie d’acqua, a volte non prive di incertezze per espletare uno dei sogni più antichi dell’uomo che è quello di conoscere ed esplorare.

Dai carichi trasportati, dagli oggetti personali e dal legno di cui erano fatte le navi stesse, gli archeologi posso ricostruire nei minimi particolari la vita quotidiana, il commercio, la tecnologia, l’arte e gli interessi dei popoli che hanno solcato il mare negli ultimi quattromila anni.

Dove avvennero i naufragi?
Nella grandissima maggioranza dei casi in prossimità della terra, in vista delle coste; secondo la natura di queste ultime, basse o a picco, i relitti si trovano più o meno in profondità. Nel Mare Mediterraneo i fondali, anche se in prossimità della costa, misurano per lo più dai 30 ai 40 metri.

Se la vicinanza di una costa rappresentò un pericolo evidente per la navigazione, l’alto mare in ogni tempo contribuì notevolmente ai naufragi; qualche decennio orsono, in una ricerca finalizzata a studiare il percorso di un oleodotto tra le coste africane e la Sicilia, l’equipaggio di un sottomarino adatto alla esplorazione osservò uno o anche più relitti al giorno sui fondali, la cui profondità era di circa 500 metri, considerando che esso percorreva una rotta in linea diritta e con strettissima possibilità di poter indagare ai lati di essa.

Ben diversa è la ricerca effettuata su un adeguato numero di relitti costieri accessibili ai tradizionali subacquei; il Mediterraneo, mare chiuso e molto percorso da navi di ogni epoca, può essere definito un vero laboratorio e costituisce ancora una volta un esempio.

Nuove scoperte vengono regolarmente ad accrescere il numero dei relitti; si stima che il numero potenziale di relitti romani nei nostri mari sia di alcune decine di migliaia, dato che è noto come il solo vettovagliamento di Roma richiedesse annualmente il trasporto di quattrocentomila tonnellate di cereali dall’Egitto e dall’Africa a cui si aggiungono i dati per quanto riguarda la nostra Isola, considerata il granaio di Roma.

In quei secoli, sempre per quanto attiene il Mediterraneo, si pensa che i porti attivi in quell’epoca fossero un migliaio.

In mancanza di documentazioni scritte, è affascinante, in base al numero dei relitti conosciuti, tentare di dare forma ad un idea, anche se approssimativa, dell’attività di navigazione del passato.

Un altro dato interessante è quello dei siti di abbandono o discariche; si tratta di cimiteri delle navi, dove vecchie carcasse inagibili venivano rimorchiate e affondate nei luoghi più melmosi e profondi, in luoghi distanti dalle rotte di navigazione, per evitare che i loro resti marciti costituissero un ostacolo.

Su una costa frequentata abitualmente gli ormeggi sono rifugi temporanei conosciuti dai marinai, nei quali una nave può attendere all’ancora in vento favorevole o che si plachi una tempesta. La traccia di simili scali di un solo giorno o anche di una sola ora permane in fondo al mare, sulla sabbia e sulla posidonia per parecchi secoli: possono essere oggetti perduti o abbandonati dai proprietari, esprimendo così la navigazione lungo la costa.

Altra categoria di siti sommersi comprende moli, dighe, porti di mare e di fiume, vivai per i pesci, antichi nuclei abitativi in riva al mare o presso le paludi costiere; benché di origini più disparate questi ritrovamenti tuttavia hanno tutti in comune il fatto di essere delle “strutture”.

Quando si parlò dei porti dell’Età del Bronzo, dei quali ancora si discute se fossero siti naturali o bacini ristrutturati, molti studiosi affermarono che le navi di quel periodo erano troppo piccole per giustificare tali impianti e si pensava esistessero solo imbarcazioni leggere, tirate a terra ogni sera dall’equipaggio. Tuttavia la grande scoperta delle navi di Ugarit, sulla costa siriana, dove si rinvenne un’ancora in pietra del peso di circa mezza tonnellata, provò che a quell’epoca esistevano già imbarcazioni lunghe circa venti metri con una stazza di duecento tonnellate.

Nei secoli successivi vanno ricordati i grandi obelischi trasportati dall’Egitto in età Imperiale con l’ausilio di navi di oltre venti metri di larghezza ed una lunghezza vicina ai cento metri, con un fasciame che misurava dieci centimetri di spessore.

“…Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai<<<, da un lato metterai la porta dell’arca. Al farai a piani: inferiore, medio e superiore…Il Signore chiuse la porta dietro di lui”

(Genesi, 6.14-16; 7.16)

(foto di Lucio Deriu)