Le ville medievali del territorio di Oristano

Le ville medievali del territorio oristanese

Con questo contributo si dà inizio ad una serie di pubblicazioni, o meglio ri-pubblicazioni, di contributi a carattere storico-archeologico curati nei decenni scorsi dal Prof. Salvatore Sebis e presenti nelle riviste scientifiche non sempre note ad un vasto pubblico[1].

 

 

In questo viaggio a ritroso nel tempo ritroveremo toponimi ancora in uso e altri oramai caduti nell’oblio e riguardante i villaggi, o meglio le cosiddette “ville medievale” presenti e fiorenti in tutto il territorio pertinente all’area vasta di Oristano.
Per ogni sezione pubblicata verrà fornita la bibliografia al fine di trarne un eventuale ulteriore motivo di studio o semplice ricerca approfondita.
Siamo certi di trovarvi interessati, anche alla luce del gradimento dimostrato con i contributi che ci hanno accompagnato in questi lunghissimi due mesi e mezzo di emergenza COVID 19 e pertanto, incoraggiati dai risultati si è deciso di proseguire questo filone dove la storia antica e la attuale situazione territoriale consente di applicare tutte le nozioni base della già citata archeologia dei paesaggi, che i nostri lettori hanno già avuto modo conoscere attraverso il contributo sul censimento archeologico del territorio cittadino e non solo.
Vi ringraziamo anticipatamente e vi auguriamo una buona lettura.

 

LA LOCALIZZAZIONE DEL VILLAGGIO ABBANDONATO DI FENUGHEDU (DONIGALA-ORISTANO) [2]

La posizione topografica del villaggio abbandonato di Fenughedu, già nota da fonti documentarie e storiografiche anche se in modo approssimativo, è stata ultimamente confermata da testimonianze archeologiche emerse a partire dagli anni ’70 del secolo scorso appena trascorso. Le tracce dell’abitato sono state individuate, infatti, nello stesso luogo che già diversi autori, fra cui nell’ottocento Vittorio Angius e Salvatore Angelo Scintu, avevano indicato quale sede del villaggio, cioè nella località Iscolapius, a metà strada tra Nuraxinieddu e la borgata del Rimedio e a una distanza di poco più di un chilometro dalla sponda destra del fiume Tirso; “Prope pontem fluminis de Aristano”, quindi in prossimità del Ponti Mannu sul Tirso, come detto in un documento del 1235 che costituisce la prima attestazione documentaria della villa.[3]

Niente di eclatante per la verità essendo stati rinvenuti per lo più frammenti ceramici di età medievale e moderna ed alcuni elementi residui di strutture abitative; tuttavia la loro presenza sul terreno si è rivelata decisiva per poter localizzare con maggior precisione l’antico villaggio che, sorto in età medievale, rimase “deserto” nella seconda metà del 1600.

Il sito, denominato Iscolapiu o Iscolapius, cioè gli Scolopi, dal nome dell’Ordine religioso che nel corso del 1700 ne aveva acquisito la proprietà impiantandovi un vasto oliveto, si estende lungo il terrazzo alluvionale, alto mediamente 10 metri s.l.m., che fiancheggia sulla destra il fondovalle del Tirso. Alla base del rialto alluvionale, a sud-est, scorre il rio Nuracraba, che in origine costituiva un piccolo affluente del fiume Tirso, mentre oggi, trasformato in un canale di drenaggio dalle opere di bonifica eseguite intorno alla metà del secolo scorso, riversa le sue acque nello stagno di Cabras. L’intera zona, estesa circa 40 ettari, si presenta circoscritta dagli stessi limiti che compaiono nelle mappe del Cessato Catasto dell’Ottocento; a sud-est l’ex Carlo Felice ed oggi S.S. 292 che unisce la borgata del Rimedio a Nuraxinieddu; a nord-est il sentiero chiamato S’Utturu de su para che da Nuraxieddu porta a Donigala; a ovest il viottolo Gutturu Maleddu che dalla S.S. 292 si ricongiunge a nord alla strada Nuraxinieddu-Donigala.

Prima di esaminare i nuovi dati archeologici, può essere utile riportare integralmente i testi che l’Angius ed il canonico Sciuntu dedicarono alla villa di Fenughedu.

L’Angius ne parla nel 1845 alla voce Nuraxinieddu del Dizionario curato da Goffredo Casalis: ”In questo territorio era in altri tempi un altro paese, chiamato Biddalonga. Le rovine della sua parrocchia si possono vedere dentro l’oliveto de’ padri delle scuole pie d’Oristano; essa aveva titolare san Marco, nome che ancora conserva il sito”.

Il fatto che al posto di Fenughedu compaia Biddalonga non deve aver tratto in inganno, poiché è con questo nome che tuttora gli abitanti di Nuraxinieddu, secondo una antica tradizione orale, ricordano il villaggio scomparso.

Secondo il canonico Scintu, che scriveva nel 1873, “Fenugheda e la sua chiesa era dietro l’oliveto del collegio delle Scuole pie d’Oristano; il fabbricato era ben visibile; i Padri del collegio ne estrassero i materiali che servivano alla costruzione della nuova chiesa dello stesso Collegio dedicata con solenne consacrazione a San Vincenzo Martire. La statua di San Marco, titolare delle chiesa di Fenugheda, si è trasportata ed attualmente esiste nella chiesa campestre della S.S. Vergine del Rimedio, che pure era la parrocchiale di Nuracraba. Queste due popolazioni credo siensi distrutte colla peste del 1652, perché tra gli antichi stromenti di questa Cattedrale ne ho trovato qualcuno fatto in questi villaggetti poco prima del 1652; nessuno fatto dopo”.

Ugualmente di un certo interesse le notizie su Fenughedu scritte nel 1911 da don Daniele Trogu nel Liber Chronicon della parrocchia di Donigala Fenughedu, di cui era rettore: Da una attestazione giurata del 1904, fatta da probiuomini; Pianu Sebastiano d’anni Ottantadue, Spano Francesco fu Isidoro d’anni sessantaquattro, ambi di Donigala Fenugheda, viene asserito “Siccome-dice il Pianu – io lavorai molto tempo nell’Oliveto di RR.PP. Scolopini, e nel tempo in cui si piantava la vigna, sentivo dai Frati Scolopini, che in quella località vi era il paese di Fenugheda; e certo germano Luigi mi mostrò il sito ove era la chiesa di San Marco. A proposito di questa chiesa ricordo la particolarità che, un giorno il detto germano Luigi, che fu guardiano dell’Oliveto, mi chiamò in un sito della Vigna e mi disse: In questo posto vi era la Chiesa di San Marco di Fenugheda, e per memoria ho piantato questa pianta di fichi d’India; questo sito sono in grado di mostrarlo anche oggi quantunque sia da molti anni senza entrare nell’Oliveto; anzi aggiungo pure che il sito ove era la chiesa di San Marco ed il paese, si chiama anche oggi: Il Quartiere di San Marco, Su Quarteri de Santu Marcu”

La località di questo paese viene pure indicata da una Croce che trovavasi fissa all’angolo della siepe che circonda l’Oliveto e vicina alla Vigna; la qual Croce si trovava ancora fissa in quel posto e dal detto e vivente Spano Francesco diroccata nel mentre si passava con un carro carico di legna di olivo, non essendoci ancora la strada provinciale. La colonna e la Croce è stata trasportata dal Sindaco e Rettore, e trovasi  entro  Donigala inalberata presso la strada ed uscita a Nurachi. Chi poi volesse vedere il zoccolo di quella Croce potrà vederlo entro detto sito a sinistra andando a Nurascinieddu, e nello sbocco di un viottolo.

Viventi testimoni e veri conservatori della patria tradizione dicono: a più di sapersi la certa posizione topografiche di Fenughedu e della Croce che ne addita il sito, rimangono anche per memoria non solo la statua del Patrono ma eziandio quella della Vergine Immacolata. Continuano i predetti testimoni che le statue di San Marco e dell’Immacolata sono state trasportate dalla Chiesa di Fenugheda a quella del Rimedio dal Vice Rettore Salvatore Casu nel 1837, e quando il Rettore Teol. Angelo Maria Puliga aumentò quella Chiesa nel 1866, le tolse dall’altare, e le collocò nelle due nicchie da lui a bella posta designate, e dove oggidì si trovano.

Altri scritti più recenti su Fenughedu si devono al canonico Raimondo Bonu[4] e a Giovanni Maria Corriga[5]di Donigala, i quali tuttavia non aggiungono niente di nuovo rispetto a quanto già detto dagli autori precedenti.

Tutte queste testimonianze concordano quindi nell’indicare l’oliveto dei Padri Scolopi di Oristano come il luogo in cui sorgeva Fenughedu.

Fu quest’ordine religioso ad impossessarsi, probabilmente nei primi decenni del Settecento ma non sappiamo a che titolo o attraverso quali vie, dell’area occupata in precedenza dall’abitato e dei terreni immediatamente circostanti, dopo che il villaggio era stato definitivamente abbandonato. Su questi terreni gli Scolopi impiantarono il più esteso oliveto della zona, al centro del quale costruirono un grande casolare che si conserva ancora in parte e furono gli stessi religiosi a far erigere verso la metà dell’Ottocento, lungo il tracciato della ex Carlo Felice, il monumentale portale d’ingresso ancora esistente. L’oliveto nel 1867 venne incamerato dallo Stato per effetto della legge che espropriava i beni agli ordini religiosi e venduto l’anno successivo a don Vincenzo Boy di Oristano. Agli inizi degli anni ’70 del secolo appena trascorso la vasta proprietà fu poi smembrata in vari appezzamenti dagli eredi del nobile oristanese e venduta a diversi acquirenti. Con i nuovi proprietari, l’assetto territoriale che perdurava dal Settecento fu completamente stravolto; le siepi di fico d’India che recintavano l’oliveto furono abbattute, furono sradicati gli ulivi secolari, l’intera area fu sconvolta da profonde arature e destinata a nuove colture agricole (viti, agrumi, ortaggi ecc.). Gli unici segni che ancora ricordano gli antichi proprietari, cioè gli Scolopi, sono oggi il casolare, il portale monumentale e il toponimo Iscolapius.

La trascrizione è stata autorizzata dall’autore.
Le fotografie sono dell’archivio di Lucio Deriu per la Fondazione Oristano.


[1] Il Prof. Salvatore Sebis è un personaggio di spicco in ambito archeologico sardo. A lui si devono scoperte poi seguite da approfondite campagne di scavo proprio nel territorio oristanese, come l’indagine del sagrato della Cattedrale di Santa Maria Assunta; del Nuraghe Nuracraba ubicato dove attualmente insiste il viadotto presso la basilica del Rimedio o ancora nell’area di Sa Osa dove attualmente si trova la grande rotonda alla confluenza del nuovo ponte di Brabau e gli incroci per Cabras e Torregrande. Sempre a lui si debbono le indagini sui nuraghi e i numerosi insediamenti nel Sinis; ancora numerosi i contributi sulle ville medievali che saranno argomento principale di queste pubblicazioni
[2] Testimonianze inedite di Storia Arborense a cura di Walter Tomasi, edizioni Arxiu de Tradicions; Helis 2008.
[3] P. Tola; Codex Diplomaticus Sardiniae, Torino 1861.
[4] R.Bonu; Due diocesi sarde, Oristano e Santa Giusta, nel sec. XIV. Sassari 1976.
[5] G. M. Corriga; Brevi appunti sul paese di Donigala Fenughedu. Dattiloscritto del 1971.