Il Capitano Marco Antonio Camos

Il Capitano Marco Antonio Camos

Con questo primo contributo si dà inizio ad una serie di pubblicazioni che vedranno il mare, ma soprattutto la nostra Isola, protagonista di una parte importantissima della nostra storia.
Siamo certi che i nostri oramai affezionati lettori troveranno gradevole ed interessante lo spaziare degli argomenti fino ad ora proposti con regolare cadenza da questa pagina.
L’estate è alle porte e questo vuole essere il nostro saluto alla stagione in arrivo, certi che dopo queste letture il mare nostrum possa essere visto da una differente prospettiva; quella di un teatro importante che ha contribuito allo scambio di uomini e cose ed è stato apportatore di cultura.

La storia della Sardegna ha visto apparire e scomparire personaggi che non trovano posto nelle toponomastiche cittadine ma che, a dispetto della scarsa memoria di amministratori e urbanisti, hanno lasciato quotidiani segni del loro passaggio.
Il buon don Marco Antonio Camos, spagnolo di nascita ma sardo d’adozione, è uno di questi. E’ presente nell’isola nel 1572 in qualità di Capitano di Villa di Chiesa (l’attuale Iglesias), una delle sette città regie della Sardegna. Ma non è certo per questo incarico che dovrebbe essere menzionato nella toponomastica delle nostre vie. Sotto gli ordini di Filippo II re di Spagna e del viceré don Juan Coloma, luogotenente e capitano generale, compie il periplo della nostra Isola e non certo con mere finalità crocieristiche o turistiche. Ma procediamo con ordine.
Dobbiamo tornare al 1959 quando un nostro illustre conterraneo, Evandro Pillosu - intelligente e appassionato cultore di ricerche storiche sul sistema difensivo delle coste sarde - rinviene un inedito manoscritto (formato da due documenti) che costituisce una tra le più antiche fonti storico-geografiche sulla nostra Isola redatta in età moderna.
Il Pillosu trae questa documentazione dall’Archivio General de Simancas: quello datato 1572 è composto da 77 facciate mentre il secondo, non datato ma posteriore al 1573, si compone di 21 carte. Sotto l’aspetto prettamente geografico i manoscritti del Camos, da lui scoperti,  si possono dividere in tre parti fondamentali:

a) la prima, che riporta l’indice di ben 132 località marine (centri, porti, cale, stagni, capi, isolette, ecc.) con riferimenti a ponti, colline, corsi e pozzi d’acqua nelle immediate vicinanze;

b) la seconda, che specifica la posizione e la distanza intercorrente tra i vari siti litoranei (torri, approdi, sorgenti, ruscelli, ecc.) sia tra loro che aderenti ad altre località nel vicino entroterra;

c) la terza, che fa conoscere notizie sul patrimonio zootecnico isolano e sulle colture del grano e dell’orzo, integrate da informazioni complementari di carattere agrario.

La relazione acquista rilevante valore in quanto, fino alla scoperta del Pillosu, i dati disponibili erano quelli che si traevano dalla Descriptio dell’Arquer e dalla Chorographia storico-geografica  di Gian Francesco Fara[1]. Inoltre il Camos ricava le conoscenze attraverso i suoi personali rilievi e osservazioni dirette. I manoscritti forniscono un’accurata relazione sulle coste del Regno di Sardegna e sulle località ove innalzare torri e installazioni di vedetta necessarie ai rilevamenti e alle fortificazioni dell’Isola, proprio secondo le istruzioni del viceré don Juan Coloma.
Il Capitano Camos compì l’intero periplo isolano, partendo da est verso ovest, dall’ultimo giovedì di gennaio del 1572 alla sera del mercoledì 26 aprile dello stesso anno; nel rapporto vengono elencati 15 porti, 4 canali funzionanti come porto, 6 ripari, 105 cale di rilevante importanza e 26 località accertate dove, in qualunque stagione dell’anno, i vascelli potevano fare rifornimento di acqua dolce.
La relazione mette in evidenza che, ai fini di un controllo efficiente in tutta la Sardegna e di una valida fortificazione in alcuni suoi porti, si rende necessario istituire un complesso di 73 posti di guardia così distribuiti:

a) 63 in torri, delle quali 9 già esistenti e cioè la gran torre di Oristano, la torre di Bosa, la torre di Poglina, la torre del Giglio, la torre Maestra, la torre delle Saline, la torre di Porto Torres, la torre di Arbatax e la torre di Sant’Elia;

b) 10 località senza torre e precisamente: Monte Scudo, Monte San Giovanni, Monte Dado, Monte Ara, Monte Sarbacai, Capo Negro, Capo Orso, Monte Longo e Monte Ferro. In tal modo si dovevano costruire 54 torri delle quali 50 semplici e 4 gagliardate con una spesa allora stimata in 23.920 scudi.

Camos, principalmente uomo d’arme, fa un puntuale computo del personale addetto a guardia delle 54 torri specificando la necessità di costituire una compagnia formata da 144 uomini e 6 esploratori (5 a cavallo e 1 a piedi). Già sappiamo che tale rapporto, esposto poi a Sua Maestà Filippo II, sfocerà nella richiesta di contribuzioni agli abitanti dell’isola, proprio per il vantaggio che essi ne trarrebbero in termini di sicurezza dalle continue incursioni barbaresche.
Esso si improvvisa antropologo all’osservazione di qualcuno che vorrebbe i sardi uomini pigri e poco dediti al lavoro per cui, quando le torri saranno costruite, essi non compiranno più di quanto non facciano ora. Pillosu così traduce dallo spagnolo la risposta del Camos: “… il sardo è per natura più lento sì della gente di altre nazioni, ma, così come l’onore si addice all’animo nobile e fa sì che intraprenda grandi fatiche considerandole lievi, alla stessa stregua l’interesse costituisce un potente incentivo e la gente plebea dell’isola si entusiasmerà e volentieri affronterà il lavoro dei campi in ragione dell’utile e del beneficio che la terra presenterà ed offrirà”.

A conforto di tutto ciò Camos riporta i dati statistici degli animali esistenti nell’isola nel 1571 e delle semine effettuate nello stesso anno. Così scriveva: “Consistenza del patrimonio zootecnico sardo nel 1571: a) vacche in riva al mare 46.164 – vacche nel retroterra 79.819 – buoi rudi in riva al mare 3.099 – buoi rudi nel retroterra 5.704 – buoi domati in riva al mare 15.007 – Totale bovini 148.793; b) pecore in riva al mare 121.000 – pecore nel retroterra 436.282 – agnelli in riva al mare 8.858 – agnelli nel retroterra 27.533 – Totale ovini 593.673”. L’elencazione prosegue con lo stesso tenore con il computo di caproni, porci, cavalli, cavalle e puledri. Passa poi alle quantità “dei grani” e “delle biade” seminate in un anno in tutto il Regno.

La seconda parte del documento, come già detto posteriore al 1574, mette in evidenza come la Sardegna si trovi proprio di fronte al temuto nemico (le nazioni nordafricane) e che è situata in centralissima posizione strategica rispetto al territorio sia berbero che turco, sia francese che italiano; inizia proprio con “Callar ciutad castillo fuerte y cabeca deste Reyno…”. Questa fortezza, egli puntualizza, potrebbe essere per la sua posizione ben più valida se si costruisse un munito forte dalla parte di San Pancrazio e un orecchione di fronte alla fossa di San Guglielmo e se si completassero le opere della Marina (già a buon punto), in diretto rapporto alla considerazione che, se dovesse essere espugnato il Castello, crollerebbe anche la Marina. Il Camos inoltre considera negativamente la demolizione dei due monasteri di San Francesco e di Gesù. Le sue attente valutazioni proseguono con Alghero, Castello Aragonese (Castelsardo), Oristano, Iglesias e Bosa.
Il frutto del rapporto di don Marco Antonio Camos è ancora presente per noi sardi del terzo millennio e lo possiamo vedere ogni volta che volgiamo lo sguardo nei nostri promontori e capi sul mare; molte delle torri da lui progettate costituiscono un patrimonio culturale da salvaguardare; esse hanno protetto i nostri avi pescatori di mare e di stagno, corallari e tonnaroti, agricoltori e allevatori dal pericolo di turcus e morus sempre pronti all’incursione e alla razzia.
Purtroppo in questi ultimi anni molte delle torri ancora presenti hanno e stanno soffrendo i danni del degrado, malgrado molti interventi spesso non abbiano dato i risultati sperati, come la torre costiera di Scab’e Sai nella marina di San Vero Milis che, subito dopo un consolidamento è parzialmente collassata anche a causa dell’erosione alla base della alta e friabile scogliera calcarenitica oltre la secolare esposizione alle intemperie e all’azione demolitrice del forte vento di maestrale che batte inclemente soprattutto la nostra costa occidentale.
In fondo non sarebbe male dedicare un viale a don Marco Antonio Camos in uno dei tanti centri costieri che, insieme al nostro meraviglioso mare, registrano la presenza di una possente torre spagnola.

Tutte le foto presenti fanno parte dell’archivio di Lucio Deriu.



[1] Lo stesso Fara che attraverso un documento, ora andato smarrito, ci fa sapere dell’abbandono della città di Tharros da parte dei suoi abitanti, avvenuto nel 1070.