Su Brugu de is Crongioagius e le fonti ottocentesche

Su Brugu de is Crongioagius e le fonti ottocentesche

Questo mese pubblichiamo un intervento del curatore di Museo Oristano relativo alle fonti ottocentesche dei figoli e al borgo che da essi prende il nome. In particolare si prendono in esame le notizie e le informazioni tratte dalla voce “Oristano” curata da Vittorio Angius per l’edizione dell’opera Dizionario geografico-storico-stastistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, G. Maspero e G. Marzorati, 1833-56.

 

Vittorio Angius, che nacque a Cagliari nel 1797, già dall’età di quindici anni vestì l'abito degli scolopi. Nel corso della sua lunga carriera di uomo di cultura si interessò di storia, di epigrafia e di numismatica. Nel 1829 fu nominato prefetto delle Scuole pie e professore di retorica all'università di Sassari. Nel 1832 ricevete dall'abate Goffredo Casalis l’incarico di compilare la parte dedicata alla Sardegna del grande Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, compito che l’Angius assolse con grande impegno, visitando in lungo e in largo per nove anni tutta l'isola per compiere le sue ricerche, ed impiegandone poi circa sette per la stesura dei testi. Le descrizioni dei paesi e delle città della Sardegna di Vittorio Angius, per la ricchezza delle informazioni offerte, costituiscono una delle principali fonti di informazione della Sardegna del tempo, preziose descrizioni che si riferiscono alla geografia, all’economia ma anche alla lingua, alla storia, agli usi e ai costumi delle comunità dell’Isola.

La voce “Oristano”, ampiamente trattata, rappresenta uno straordinario spaccato di vita e di cultura cittadina di metà Ottocento. Dopo la presentazione e la collocazione geografica della città, il suo territorio, le periferie, le campagne, gli acquitrini, la popolazione, citandone addirittura le “superstizioni” e le malattie più comuni, non dimenticando certo di descrivere il carnevale legato a “Sa saltilla o giostra”, illustra come si presentano in città “Arti e mestieri”, registrando la presenza delle “associazioni de’ contadini, sartori, falegnami, carreggiatori, scarpari, sellari, muratori, ferrari, vasai, bottai, fabbri di carri e armaruoli”. In particolare l’autore segnala che:

I vasai (congiolarjos) d’Oristano in paragone degli altri della stessa arte in Sardegna sono di molto superiori e, fanno talvolta per dimostrazione di loro perizia tali opere, che attraggono l’attenzione; non pertanto non si può dire che essi sappiano preparar bene la materia, e la sappiano ben maneggiare per farne quello che loro si domandi. Vedasi quanti articoli di quest’arte (e qui non riguardo solo i lavori fini), si domandino dall’estero, e quanto debbano spendere non solo le persone di prima classe, ma quelle ancora della media, più prossima all’infima.

Sono ancora in vigore presso questi artigiani i loro antichi statuti organici, per cui non possono fabbricare, che brocche grandi e piccole, scodelle, bacini e nient’altro. La fabbricazione delle quadrelle verniciate è privilegio di uno solo ed è riservata ad un altro quella dei tubi. Quindi il monopolio e il nessun miglioramento dell’arte.

Il numero de’ vasai è di circa 30, le officine rispettive sono tutte in fila rimpetto alla chiesa di s. Sebastiano, le fornaci a pochi passi con grave incomodo del pubblico per il fumo, e nell’estate per l’aumento del calore”.

La pur breve descrizione dell’antica arte e perizia dei fabbricanti oristanesi di stoviglie ci immerge nei fumi dei forni dei figoli, allineati nell’omonima via. L’Angius registra anche le criticità legate al “monopolio” di una corporazione legata ancora ai capitoli di statuti antichissimi, situazione che di li a poco sarebbe cambiata per sempre con la soppressione, nel 1864, di tutti i gremi, le confraternite di mestiere.