La dea Ashtart

La Dea Ashtart

Ashtart è la divinità femminile più diffusa nell’Oriente fenicio ma è largamente attestata anche nel mondo fenicio – punico d’Occidente. Rappresentata come l’erede della grande dea, vergine e madre della religiosità mediterranea, Astarte è simultaneamente divinità legata alla fecondità ma anche all’amore passionale.

 

I santuari emporici e il culto della dea Ashtart in Sardegna

La fenicia Astarte si identifica in periodo ellenistico e romano talora con Afrodite/Venere, talora con Era/Giunone; questa diversità mostra le sfaccettature della personalità della dea e dipende anche dal culto locale al quale si sovrappone quello fenicio. Nella costa laziale a Pyrgi, viene equiparata all’etrusca Uni, che corrisponde a Giunone e ancora all’Afrodite di Pafo a Cipro. In Sicilia occidentale, nel tempio di Erice, la dea locale è Venere per i Romani, Ashtart per i Fenici.
Anche le coste della Sardegna ospitarono templi dedicati alla dea Astarte, non è semplice l’identificazione dell’architettura templare della Sardegna fenicia e punica, presenta delle problematiche che non permettono di scindere l’elemento fenicio da quello punico, dovute anche all’ambito funzionale a cui si riferiscono i templi sardi, differenziazioni legate alla natura urbana, extraurbana, privata, che hanno contribuito ad una loro caratterizzazione sul piano formale.
Tra le testimonianze archeologiche del mondo fenicio, forse mutuate dall’ambiente indigeno, fa parte anche la tipologia templare dei santuari in grotta.

Una pratica molto frequente nell’antichità offerta dai santuari, era quella di tipo oracolare, tramite la quale i fedeli potevano affidarsi al parere della divinità anche in merito alle loro imprese per mare. I servizi oracolari non dovevano necessariamente far riferimento ad infrastrutture architettoniche ma, anche se la loro individuazione risulta difficoltosa archeologicamente, abbiamo testimonianze di grotte santuario con offerte votive o graffiti sulla roccia che ne chiariscono il culto perpetrato.
Tra i santuari fenicio – punici, infatti, quelli emporici costituirono un luogo di incontro privilegiato per gli equipaggi delle navi composti da genti di diversa etnia ed appartenenti ad un diverso credo che in antichità solcavano i mari.
Esistono testimonianze relative alla partecipazione attiva del santuario emporico in determinate imprese commerciali, dalle quali avrebbe ottenuto un reddito percentuale sul guadagno. Tra queste attività “finanziarie” è ampiamente documentato il pagamento della decima, non esclusivamente nei santuari fenici ma praticato anche in ambito latino ed ellenistico. La ricchezza dei templi derivata dalla tesaurizzazione di oggetti è attestata dagli scavi archeologici e più volte testimoniata anche dai racconti biblici e mitici.
Un altro “servizio” probabilmente prestato nel santuario fenicio – punico, il quale si può supporre fosse anche fonte di reddito specialmente nei porti e luoghi più frequentati, era la prostituzione sacra, alla quale veniva frequentemente associata la figura di Astarte.

Un importante indizio del personale impiegato presso i santuari proviene da Kitera; si tratta di un iscrizione fenicia datata circa al IV sec. a.C. dipinta su una tavoletta di alabastro con l’elenco delle spese sostenute dall’amministrazione del santuario. Vi sono registrati i salari rivolti a varie categorie di personale: i costruttori che hanno edificato il tempio di Astarte, uomini di guardia, cantori, servi, sacrificatori, fornai, barbieri, artigiani, il capo degli scribi, un responsabile dell'acqua, pastori ed altri. Vengono altresì menzionate 22 prostitute sacre associate ad un sacrificio. Sulla base della documentazione esistente l'espressione "prostituzione sacra" può essere classificata su due livelli: la prostituzione connessa al culto, praticata regolarmente da donne consacrate, che vivevano ed esercitavano di continuo all’interno di un santuario con fonte di profitto per le casse dei templi, e quella subita o accettata da donne libere, fanciulle o no, che vi si sottoponevano in periodi particolari della loro vita o in determinate festività religiose. Si riconosce in quest’ultimo caso, un tipo di prostituzione dotale o prenuziale, che rientra nella sfera sacrale solo per il richiamo al nome e al culto della dea che presiede all'amore.
Anche le coste della Sardegna ospitarono templi dedicati alla dea Astarte, in particolar modo si può ammettere una derivazione siciliana mediata dai punici del culto dell’ Erycina, documentata da un’iscrizione punica rinvenuta a Cagliari. sulla sommità del promontorio di S. Elia.

L'epigrafe datata al III secolo a. C. in base ai dati paleografici, potrebbe essere pertinente sia al periodo punico ma anche all’ambito romano se successiva al 238/37 a. C.

A prescindere dai problemi di carattere cronologico legati alla fondazione del tempio, risulta estremamente probabile la prosecuzione del culto ad Astarte ericina in età romana.

Si tratta della dedica di un altare alla dea; le dimensioni ridotte dell’iscrizione sembra rimandino al carattere privato del voto. Di un altro interessante reperto si conosce solo un’immagine; si tratta del frammento di una decorazione architettonica nel quale secondo gli autori vi sarebbero rappresentate due colombe stilizzate, legate alla simbologia di Astarte. Tuttavia il frammento è andato perduto e dall’immagine si può intuire soltanto una decorazione fitomorfa.
Sia a Erice che a Cagliari il tempio è a strapiombo sul mare, aspetto questo che, insieme al carattere 'marino' di Astarte, come di Afrodite di Venere, non può non far riflettere sulla funzione e sul significato di questo culto. La possibile pratica della ierodulia alla luce degli studi può solo essere postulata in base alla suggestione che nasce dai parallelismi con altre situazioni studiate, ed è ugualmente incerto se il percorso seguito dal culto ericino per giungere a Cagliari derivasse direttamente dalla Sicilia o attraverso Cartagine.

A tali luoghi di culto si può accostare anche quello dell’insediamento di Cuccureddus a Villasimius, quantunque per ora la divinità femminile a cui era dedicato il tempio sia anonima.

L’area di Cuccureddus si dispone sulle tre colline affacciate sul mare lungo la parte orientale della costa nell’ampio Golfo di Carbonara, verso nord queste tre alture costituiscono il limite nord della piana di Santa Maria attraversata da un corso d’acqua, il Riu Foxi.

Fin dalla metà VII secolo a.C. i Fenici si stabilirono nella più bassa delle colline e vi costruirono un fondaco commerciale e un luogo sacro. Nel 540 a. C. il sito fu interessato dall’azione espansionistica di Cartagine e venne assalito e distrutto; l’intervento militare e le tracce dell’assalto sono evidenziate archeologicamente dai resti di un incendio, dal rinvenimento di armi e da punte di freccia ancora infisse nei pavimenti. Il sito fenicio dopo la distruzione avvenuta ad opera dei Cartaginesi, cadde in totale abbandono per almeno trecento anni e risorse con la conquista romana della Sardegna nel 238 a. C. e con la riappropriazione del territorio da parte degli abitanti autoctoni. La valle di Santa Maria nella quale sorgeva, venne rifrequentata da nuclei di agricoltori, i quali con tutta probabilità perpetuarono il culto dedicato alla dea fenicia venerando una divinità omonima, forse la dea Hera / Giunone. Durante il periodo romano di età repubblicana non abbiamo testimonianze di insediamenti civili, quindi il santuario dovette ricoprire un ruolo extraurbano; con l’età imperiale e l’interesse per le risorse agricole dell’isola, l’area venne coltivata in modo intensivo e venne impiantata una grande villa rustica occupante il settore settentrionale prospicente il mare, probabilmente perché fosse facilitato l’imbarco dei suoi prodotti.

Nel tratto di mare antistante Capo Carbonara il traffico navale è stato sempre molto attivo come  testimoniano i numerosi relitti rinvenuti, inoltre la vocazione marittima dell’area di Cuccureddus e Santa Maria è giustificabile con la precaria viabilità allora esistente.

Sul finire del II secolo d. C. il tempio di Cuccureddus venne restaurato, gli oggetti sacri vennero verosimilmente deposti in appositi bothroi; le testimonianze archeologiche hanno indicato una frequentazione del santuario per tutto il IV secolo d.C.

Le anguste stanzette affiancate entro il corpo del santuario e gli abbondanti unguentari di fabbrica fenicia, greca ed etrusca rivelano la presenza del tempio dedicato ad Astarte ospitante le prostitute sacre. Il reperto di maggior rilievo relativo è un doccione configurato in forma di fallo che doveva essere collocato probabilmente sullo scarico del tetto della struttura.

Infine, che il santuario fosse dedicato ad una divinità femminile e che fosse impiegato per delle transazioni commerciali e alla conservazione dei conseguenti contratti è dimostrato invece dal rinvenimento di numerose bullae in terracotta, utilizzate dai contraenti per le attività commerciali. Tra le aree sacre dedicate alla dea, possiamo citare anche un piccolo santuario extraurbano situato nel promontorio di Capo San Marco presso San Giovanni di Sinis. Si tratta di un edificio a sviluppo longitudinale di pianta rettangolare, con due ambienti contigui e comunicanti il più ampio dei quali, quello sud – orientale, è suddiviso da quattro colonne e due pilastri angolari conservati solo nel piano di posa.  Un ulteriore santuario, forse risalente ad età precoloniale, era quello che esisteva alla base dell’attuale torre di San Giovanni di Sinis dall’area infatti provengono una serie di ex voto i quali possono far ipotizzare che si trattasse di un luogo di culto dedicato ad Astarte.

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