La Sartiglia di Natale di Marco Schintu

La Sartiglia di Natale

La Sartiglia di Natale è un racconto di Marco Schintu pubblicato nel Periodico oristanese Eleonora nel 1999. In questo numero monografico sulla sacralità del Componidori, denominato Il Cavaliere Infinito, Marco Schintu racconta la Sartiglia di domani. Non si tratta solo di un gioco paradossale e fantastico ma della proiezione estrema di vizi e tendenze di oggi.

 

La Sartiglia di Natale

di Marco Schintu

Si discusse a lungo, nella riunione del Gremio dei Contadini, sulla proposta di nominare il non più giovane Mohamed Ibrahim El Ourch Componidori dell’imminente Sartiglia di Natale. Le perplessità non derivavano tanto dall’età o dal colore scuro della sua pelle, ché in città ogni pregiudizio razziale era stato superato da tempo, quanto dal fatto che egli era nato nel vicino paese di Cabras dove, conosciuto come Giannigheddu, vendeva porte e finestre in alluminio. Le ferree regole del torneo imponevano invece che il Componidori fosse nato a Oristano, sede storica della manifestazione.

Il responsabile del Gremio, Ambrogio Carnaroli, aggiunse che Mohamed non era cristiano, ma musulmano. E tale circostanza avrebbe creato non poco imbarazzo al termine del Torneo, quando l’infedele avrebbe dovuto benedire la folla stipata nel Sartigliodromo disegnando ampi segni di croce davanti all’arcivescovo di Oristano.

L’intervento di uno dei soci più ascoltati, Pino Scaccia, pose però fine ai dubbi. L’ufficio anagrafe del Comune, su sua richiesta, era già risalito ad almeno due antenati oristanesi di Mohamed. Per il resto, Scaccia fece notare che erano stati proprio i cavalieri di Oristano a esportare la Sartiglia nell’Islam, esibendosi sugli struzzi in Arabia Saudita. Inoltre la scelta di Mohamed avrebbe allentato le pressioni dei concittadini musulmani, molto numerosi, che chiedevano con insistenza la costruzione di un secondo minareto a Nuraxinieddu.

Il primo atto del nuovo Componidori fu quello di scegliere i cavalieri che avrebbero partecipato al Torneo. Per questo non era fondamentale saper andare a cavallo, ma bastava possederne uno. Si presentarono in duecentonovantanove, uno più arrogante dell’altro, e furono tutti scelti da Mohamed.

Da molti anni la Sartiglia non si correva più nello scomodo e tortuoso percorso cittadino che per tanti secoli aveva ospitato indegnamente la Giostra. Era stato infatti costruito a Torregrande, sul mare, il Sartigliodromo, una gigantesca struttura in vetro e cemento che racchiudeva una strada asfaltata lunga cinquecento metri, ricoperta con la sabbia della vicina spiaggia e fiancheggiata da imponenti tribune.

Il Sartigliodromo, che poteva anche essere coperto e riscaldato in caso di maltempo, solo recentemente era stato intitolato a Erminio Pilloni, storico presidente della Pro Loco morto in un incidente domestico, che in vita sua aveva corso cinquecentoventitré Sartiglie, includendo le Sartigliedde, le Sartiglie del Lunedì dell’Angelo, quelle Estive, di Sant’Archelao, di Tutti i Santi e di Natale.

In mutande al centro del palco, in un tripudio di spighe di grano, l’anziano Mohamed si augurava che le esperte donne della cooperativa “Vergini alla Sartiglia” gli adattassero rapidamente l’antico costume da Componidori, sottraendo il suo corpo sfiorito alla curiosità della folla e a un sicuro malanno. La Vestizione fu invece molto lenta, per permettere a un eminente studioso locale, il conte Porceddu, di descriverne per la televisione i più minuti dettagli, sottolineati da rulli di tamburo e squilli di tromba. Ma quando le Vergini della cooperativa, al culmine della cerimonia, gli calzarono sul volto il cilindro nero e la misteriosa maschera di cera, lo videro piangere di gioia. E sulla grande piazza del Sartigliodromo, in onore di Mohamed, primo Componidori astemio, scorse a fiumi la gazosa.

Mohamed aveva ora perso la sua natura umana, come faceva notare il Porceddu, ed acquistato quella divina. Ciononostante egli provava un certo fastidio che gli derivava dai pantaloni troppo stretti. Fu posto in sella, tra squilli di tromba e rullar di tamburi, da quattro contadini e raggiunse gli altri duecentonovantanove cavalieri, che su altrettanti splendidi cavalli, bardati come la tradizione comandava, lo attendevano nel Sartigliodromo.

Le tribune del Sartigliodromo erano rigorosamente riservate ai turisti, all’Arcivescovado e ai trecento consiglieri comunali con le loro famiglie. Ogni consigliere aveva il compito di premiare un cavaliere. Il conte Porceddu ipotizzò che il Consiglio Comunale, molto tempo addietro, fosse stato allargato da venti a trecento consiglieri proprio per questo scopo. I turisti erano amici o parenti dei consiglieri e delle loro mogli.

I cittadini oristanesi seguivano invece la manifestazione alla televisione oppure partecipavano alla grandiosa Sfilata che precedeva il Torneo e durava sino a notte alta.

Almeno cinquemila persone prendevano parte all’imponente processione, e sfilavano serissime sfoggiando o un costume sardo o un costume di foggia rinascimentale. La messa a punto dei costumi impegnava severamente i cittadini per tutto l’anno. Alcuni giorni prima della Sartiglia, una speciale commissione di veterinari, giornalisti sportivi e archeologi e presieduta da Porceddu valutava l’idoneità di ogni costume e dava il benestare alla Sfilata. Il controllo era molto rigido. Anni prima in una Sartiglia di Carnevale, Tano Putzu, che aveva osato sfilare in un costume da farfalla, fu allontanato con discrezione dal Sartigliodromo e bastonato a morte sulla vicina spiaggia da dieci trombettieri.

I trombettieri e i tamburini erano mille. Indossavano il costume di foggia rinascimentale, ma in una versione più sportiva, e circolavano col viso mascherato. Essi avevano in diritto (che si poteva ereditare) di suonare il tamburo o la tromba, non importa quale motivo, sia durante la Sartiglia che nella vita di tutti i giorni. Col tempo tamburini e trombettieri avevano acquisito un forte potere in città, e non a caso molti di loro venivano arruolati tra le forze dell’ordine. Non c’era battesimo, matrimonio, funerale, brindisi, incontro o qualsivoglia manifestazione pubblica o privata che non comportasse la presenza di almeno dieci di essi. La loro sede principale era la Stazione Ferroviaria, dove davano il benvenuto o l’addio ai passeggeri di qualsiasi treno.

L’imponente processione veniva chiusa dal corteo dei trecento cavalieri, con alla testa il Componidori. Solo quest’ultimo portava la maschera. Ciò si doveva al fatto che un tempo gli speakers nel Sartigliodromo si divertivano a rivelare alla folla e alle televisioni difetti fisici e morali dei cavalieri e dei loro parenti per agevolare l’identificazione. Da quando Baldo Trudu ne aveva ucciso uno con lo stocco (grossa asta lignea con cui un tempo si cercava di centrare la stella), l’uso della maschera era stato proibito e tutti i cavalieri obbligati a gareggiare a viso scoperto e col proprio nome e cognome scritto in maniera ben evidente sulla schiena.

Altri ottocentocinquanta oristanesi, ma questa volta ad esaurimento (e moltissimi erano già morti) acquisivano ogni cinquanta anni il diritto di scattare a vita fotografie della Sartiglia in punti ben precisi del Sartigliodromo. Ormai erano ridotti a ventitré, tutti decrepiti, ma mancavano solo tre anni al rinnovo delle licenze.

Era giunto il momento del Torneo. Per vincere non si doveva più infilzare la Stella con la spada, cosa divenuta estremamente facile, sia per l’eccessivo diametro del suo foro che per la vergognosa lentezza del galoppo di alcuni cavalli. La Stella (nella Sartiglia di Natale sostituita dalla Cometa) stava invece sospesa sul traguardo, e vinceva la Giostra chi la raggiungeva per prima.

Ad un preciso segnale dei mille tamburini e trombettieri tutti e trecento cavalieri si lanciarono al galoppo. Al traguardo, sotto la Cometa, arrivarono contemporaneamente in cinquantuno.

Fu solo dopo una lunga e spaventosa rissa, nella quale dopo tanti anni ricomparvero sul Sartigliodromo le spade e lo stocco, e che nessuno si sognò di sedare, che una speciale commissione composta da archeologi, veterinari e giornalisti sportivi e presieduta da Porceddu decretò la vittoria del più arrogante dei cavalieri, Rocco Capellino.

Il Componidori Mohamed Ibrahim El Ourch non arrivò tra i primi, ma era Natale e fu abbracciato dall’Arcivescovo e premiato dal Sindaco per l’originalità dimostrata nell’impartire la benedizione alla folla, che diede alla fine del Torneo inchinandosi più volte sul cavallo in direzione della Mecca.