Scheda: Evento - Tipo: Culturale

Carlo Contini - L'origine è la meta

Carlo Contini - L'origine è la meta_locandina verticale

Sabato 17 luglio alle ore 19 inaugura la mostra restrospettiva sull'artista oristanese Carlo Contini dal titolo "Carlo Contini. L'origine è la meta" a cura di Giuliano Serafini, organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comue di Oristano e dalla Fondazione Oristano, presso la Pinacoteca Comunale allo stesso intitolata.
La mostra in continuità con le precedenti esposizioni “Carlo Contini. Rosso d’Arborea”, svoltasi a Oristano nel 1998, e “Carlo Contini. L’isola e il mondo” svoltasi a Pistoia nel 2002, vuole celebrare l’importante artista con l’esposizione delle opere più importanti, vive testimoni della sua produzione e della sua evoluzione artistica.

La mostra sarà visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20

L'origine è la meta

“L’origine è la meta” è il titolo della mostra che sarà inaugurata sabato 17 luglio, alle 19, nella Pinacoteca comunale intitolata proprio a Contini. Fino al 9 gennaio 2022 (tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20) saranno una novantina le opere in esposizione che raccontano un percorso artistico straordinario, che ha fatto di Carlo Contini una delle figure più complesse e significative della pittura sarda e nazionale del XX secolo.

“È un grande evento per la città che rende omaggio a uno dei suoi figli più illustri – ha detto il Sindaco Andrea Lutzu nella conferenza stampa di presentazione -. Carlo Contini, con la sua arte, ha dato tanto a Oristano. Ci ha lasciato in eredità un immenso patrimonio culturale che la città e l’istituzione comunale custodiscono con cura e con passione vogliono promuovere”.

“Il Comune di Oristano, supportato operativamente dalla Fondazione Oristano, organizza questa grande retrospettiva commemorativa del pittore Carlo Contini nell’occasione del cinquantenario dalla morte del nostro illustre concittadino a cui è intitolata la Pinacoteca Comunale – aggiunge l’Assessore alla Cultura Massimiliano Sanna -. La data dell’evento, in un primo tempo prevista per giugno 2020, è stata rimandata a causa della complessa situazione sanitaria che sta attraversando il nostro paese. Oggi, possiamo onorare un impegno morale verso questo grande artista e mostrare alla città una ricca collezione di opere che testimonia la grandezza di Contini. Gli enti promotori e il curatore Giuliano Serafini stanno lavorando, anche grazie alla collaborazione degli eredi Carla e Valerio Contini, perché questo importante appuntamento con l’arte possa trovare il riscontro che merita”.

Le opere in mostra, provenienti da collazioni pubbliche e private, documentano i vari e spesso imprevedibili momenti del talento pittorico di Contini, un artista che come già si intuisce dal titolo della mostra - L’origine è la meta - ha sempre attinto alle proprie origini culturali e al folklore per procedere verso espressioni tra le più avanzate dell’arte contemporanea. Ed è appunto questa concomitanza di tradizione e attualità, dove le suggestioni etniche e le radici contengono come in un seme forme più vicine al sentire estetico del nostro tempo, che ha permesso al curatore di occuparsi per la terza volta dell’opera di Contini. Le altre sono state in mostre a Oristano (1998) e a Pistoia (2002).

Attraverso un ricco repertorio pittorico che dal figurativo si orienta gradualmente verso l’informale, la mostra intende evidenziare come in arte le categorie e le formule siano spesso pure convenzioni ideologiche.

“L’artista, come scrive nel cospicuo catalogo Giuliano Serafini - esperto tra l’altro di Burri, Pistoletto e Kiefer - agisce secondo una temporalità che è storica e insieme diacronica. Come dire che sta a lui “inventare” il suo proprio tempo. In tal senso l’opera di Contini, dagli intensi ritratti giovanili alle composizioni geometrizzanti della maturità, si fa paradigma di questa affascinante, fondamentale contraddizione”.

“Siamo veramente contenti e commossi che sia riusciti a organizzare questa mostra – ha detto Carla Contini concludendo la conferenza stampa -. Uno degli obiettivi che con mio fratello Valerio ci siamo posti era quello di riportare babbo a casa, perché nonostante abbia girato il mondo questa era la sua casa e questa mostra in qualche modo ci aiuta nel nostro intento”.

Nel titolo della mostra “L’origine è la meta” il curatore sottolinea in modo icastico quale sia il senso vero dell’opera di Carlo Contini, artista che, a distanza di cinque decenni dalla scomparsa, si conferma come una delle presenze più complesse e significative della pittura sarda e nazionale del XX secolo.

Quel paradosso ci dice che il pittore di Oristano ha saputo evolvere a livello creativo senza perdere mai di vista le proprie radici, il proprio atavismo, la propria identità morale e culturale di nativo del glorioso Giudicato di Eleonora d’Arborea. Come dire che Contini è artista che “avanza” nel passato e conquista la propria modernità servendosi appunto delle forme, dei colori, della luce, ma anche delle passioni e degli umori ereditati dal secolare patrimonio folklorico della sua terra. Se dunque l’obiettivo, la meta, è quanto ha alle sue spalle, Contini sa di poter contare su una guida sicura, su una lezione genetica che, tra gli anni ’20 e ’30, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma e un lungo soggiorno a Venezia, lo porta ad affrontare tematiche diverse. Ci sono in primis le processioni religiose e i riti ancestrali dove l’artista anticipa una sensibilità espressionistica e populistica che rinnova lo stereotipo vernacolare di cui gli ottimi Biasi e Figari si erano fatti lodati interpreti. In Contini, complice l’ammirazione per Rouault, il sentimento del sacro e del profano si fanno piuttosto valori equivalenti, imponendosi sia per poetica che per vigore espressivo; come nello spettacolare Processione de Su Jesus o Confratelli rossi (1927) o in Allegoria Arborense (1933-37) della chiesa della Madonna della Grazie di Solarussa, forse il più notevole esempio di pittura religiosa italiana del XX secolo. Introspezione psicologica e realismo spinto fino alla brutalità, sono le note ricorrenti della produzione ritrattistica (L’ubriacone, 1930, Titino Sanna, 1945, Confratello verde, 1948), genere assai frequentato da Contini fin dagli esordi: si ricordano i due magnifici autoritratti del 1922 e 1925 e più tardi, quelli da maturo del 1935.

Gli eterni ritorni dell’artista ad Oristano dicono di una vicenda creativa che - ormai aperta a influenze europee quali quelle di Ensor, Kokoschka fino, più tardi, a Delaunay – non saprà mai rinunciare al rassicurante recinto degli affetti. Negli anni ‘30 Contini insegna alla Scuola di Arti Applicate Francesco Ciusa e nei ’50 alla Scuola di Avviamento Professionale della sua città. Nel 1949 sposa la pistoiese Dorotea Guarducci, da cui ha due figli, Valerio e Carla. Nel 1956 è incaricato di eseguire una serie di grandi dipinti d’ispirazione storica e rurale per la Cantina della Vernaccia al Rimedio. Agli inizi degli anni ’50, la svolta verso il superamento della figurazione si avverte in opere quali Ballo tondo (1950), Sa Sartiglia (1952) e Pariglia (1955). Ma sarà solo con Ritmi di giostra (1959), dipinto che richiama modalità stilistiche del cubismo orfico, che Contini tenta e risolve con estrema naturalezza il linguaggio aniconico, anche se fino all’ultimo non abbandonerà del tutto il genere figurativo (Pietà, 1963, Vestizione de Su Componidori, 1965). Tra le prove più sentite di quest’ “altro” Contini - che in realtà resta l’erede legittimo del primo, dell’unico “Lelletto”, come veniva affettuosamente chiamato nel giro dei familiari e amici - si ricordano Pietà (1959), Processione de Su Jesus (1960), Santulussurgiu (1962), Luci e ombre del Supramonte (1961), Santulussurgiu vicolo nord (1966), fino all’enigmatico La macchia (1963), onirico rigurgito di una memoria privata e collettiva mai perdute. Chiudono la mostra e il catalogo, due grandi opere di uguale formato, eseguite a distanza di dieci anni (1958-68), che il curatore ha voluto affiancare in un virtuale dittico, là dove l’illuminata ambiguità del sacro che fa da filo conduttore all’intera opera del pittore di Oristano, tocca la sua più alta resa emblematica.

 

Giuliano Serafini

Giuliano Serafini vive e opera a Firenze. È uno dei più noti studiosi di Alberto Burri. Oltre a numerose pubblicazioni e conferenze, ha curato su di lui mostre pubbliche ad Atene, Madrid, Lubiana e Firenze. Tra le altre, ha curato e presentato, in Italia e all’estero, mostre di Pistoletto, Kiefer, Marino Marini, Karavan, Carrà, Bagnoli, Klasen, Umberto Mariani, Elisabeth Chaplin.  Specialista di arte greca moderna e contemporanea, ha curato in Italia e in Grecia, mostre dei maggiori artisti ellenici di oggi: Halepàs, Tsoclis, Tetsis, Sorogas, Gaitis, Simossi, Karàs.

Per Giunti Editore ha scritto monografie su Burri, Lichtenstein, Rauschenberg, Matisse, Goya, Constable, Cézanne, Surrealismo, Art Nouveau.

 

Note biografiche su Carlo Contini

Carlo Contini nasce a Oristano il 13 novembre del 1903.

Figlio di Giuseppe Contini e Maddalena Pisanu, Carlo sogna, sin da bambino, di fare il pittore.

Studente della Scuola Tecnica Superiore cittadina, nel 1920 ottiene una borsa di studio dal Comune di Oristano, che gli consente di frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Roma, dove l’anno successivo esordisce in pubblico alla Prima Esposizione della Biennale Romana. Nella capitale il giovane oristanese perfeziona la tecnica del disegno, impara quella dell’affresco e studia i grandi maestri della storia dell’arte.

Nel 1925 si trasferisce a Venezia. Pur rientrando di frequente in Sardegna, il suo soggiorno nella città lagunare si protrae per otto anni. Qui può ammirare i capolavori di Tiziano, Tintoretto, Veronese e prendere spunto dai tanti piccoli e grandi artisti vedutisti veneti. Nel 1930 espone a Venezia con una personale. Apprezzato dalla critica veneziana e nazionale, nonostante la distanza geografica dalla sua terra, tanti sono i personaggi e le scene di vita tipiche della sua isola che rappresenta in questi anni.

Nel 1933 rientra a Oristano, insegna in alcuni istituti privati e dipinge in un piccolo laboratorio nel centro storico

cittadino. Gli anni a Roma e Venezia lo hanno messo a contatto con le grandi esperienze dell’arte contemporanea, ma lui liberamente continua a esprimersi approfondendo i temi religiosi e carnevaleschi della sua città. L’artista per tutti, in città, è Lelletto e non si contano in quegli anni le commissioni di ritratti, nature morte e soggetti floreali.

A partire dagli anni Quaranta la sua arte si apre verso scelte stilistiche e formali più originali.

Nel 1945 è presente al grande appuntamento della Prima Libera Esposizione Regionale d’Arte con le opere “Sagra di Cristo”, “Maschere” e “Carnevale a Oristano”. Tante le opere realizzate in questi anni e diverse sono le esposizioni locali e nazionali, mentre continua a dipingere paesaggi, personaggi e scene di vita vissuta, ma che vedono nella rappresentazione del Cristo Crocifisso il tema dominante delle sue opere.

Nel febbraio del 1949 espone quarantaquattro opere a Cagliari nella Galleria Ortu Ravot ed è con questa mostra personale che conquista ampiamente pubblico e critica.

Nel luglio dello stesso anno, sposa Dorotea Guarducci, insegnante elementare di Pistoia, dalla quale ha due figli, Valerio Emilio e Carla Valeria. L’attenzione dell’artista alle sue radici e al mondo del lavoro è sempre viva, ciò non gli impedisce di esprimere particolari e tecniche che sono moderni e si manifestano nelle sue opere con l’utilizzo di altri materiali come elementi cartacei, colle, iuta.

Dal 1950, e fino al termine dell’attività della scuola di avviamento professionale per la ceramica affidata al ceramista abruzzese Vincenzo Urbani, insegna disegno e decorazione e si dedica all’arte della ceramica, realizzando opere con un registro stilistico e figurativo che si avvicina a quello utilizzato per la pittura.

Nel 1960 espone 40 opere a Oristano. Neorealismo e impressionismo si manifestano nelle opere che ancora

hanno come oggetti preferiti i temi della Sartiglia, dell’Ardia, delle processioni e dei paesaggi. Dal novembre del 1961 è docente di disegno dal vero nell’Istituto Statale d’Arte di Oristano. Sono anni in cui insegna, dipinge ma continua a viaggiare per le tante esposizioni in tutta Italia.

Nel periodo 1960-1968 affianca all’attività pittorica, l’arte della ceramica. In questi anni acquista un forno per la produzione di ceramiche, realizza, in tandem con Arrigo Visani, i pannelli ceramici per la scuola elementare di via Bellini e, successivamente, il fregio per la scuola media “Alagon”.

Nel 1969 una grave malattia lo costringe a interrompere l’insegnamento.

Nello stesso anno si trasferisce a Pistoia con la moglie e i figli e qui muore il 25 agosto del 1970, lontano dalla sua Isola e dalla sua Oristano.

 

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