La faretrine nuragiche

Le faretrine nuragiche

Prendendo spunto dal “reperto della settimana” dell’Antiquarium Arborense, parliamo della presenza di artefatti Sardi come le “faretrine”, oltre i confini dell’Isola, specificatamente in Etruria.

 

I Sardi e gli Etruschi

Il rapporto preferenziale tra la Sardegna e l’Etruria è stato illustrato magistralmente da numerosi autori,  studiato è testimoniato dal gran numero di artefatti soprattutto bronzei, prodotti in Sardegna, rinvenuti principalmente tra Vetulonia e Populonia ma anche più a nord come a Pisa e nella più lontana Bologna dove probabilmente sono stati redistribuiti e da un numero seppur più esiguo di materiali etruschi rinvenuti nell’isola, pur essendo ancora nebuloso il modo sulle dinamiche degli scambi e della presenza nei siti costieri dell’Etruria di individui stranieri o provenienti propria dalla Sardegna della prima età del Ferro.

Confrontando le importazioni sarde, quelle orientali diffuse nei centri dell’Etruria e del Latium Vetus, per il periodo che va dalla fine del IX alla fine dell’VIII sec. a.C., appare evidente come la circolazione dei prodotti provenienti da altre aree abbia più difficoltà; i prodotti fenicio – levantini ed euboici hanno meno facilità di penetrazione dove risulta più forte la componente insulare.

Le più antiche e numerose importazioni orientali ricollegabili al commercio fenicio sono verso Tarquinia e nei maggiori centri disposti verso la Valle Tiberina come Veio e Castel di Decima.

Il fatto che in alcune tombe Etrusche si trovino oggetti riferibili a circuiti commerciali diversi, attesta la presenza di famiglie molto potenti, in grado di gestire contemporaneamente relazioni ad alto raggio con entità analoghe di svariate etnie tra cui i Sardi.

 

Scambi matrimoniali?

Per quanto concerne la distribuzione dei prodotti nuragici nella Penisola gli studi svolti negli ultimi anni vedono aumentare il numero delle attestazioni, anche se nuove scoperte potrebbero modificare il quadro complessivo.
Gli studi sui bronzi e le ceramiche sarde presenti in Etruria e sulla loro imitazione locale, pongono innanzi tutto il problema della valenza di tali categorie di oggetti; sicuramente si tratta di oggetti di prestigio che testimoniano il valore degli scambi tra personalità eminenti come la reciprocità dei doni tra capi, personalità d’alto rango di estrazione indigena accolti nella comunità villanoviana.
Si potrebbe inoltre sostenere l’ipotesi degli scambi matrimoniali come strumento privilegiato per l’alleanza tra comunità e famiglie aristocratiche, oltre che di beni che sanciscono il contratto tra due gruppi.

Le alleanze fra comunità differenti si risolvono con lo scambio di prodotti di conoscenze e di doni, ma soprattutto con il matrimonio che in questo modo si configura come un vero e proprio scambio di donne: che rappresentano dei "valori di circolazione mobile". In ambito etrusco il ruolo rilevante della figura femminile nei nuclei aristocratici può essere illustrato con il racconto relativo a Demarato, della famiglia corinzia dei Bacchiadi, che sposando una nobile del luogo riesce, con tutta probabilità, a raggiungere una posizione di prestigio nella città di Tarquinia.

Il matrimonio di uno straniero con una donna della terra che lo accoglie è molto frequente; la fanciulla appare di così nobile origine che non può incontrare nella sua terra un pretendente alla sua altezza.
Sposare uno sconosciuto è anche una maniera per non allontanarsi dalla propria casa; l'esule non potrà che integrarsi nel gruppo familiare della moglie e i figli della nuova coppia perpetueranno la nobilissima famiglia materna.
L'importanza data in Etruria anche alla famiglia della donna è indicata dalla presenza a partire dal VII secolo a.C. del matronimico nell'onomastica.

Il caso più noto che ci riguarda, anche se controverso, è quello della Tomba vulcente di Cavalupo, identificata da Mario Torelli come una principessa sarda andata in sposa ad una personalità dell’élite indigena, in cui la defunta ha come corredo di accompagnamento tre bronzetti di provenienza sarda, rispettivamente un sonaglio, una cesta miniaturistica e una figurina maschile variamente interpretata come sacerdote o pugilatore. Recentemente, contrapponendosi all’obiezione che considerava incongruente con questa ipotesi il rituale di deposizione marcatamente etrusco con incinerazione in biconico e ciotola con coperchio, Anna Maria Moretti Sgubini, Letizia Arancio e Enrico Pellegrini hanno proposto un’origine campana e più precisamente picentina della donna, proprio in base a considerazioni legate al vaso biconico e alle fibule.

Le fonti archeologiche e letterarie testimoniano (si veda il caso sopracitato di Demarato) come in assenza di referenti omologhi all’interno della comunità, pur di non rinunciare al valore di promozione sociale del matrimonio, si preferisse un consorte straniero per la propria figlia, accogliendo presso di sé il nuovo nucleo familiare anche ipotizzando alla mancanza di una discendenza maschile diretta. In questo tipo di patto, definito dalla Leduc “del matrimonio da genero” e che in ambiente tirrenico sembrerebbe aver concesso però una totale integrazione solo agli elementi italici, è il marito che viene inglobato tra i consanguinei.

 

I beni dello scambio

La trattazione di questo tema necessita di una specifica premessa.
La cronologia legata sia alla produzione dei bronzetti, sia il rinvenimento di questi nella penisola è ancora argomento di accese discussioni tra chi propende per una datazione rialzista ed una ribassista.
Nell’Isola la quasi totalità dei bronzetti, così come gli altri “beni di pregio”, proviene da spazi santuariali e non da aree funerarie.
In Etruria i materiali di provenienza Sarda e le celebri navicelle bronzee trovano la loro destinazione entro le sepolture, talora prestigiose, dall’Etruria Settentrionale alla Campania e nei grandi santuari emporici (Gravisca, Capo Colonna) in un arco di tempo, come tutti i dati a nostra disposizione confermano, che va dal tardo Geometrico all’Orientalizzante finale.

Il movimento di beni di età villanoviana e orientalizzante dall’ area centro – tirrenica alla Sardegna con le conoscenze attuali vede un rapporto qualitativamente e quantitativamente di squilibrio a tutto vantaggio dei prodotti di fattura sarda trovati nella penisola.
Dato per il quale non sembra azzardato ipotizzare il trasferimento di singoli individui o intere famiglie oltre mare. In Etruria, i materiali che attestano questo rapporto di scambio è rappresentato prevalentemente dagli ornamenti, includendo volutamente in questa categoria i bottoni conici inornati e decorati con appendici semplici o zoomorfe, piccoli pendagli a pendolo o configurati a fiasca e amuleti miniaturistici conformati sotto forma di doppie asce, ciotole – coperchio in bronzo con prese a spirale, faretrine e pugnaletti ad elsa gammata miniaturizzati.

 

Gli spilloni/stiletti

Gli spilloni/stiletti sono rappresentati in rilievo nelle “faretrine” costituiscono una categoria di manufatto estremamente diffuso nella cultura nuragica, spesso in contesti santuariali e appartengono ad una tipologia nota anche in ambito fenicio:  in Sardegna a Tharros, Bitia e Othoca sono noti vari esemplari con capocchia in bronzo e verga rivestita in ferro.
Tali oggetti nel volume miscellaneo Ichnussa vengono descritti dal Fulvia Lo Schiavo, come:
gli spilloni, oggetti al tempo stesso funzionali, probabilmente usati anche come stiletti e come strumenti, e simbolici, come dimostra la loro presenza sulle faretre votive, in mano ai bronzetti, confitti nelle pareti dei pozzi sacri, ecc. non possono certo essere considerati degli ornamenti.

Nel 1993 la studiosa in un altro lavoro dedica un paragrafo relativo ai pochi oggetti di ornamento relativi al vestiario e tra questi:
Gli spilloni a testa globulare e costolata, fissa o mobile, spesso sono così grandi e robusti da essere veri e
propri stiletti: sono raffigurati in mano ai guerrieri con spada e scudo e sulle faretrine votive.

Il confronto con gli spilloni peninsulari vista l’originalità della tradizione locale, consente di attribuire solo generiche analogie morfologiche; un esemplare con gambo a sezione quadrangolare proviene da una sepoltura femminile il cui contesto è datato alla prima metà dell’VIII sec. a. C. da S. Vitale a Bologna.

L’appartenenza ad un individuo di genere femminile costituisce una particolarità visto che in ambito nuragico questo genere di spilloni sono prettamente maschili.

 

 

 

Le faretrine

Le faretrine è il termine con il quale vengono indicati dei pendenti a piastra triangolare dotata di due occhielli, riproducenti in forme miniaturistiche un fodero di pugnale in cuoio, recante su di un lato degli spilloni in numero da uno a quattro e sull’altro lato un pugnale di varia tipologia, tra cui spesso quello più caratteristico dell’armamento nuragico definito ad “elsa gammata” realizzato anche in forma miniaturistica e ricorrente nella bronzistica figurata nuragica come insegna di rango.

Ad oggi nella penisola sono noti tredici faretrine di cui due irreperibili (mentre in ambito sardo ne sono stati trovati più di trenta); solo per una è certo il contesto di rinvenimento, ossia la necropoli di Poggio alla Guardia a Vetulonia, datata agli inizi dell’VIII secolo, per la maggior parte delle altre si riesce a risalire almeno al territorio di provenienza che è quello di Populonia.

Il confronto tecnico stilistico tra le faretrine peninsulari e i modelli originali nuragici di gran lunga più raffinati, potrebbe far pensare non ad una importazione diretta ma ad una rielaborazione locale, ipotesi che potrà essere confermata solo dalle analisi metallurgiche.

Altri pendenti di varia tipologia potevano essere cuciti alle vesti o essere appesi a fibule, come è documentato in un esemplare di fibula a sanguisuga da Tarquinia con due pendenti sardi a maglio e ad ascia.

 

 

Per un approfondimento sulle schede relative alle faretrine nuragiche:
https://www.academia.edu/6795016/LUCIO_DERIU_Le_faretrine_nuragiche_contributo_allo_studio_delle_rotte_fra_Sardegna_e_Etruria

1) Oristano, Antiquarium Arborense; inv. P 882; Collezione E. Pischedda.111
Tharros; necropoli settentrionale di Santu Marcu?
Lungh. cm 7,00; Largh. cm 2,10; Spess. cm 0,28
Piastra bronzea triangolare dotata in origine di due occhielli sporgenti su margine laterale; al momento è residuo il solo occhiello inferiore; dell’altro si riconosce l’originale posizione nell’angolo superiore.
Lato A: Tre stiletti con capocchia emisferica a tre noduli; le lame, di sezione circolare vanno affinandosi alle estremità, convergendo al vertice inferiore entro una piccola guaina. Le lame esterne costituiscono il bordo
stesso dello specchio, che si presenta privo di ulteriori decori.
Lato B: Pugnale a bassissimo rilievo; grossa lama piatta priva di costolatura mediana entro una guaina riconoscibile da una distinta e leggera fascia a rilievo orizzontale ; impugnatura con la testa a grosso pomo, ha margini concavi divisi da un ingrossamento mediano a profilo angolare.

Bibliografia: LILLIU 1966, p. 456, n. 347, fig. 636; ZUCCA 1997, pp. 95 – 97; FALCHI 2008, p. 70, n. 11-

 

 

Oristano; Antiquarium Arborense; inv. P. 833; Collezione E. Pischedda.
Sinis di Cabras
Lungh. cm 9,00; Largh. cm 2,70; Spess. cm 0,35
Piastra bronzea triangolare dotata in origine di due occhielli sporgenti su margine laterale; al momento è residuo il solo occhiello inferiore; dell’altro si riconosce l’originale posizione nell’angolo acuto superiore.

Lato A: Pugnale ad elsa gammata in forte e nitido rilievo; sulla parte superiore dell’impugnatura, orizzontale e cilindrica, è riportato un anello apicale di sospensione come quello che si trova nei modelli a dimensioni reali; All’attaccatura della lama, una verga sottile di sezione circolare, sono riportati in rilievo i tre chiodini di fissaggio; lo specchio figurato è delimitato da una duplice cornice a rilievo con decoro a globetti che si alternano a punti incisi.

Lato B: Sullo sfondo liscio, senza campiture, è riportato un grosso pugnale a lama larga triangolare con forte costolatura mediana, priva di fodero e occupante quasi l’intera larghezza dello specchio; il suo fissaggio è rimarcato da tre chiodini posti ai vertici di un triangolo alla base dell’elsa; questa consta di una impugnatura a robusto collo cilindrico un po’ schiacciato che finisce al margine superiore con una testa a manubrio, curvato verso il basso della stessa larghezza della lama.

Bibliografia: LILLIU 1966, p. 456, n. 347, fig. 636; FALCHI 2008, p. 70, n. 3..

 

 

Oristano, Antiquarium Arborense
Provenienza: Oristanese, forse Sinis ?
Lungh: cm 10.05; Largh: cm 4,03 ; Spess: cm 0,30
Piastra bronzea triangolare dotata di due occhielli sporgenti su margine laterale; globetto terminale di forma sferoidale distinto dalla piastra. L’oggetto si presenta integro con superficie regolare e patina omogenea di
colore verde scuro.

Lato A: Tre stiletti con capocchia emisferica in rilievo a tre noduli di forma cilindrica; un ulteriore nodulo è staccato e si trova qualche millimetro più in basso; lunghe lame di sezione circolare affinandosi alle estremità che terminano entro una piccola guaina decorata da fitto e sottile rilievo orizzontale: lo specchio figurato è inserito entro un doppio rilievo perimetrale, liscio quello più esterno e a cordoncino quello più interno.

Lato B: Pugnale a larga lama a forte spessore inguainato entro un fodero; lama priva di alcuna costolatura mediana; elsa costituita da una impugnatura piatta a margini concavi con ispessimento mediano a profilo esterno angolare; l’impugnatura è terminata superiormente a segmento di cerchio ed inferiormente a manubrio; Il fodero, ricoprente l’intera lama, è decorato a fitto rilievo orizzontale.

Bibliografia: L. DERIU, Le “faretrine” nuragiche. Contributo allo studio delle rotte fra Sardegna ed Etruria, in A.Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca (a cura di), Naves Plenis Euntes, (Tharros Felix 3), Roma 2009.

 

 

Bibiografia

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- DERIU 2009 : L. DERIU, Le “faretrine” nuragiche. Contributo allo studio delle rotte fra Sardegna ed Etruria, in A.Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca, (a cura di), Naves Plenis Euntes, ( Tharros Felix 3 ), Roma 2009, pp. 136 – 177.
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- MILLETTI 2012 : M. MILLETTI, Cimeli di identità, Roma 2012.
- TORELLI 2001 : M. TORELLI, Storia degli Etruschi, Roma 2001.
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- ZUCCA 1997: R. ZUCCA, L’insediamento fenicio di Othoca, in. P. BERNARDINI, R. D’ORIANO, P. G. SPANU, a cura di) Phoinikes b Shrdn. I Fenici in Sardegna. Nuove acquisizioni