Il mare, i Sardi e gli Etruschi

Il mare, i Sardi e gli Etruschi

Il rapporto di scambio tra l’Etruria e  la Sardegna  è rappresentato prevalentemente dagli ornamenti. Tra gli ornamenti enei di provenienza tirrenica rinvenuti in maggior numero nell’Isola, spiccano le fibule.

 

Benché le navicelle bronzee nuragiche siano la prima evidenza che collega la Penisola alla Sardegna, e al  momento attuale siano note ben 13 barchette, una “piccola flottiglia” che va  dall’Etruria settentrionale, alla Calabria fino al  Salento,  il rapporto di scambio tra l’Etruria e  l’Isola è rappresentato prevalentemente dagli ornamenti. Sono inclusi in questa categoria di materiali i bottoni conici inornati e decorati con appendici semplici o zoomorfe, piccoli pendagli a pendolo o configurati a fiasca e amuleti miniaturistici conformati sotto forma di doppie asce, ciotole – coperchio in bronzo con prese a spirale, faretrine e pugnaletti ad elsa gammata miniaturizzati. Mentre la quasi assenza di gioielli sembrerebbe improntata sulla sobrietà dei costumi di vita nuragici. Dall’esame dei dati in nostro possesso, emerge come le importazioni Etrusche in Sardegna escludano alcune categorie di oggetti preziosi come i gioielli, che costituiscono un motivo dominante dell’orientalizzante etrusco, attrezzi ed armi in ferro.
Tra gli ornamenti enei di provenienza tirrenica rinvenuti in maggior numero nell’Isola, spiccano le fibule, la cui presenza appare concentrata nel comparto territoriale settentrionale, ossia quello che nei secoli instaurerà rapporti preferenziali con l’Etruria; i contesti di ritrovamento sono vari, ma l’assenza di questi oggetti nelle sepolture secondo Matteo Milletti conferma l’estraneità di questo oggetto al costume nuragico e l’uso principalmente come elemento decorativo, probabilmente per motivi di ordine pratico, visto i pesanti mantelli in pelle ostentati dalle figurine nella bronzistica. Come osserva Lilliu e come aveva già sostenuto lo Spano riferendosi ad una testimonianza di età augustea fornita da Strabone sia i guerrieri in bronzo che in pietra, sono forniti di una corazza composta verosimilmente di elementi in cuoio peloso (muflone). Fulvia Lo Schiavo interpreta l’uso delle fibule come un fenomeno di “moda” concentrato in un lasso di tempo abbastanza limitato tra la seconda metà avanzata del IX e il primo quarto dell’VIII secolo, con un netto rarefarsi delle attestazioni nel corso del VII secolo a. C.  Un’altra chiave di lettura circa la presenza di questi oggetti potrebbe essere legata allo scambio di beni di cui non conserviamo testimonianze archeologiche come il sale, i prodotti genericamente attinenti alla sfera del biotos e i tessuti. Riguardo a questi ultimi è probabile che dall’Italia continentale insieme con le fibule siano arrivate in Sardegna anche stoffe, rappresentando un progresso riservato all’èlite nell’abbigliamento della popolazione locale che usava vestirsi con pelle di animale.

Potremo considerare le fibule collegate a vesti sontuose, giunte ad aristoi sardi come dono e poi deposte come offerta nei santuari? Le ricche vesti ornate di fibule erano comprese nella sfera dei doni principeschi, come si attesta anche nell’Odissea quando si narra di un dono dei pretendenti a Penelope composto da una veste con dodici fibule. Ma certamente oltre al canale legato alle importazioni, il copioso numero di fusaiole in argilla e pietra, i pesi da telaio fittili e i contrappesi in pietra rinvenuti nell’Isola testimonia una produzione tessile locale evolutasi nel tempo. La lana di pecora, di capra, ed il lino, che in Sardegna cresce spontaneo garantivano ampia disponibilità di tessuti, erbe tintorie, l’argilla bianca, minerali di vari colori e lo stesso allume impiegato per il fissaggio dei colori assicurano la produzione di vesti policrome, oltre che di nero orbace. Probabilmente era già conosciuto il bisso tratto dai filamenti della Pinna Nobilis, una grande conchiglia presente nei mari sardi rinvenuta negli strati del Bronzo finale di Su Mulinu (Villanovafranca). In Sardegna dagli scavi del Nuraghe Sirai è emersa un’area industriale dall’organizzazione assai funzionale e fortificata,: vi sorgeva infatti un’officina per il vetro, la più antica trovata in Sardegna e un unicum negli insediamenti fenici del Mediterraneo occidentale, una conceria, alimentata da un sistema di convogliamento delle acque e testimoniata dalla presenza della calce, materiale utilizzato per la concia delle pelli, all’interno di anfore e un laboratorio per la realizzazione di ceramiche.. Dall’osservazione delle vesti di alcuni bronzetti, si può ipotizzare l’utilizzo di stoffe con una tipologia di intreccio elaborata o forse policroma, che può giustificare l’uso delle fibule. Tra i bronzetti nuragici finora noti l’esemplare proveniente da S’Arridelli (Terralba) esposto nel museo Oristanese Antiquarium Arborense è quello che presenta la decorazione più ricca. Inoltre,  facendo riferimento al testo di Lilliu, Sculture della Sardegna nuragica sembra ci si possa orientare sull’ ipotesi che l’uso dei tessuti e in maniera maggiore delle stole sia  appannaggio di personalità eminenti, anche la statuaria nuragica rimanda all’utilizzo dei tessuti, come la stola o sciarpa in stoffa che scende dal petto di uno degli arcieri e che trova un confronto con l’abbigliamento di un personaggio regale presente su di una stele funeraria rinvenuta a Marash (nell’Anatolia sud orientale).

 

 

Bibliografia

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