Antonio Taramelli parte 1

Antonio Taramelli parte 1

Continuiamo a narrare di archeologia…
Oggetto di ricerca e presentazione sarà un personaggio che, considerati i tempi da lui vissuti, ha contribuito a far conoscere quella archeologia sarda ancora legata alle scoperte ottocentesche del Canonico Spano e degli altri “archeologi” di questo periodo; parliamo del friulano Antonio Taramelli.

 

Nacque a Udine il 14 novembre del 1868; laureatosi a Pavia nel 1889 e conseguito il diploma di perfezionamento alla Scuola di Archeologia di Roma, ove fu allievo di Pigorini, entra nella amministrazione delle Antichità e Belle Arti iniziando la sua carriera come Ispettore nell’Ufficio dei Monumenti del Piemonte e della Liguria (1895-1902). Nel giugno del 1902 viene nominato direttore del Museo di Cagliari e degli Scavi di Antichità della Sardegna e nel 1924 Soprintendente.
Fece parte del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti, fu Accademico dei Lincei e d’Italia, membro delle più prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere e Senatore del Regno. Dal 1931 al 1934 fu professore di Archeologia all’Università di Cagliari.
Lasciato il servizio attivo per raggiunti limiti di età nel 1933, si trasferisce a Roma nel 1935, ove morirà l’8 maggio del 1939.

Dalla sua incomparabile attività di ricerca e dalla sua vastissima produzione scientifica fanno fede i quattro volumi di Scavi e Scoperte.
Saranno proprio questi quattro testi che andremo a esplorare e che ci faranno compagnia, spero piacevole, per qualche settimana.
Sarà altresì interessante apprezzare le doti dei disegnatori e rilevatori che, con una fotografia ancora agli albori (1839), dovevano presentare in maniera quanto più puntuale possibile, sia il reperto analizzato che l’area del ritrovamento.
Abbiamo appena lasciato i moderni archeologi che hanno magistralmente operato nell’area della grande rotonda di Sa Osa per tuffarci in quella che è stata la base di partenza di una materia che oramai sta prendendo i connotati di una scienza sempre più esatta grazie alla multidisciplinarietà di cui si avvalgono gli attuali studiosi. Una archeologia antica da apprezzare, anche se condotta senza una vera metodologia e strategia di scavo, dove a volte i metodi di ricerca appaiono decisamente invasivi e a volte con percentuali di distruzione oramai improponibili.
Taramelli adoperò le tecniche di indagine che molti ai giorni nostri definiscono violente, con l’uso a volte dell’esplosivo per farsi breccia tra i ruderi[1] che non potevano essere spostati, proprio per mancanza di mezzi atti al sollevamento, ma lui, al pari dei tanti altri pionieri di tutte le professioni si avvaleva dei mezzi dell’epoca.
Ognuno è uomo dell’epoca in cui vive e pertanto come tale deve essere giudicato da noi uomini di questo millennio…esattamente come noi stessi verremo giudicati dalle future generazioni.
Come sempre ricordiamo che i testi di cui sono tratti i contributi sono disponibili alla consultazione presso la nostra biblioteca comunale.[2]

 

La nostra narrazione ha inizio a partire dal 1903; in questo anno verranno pubblicati i ritrovamenti riferiti alle località di Teulada, Fordongianus, Villanova Truschedu, Sant’Antioco e Nuragus.
Nella prima località l’analisi riguarda la scoperta di un ripostiglio di monete imperiali romane ed altre antichità rinvenute presso il villaggio; così il Taramelli né dà l’annuncio:
“Da notizie raccolte per via privata, la Direzione del Museo di Antichità di Cagliari venne edotta della scoperta di un grosso nucleo di monete di età imperiale romana, fatta nel febbraio dell’anno in corso a poca distanza da Teulada. Riserbandomi di esaminare la località e le condizioni del rinvenimento quando potrò toccare l’interessante regione di Teulada, durante l’esplorazione di quel poco noto gruppo di montagne, mi limito ora a dare annuncio di questa modesta scoperta, la quale tuttavia può date qualche leggero barlume di luce nella tenebra profonda che circonda l’agro di due città sarde, di Tegula cioè e di Bitia […] Ma, per attenermi alle semplici notizie di fatto, relative alla recente scoperta, ricordo che appena informato della cosa, ho fatto pratiche perché, giusta le recenti disposizione di legge, il Regio Museo di antichità di Cagliari, di cui assunsi da poco tempo la direzione, fosse esattamente informato. Prima ancora però che potessi ottenere un esteso rapporto dalle autorità locali, ho potuto avere dal sig. Gio. Maria Addis[3] un gruppo di monete di età imperiale romana, che egli mi assicurò essere state rinvenute, insieme a molte altre a lui sfuggite, nel terreno detto Sa Funtana de su muru Tresu, di proprietà di Antonio Salis. […] Le monete portate dal sig. Addis e che acquistai per la collezione del Regio Museo sono in numero di 26, e quasi tutte ben conservate, poco erose dall’uso e con patina discreta, anzi per qualche esemplare bellissima; come risulta poi dall’annesso elenco, compilato dal sig. Filippo Nissardi, ispettore del museo, le 26 monete si riferiscono all’imperatore Adriano, ad Antonino Pio, a Faustina seniore, a Marco Aurelio, a Faustina giuniore, a Lucilla. E’ rappresentato cioè nel gruppo di monete il periodo compreso dall’anno 117 a. Cr. al 161 d. Cr., periodo abbastanza breve, di corso monetario abbastanza omogeneo e costante, così da ritenere che tutte le monete che figurano nel ripostiglio avessero corso legale quando furono raccolte nel luogo che doveva far giungere sino a noi.”

La narrazione prosegue con una elencazione di altri oggetti presenti nella collezione Addis e da lui venduti al Regio Museo.
Per quanto attiene la località di Forum Traiani il Taramelli così descrive le antiche terme:
“La grande strada romana che conduceva da Caralis ad Olbia, toccata Othoca, poco lungi dalle foci del Tirso, volgeva attraverso alla piana del Campidano e poi, gettandosi arditamente per le selvose pendici del Monte Brighini, scendeva nuovamente in valle del Tirso, per varcare il fiume là dove sono più alte e sicure dalle inondazioni, a Fordongianus, villaggio che nella trasparente consonanza rivela il suo antico nome romano di Forum Traiani. […] Questa località, così interessante per l’archeologo, visitata dallo Spano, dal Lamarmora e dai vari editori del C.I.L.[4] […] Il Lamarmora e lo Spano, ed in special modo quest’ultimo benemerito e compianto illustratore delle antichità dell’isola nativa, raccolsero notizie sui rinvenimenti avvenuti in Fordongianus, e sui ruderi che ai loro tempi si conservavano; certo all’epoca in cui avvenne l’indagine del canonico Ploaghese, prima cioè del 1860, sino a quei tempi, molto poté sui ruderi delle costruzioni antiche l’azione degli abitanti, più attiva e vandalica che quella del tempo”.

Come nel precedente paragrafo segue una descrizione con relativi rilievi e immagini fotografiche sia delle terme che della statuaria rinvenuta nell’area delle terme.
Per quanto attiene la località di Villanova Truschedu l’attenzione di Taramelli si concentra sul bellissimo Nuraghe Santa Barbara, nelle campagne circostanti l’abitato.
“Esso sorge, come dissi sopra, sul dorso di un colle alto m. 78, allo sbocco del vallone di Sa Roja de Trogus, che raggiunge dalla destra la valle del Tirso, dove questa si apre verso il bel piano campidanese. Come è dimostrato dalla pianta che rilevammo insieme al sig. Nissardi, in una escursione fatta in compagnia del sig. cav. Oppo Palmas, tenitore del fondo, il nuraghe si presenta come un imponente e complesso edifico, costituito dal torrione maggiore, che ha dinnanzi alla fronte, rivolta a mezzogiorno (sud sud-est), un secondo recinto munito di un nuraghe minore, situato sull’asse del maggiore. Il maggior nuraghe, che ancora si conserva, per l’altezza media di m. 11, si erge come dicemmo, sopra un mammellone, rincalzato nel suo fianco di est da un muraglione di sostegno in grossi blocchi. In origine doveva avere almeno due piani, si conserva però poco meno che completo il piano inferiore, coll’adito d’ingresso, scala e cella centrale; il pavimento esterno è bel costruito, in grandi massi di pietra che sono state evidentemente predisposte a questa costruzione, misuranti nella faccia esteriore, con segmenti di curva, da 80 a 90 cm di larghezza per 45 di altezza, internandosi nel muro della parete per m. 1,00 circa. La buona lavorazione dei pezzi costituenti il paramento toglie quasi affatto la necessità della rimboccatura, con pezzi minori, come avviene in altre costruzioni nuragiche; la inclinazione regolare del cono di circa m. 1,00 sopra m. 11 d’altezza conservata, è la più frequente nei nuraghi. L’ingresso è aperto sul lato di mezzogiorno, e ne permette l’accesso con relativa facilità, benché interrato per oltre un metro, cosichè l’altezza originaria doveva essere intorno a m. 1,60. La porta sulla quale è un robusto architrave di m. 1,60 di lunghezza, provisto di feritoia o spiraglio che si restringe al centro sino a m. 0,20, dà sull’adito di accesso che si alza immediatamente, appena dopo l’architrave.”

Prosegue ancora una accurata e minuziosa descrizione del monumento accompagnata dai bei disegni e rilievi eseguiti dal Nissardi. Proseguendo nella trattazione Taramelli focalizza la sua trattazione sulla stretta relazione che intercorre tra il Nuraghe Santa Barbara e gli altri vicini come quelli di Su Gazzu, Torredus, Codes, Carduche. Corongiu Fenugu, Sos Olieddos, Gatta, Arbiddera, Onella il maestoso Oschina.
Ci spostiamo verso il sud dell’Isola e più precisamente a Sant’Antioco per la descrizione di una iscrizione sepolcrale dell’antica Sulcis.
“Per cortesia del sig. Bigi di Sant’Antioco, la Direzione del Museo di Cagliari, poté venire a conoscenza di una nuova iscrizione di età romana, da aggiungersi alla scarsa serie dei titoli Sulcitani. L’iscrizione incisa su una lastra rettangolare di marmo (alt. m. 0,15, lungh. m. 0,20) a lettere abbastanza ben tracciate e di buona età (alte in media m. 0,021) […] L’iscrizione sepolcrale ha modesta importanza e merita un cenno solo per riguardi onomastici. E’ un fratello di Pompeius Mustulus Pontianus, di origine forse servile, come direbbe il nome singolare Mustulus, il quale fa la dedica al fratello, che pare invece cittadino, dal prenome. Anche in altre iscrizioni di Sulcis, come in molte sarde, la estensione del nome non è regolare. Il gentilizio dei Pompei è dato da altri titoli insulari, o iscrizioni, come la Pompeia in titolo cagliaritano (Corpus X, 7652) ed il Pompeius Telia, pur di Cagliari 7693, o anche sopra fittili e lucerne di Oristano, di Tharros e di Sassari (Corpus 8053, n. 165); invece il gentilizio dei Pontiani, come i cognomi di Dativus e Mustulus si presentano per la prima volta nelle iscrizioni isolane, sinora conosciute”

Le notizie per l’anno 1903 terminano con la descrizione della tomba romana nella necropoli di Valentia, l’attuale Nuragus.
“In una recente escursione a Nuragus, il sig. Filippo Nissardi, ispettore del Museo, fu informato per mezzo del sig. Pietro Cadeddu, cortese abitatore di quel villaggio, della scoperta di una tomba di età romana, avvenuta durante i lavori agricoli, in regione Valentia, nel predio di proprietà di certo Giuseppe Piras di Nuragus, alla fine dell’anno scorso.
La tomba era costituita da un sarcofago di trachite rossastra, il quale conteneva, a dire dello scopritore, una scarsa suppellettile di vasi di terracotta ed una moneta di bronzo di gran modulo, che si rivelò all’esame del Nissardi come un grande bronzo di Filippo Seniore del 247 d. Cr. (Imp. M. Iul. Aug. busto dell’imperatore a dr.) Cesare sedente con globo e scettro. Cos. III. Oltre alla moneta il Nissardi non vide che il coperchio del sarcofago, lungo m. 0,74, largo esternamente m. 0,65 e 0,40 all’interno, che aveva alla faccia superiore una iscrizione; in lettere poco profonde ed irregolari, è divisa in quattro linee disgiunte da incisioni, le quali non hanno giovato allo scalpellino, che ha scritto le lettere irregolari e tutte storte. Dopo il nome della defunta Antonia si deve vedere una brutta palmetta di separazione. Il gentilizio Antonia si trova in altri titoli cagliaritani (C.I.L. X, 7621, 7626, 7641, 7711) ma il cognome di Urrius è un nome singolare e deve connettersi all’onomastica locale, al pari di altri nomi che si incontrano in titoli di Sardegna, come il Bolcia di Busachi (Corpus 7871), il Nercadaus di Austis (7888), il Disanirius o Beviranus (7872, 7873) di Fordongianus ecc. Debbo rammentare che dalle indagini avvenute negli anni precedenti, la località di Nuragus corrisponde all’antica Valentia; ivi si ebbero non solo pregevoli antichità preistoriche e specialmente il bel ripostiglio di Forraxi Nioi, ma anche una necropoli di età romana e varie antichità medioevali. L’attuale scoperta, per quanto modesta, conferma l’esistenza di un centro d’abitazione d’età romana e reca qualche contributo all’onomastica isolana di quell’età.”
Già dalla lettura di queste poche pagine evinciamo chiaramente la passione del friulano Taramelli per la sua nuova terra; una descrizione molto più vicina alla narrazione, con un uso della grammatica propria della figura romantica dell’esploratore, decisamente differente dalle asciutte e puntualissime descrizioni scientifiche che abbiamo visto nei recenti contributi moderni come Sa Osa.

Continueremo a seguire il Soprintendente anche con quanto esporrà per gli anni successivi; come già preannunciato l’opera del Taramelli copre i 30 anni di permanenza in Sardegna con centinaia di rapporti riportati nei 4 volumi che riassumono la sua incredibile attività archeologica. Per ovvi motivi i contributi che andremo a proporre deriveranno da una logica scelta su quelle che verranno ritenute le indagini più importanti, ben consci che tutto quanto da lui indagato sarebbe meritevole di presentazione nella nostra pagina. Pertanto si proporrà anno per anno perlomeno le aree da lui studiate. Invito pertanto i nostri lettori alla visita presso la nostra biblioteca comunale per una consultazione dei citati volumi ed apprezzare il grande impegno descrittivo non solo nei testi ma anche e soprattutto nei rilievi.



[1] A tal proposito si richiama il ricordo del grande esploratore subacqueo quale è stato J.J. Cousteau; prima che egli stesso perfezionasse l’invenzione dell’autorespiratore ad aria, era solito usare la tecnica dell’uso degli esplosivi come facevano i vecchi pescatori, per far emergere, anche se morte, le specie ittiche presenti nei fondali più profondi. A tal proposito sulla rete sono presenti i filmati dell’epoca.

[2] Sardegna Archeologica Reprints; Antonio Taramelli, Scavi e Scoperte, Carlo Delfino Editore. N. 4 volumi.

[3] Giovanni Maria Addis era il padre del grande archeologo Ovidio Addis, lo scavatore dell’area paleocristiana di Cornus Columbaris, dove recentemente sono ripresi gli scavi a cura della Soprintendenza Archeologica per le provincie di Cagliari e Oristano. Si può quindi ben capire l’entusiasmo con cui il giovane Ovidio intraprese lo studio dell’archeologia avendo in casa la preziosa collezione del padre, poi ceduta per poter arricchire il patrimonio del Regio Museo di Cagliari.

[4] C.I.L. Corpus Inscriptionum Latinarum. Opera in più volumi che raccoglie antiche iscrizioni in latino (N.d.A.)