Guerriero nuragico da Mogoro

Guerriero nuragico da Mogoro

Un bronzetto di guerriero nuragico bardato all’assira da Is Carrelis.

Dal IX secolo in Sardegna assistiamo alla diffusione regionale di una tipologia di bronzetti differente rispetto alla tradizione, contraddistinta da un’attenzione scrupolosa dei dettagli che caratterizza arcieri, guerrieri e inermi. Questo nuovo gusto rispecchia lo stile del gruppo Abini, il cui risultato sembra essere la monumentalizzazione delle statue di Mont’e Prama, le quali sono l’espressione statuaria monumentale più antica di ambito mediterraneo, precedente sia quella greca che quella etrusca per la quale bisognerà aspettare l’VIII secolo inoltrato[1].
Stilisticamente sia per una parte della piccola plastica in bronzo come per la statuaria in pietra, il richiamo all’area orientale va riferito al gusto per i dettagli ed agli elementi stilistici i cui tratti caratteristici si possono seguire attraverso i millenni nelle manifestazioni figurate di area iranica, caucasica e anatolica per ritrovarli rielaborati in ambiente siriano del primo Ferro[2].

La presenza di motivi orientali anche nella bronzistica ormai è un fatto assodato nella ricerca scientifica, così come potrebbe esserlo la presenza di maestranze orientali connesse ai nuovi gruppi di potere sardi già dal IX sec. a.C. provenienti dall’area Caucasica (Urartu) e Iranica (Luristan)[3]. E’ possibile che questi artigiani abbiano operato in Sardegna per più generazioni, come attestato a Creta e  come documentato dai prodotti rinvenuti in area italica dalla Puglia all’Etruria, dall’area felsinea e a Verrucchio.
Nell’Antiquarium Arborense è custodito un bronzetto alquanto singolare, unico nel suo genere che per alcune peculiarità può rientrare nell’ambito delle ascendenze orientali. Più precisamente potrebbe essere rapportato ad un modello assiro il bronzetto orante di soldato, da Mogoro (OR), loc. Is Carrelis.[4]
Da una piccola base rettangolare dalla quale sorgono i piedi nudi, quasi fusi in essa, si erge una figurina che levando in alto le braccia piegate all’altezza del gomito, rivolge in avanti i palmi delle mani aperte, minuziosamente rappresentate mediante l’incisione delle dita. Un gesto non nuovo, ma inusuale, che compare in altri due bronzetti, connessi uno alla serie “mediterraneizzante” e l’altro ad un Orante/guerriero in stile Uta[5]. Tale iconografia trova riscontri già dal II millennio a. C. in area mesopotamica, dove conosciamo figurine di divinità con ambedue le braccia levate  e rappresentazioni simili sui sigilli, in riferimento alla partecipazione devozionale e alla preghiera. Contemporaneamente esiste già anche il gesto cosiddetto dell’epifania, nel quale le braccia sono allargate e rappresentate di fronte: quest’ultima iconografia conserverà la sua importanza nella rappresentazione delle divinità oltre il periodo del Bronzo e l’età geometrica, sino alla classicità[6].

Il nostro artefatto, sul capo, indossa un elmo di foggia conico/cilindrica con una cresta longitudinale e due cornetti ricurvi sulla fronte, un copricapo, dunque,  che rimanda al rango militare.
Sappiamo che nella bronzistica i personaggi maschili a capo nudo rappresentano una minoranza. Il copricapo diviene l’elemento distintivo anche nell’identificazione del rango, specie nei guerrieri[7].
Gli elmi attestati nella bronzistica figurata nuragica sono di due tipologie: A) a calotta sferica con cresta mediana e due corna e B) conici con o senza pennacchio, di ispirazione assira-urartea[8].

L’elmo con pennacchio foliato incurvato anteriormente, così come gli elmi conici con pennacchio ricurvo sul davanti, sono caratteristici di un gruppo di figurine verosimilmente divine del santuario di Abini-Teti, e di un numero minoritario di guerrieri (soldati e arcieri) della bronzistica nuragica ed eccezionalmente della statuaria in calcare di M. Prama e della plastica fittile. Tale elmo, costituisce una rielaborazione (con fraintendimenti) di un tipo di elmo assiro («crested helmet») del IX-VIII sec. a. C.[9].

Di solito le corna sono posizionate parallelamente, ma anche convergenti e ricurve posteriormente; il nostro esemplare essendo mutilo al principio delle corna, non permette una descrizione puntuale di tale elemento.
Il cranio è rasato, i tratti del viso sono sgraziati ma non deformi, l’arcata sopraccigliare è appena accennata, gli occhi sono incisi e oblunghi, il naso a rilievo, solo la bocca è segnata in modo pronunciato ricordando alcune statuette del tipo popolaresco senza però arrivare al realismo brutale di tale gruppo ed altresì lontano dalle deformità che caratterizzeranno il gruppo “mediterraneizzante”. Stilisticamente, infatti, la figura viene classificata da Giovanni Lilliu ancora legata al linguaggio aulico di stile Abini.

Lo studioso ipotizza che il personaggio sia un soldato appartenente alle truppe leggere, oppure un militare il quale ha deposto le armi, o diversamente sia stato disarmato[10]. La  figurina infatti è inerme,  il guerriero/orante ha solo un gonnellino liscio, cilindrico, lungo fin sopra il ginocchio come in un guerriero da Baunei e armati da Teti[11], e retto da una cintura ben visibile nella parte anteriore al quale si collegano delle “bretelle” formate da una doppia e robusta fascia di cuoio che si incrocia sul petto all’altezza dello sterno e poi, passando sopra e sotto le ascelle, si ricongiunge alla base del collo nella parte retrostante in una sorta di collarino. Lilliu si interroga dal principio sulla motivazione di un simile ed articolato sistema di intrecci volto solo a sorreggere il gonnellino, intuendo che si tratti di qualcosa di più complesso che dei semplici straccali.

E’ Alessandro Bedini nel 2012 a riconoscere nel guerriero di Mogoro un elemento di derivazione orientale, riferibile all’origine dei dischi corazza circolari di produzione capenate e centro italica che prendono il nome di kardiophylakes. Secondo un’opinione comunemente accolta nella ricerca i dischi-corazza circolari si sarebbero sviluppati tipologicamente da una forma intermedia a partire dai pettorali rettangolari della prima età del Ferro, noti in area etrusco –italica[12], per la difesa del corpo del combattente: si trattava di elementi metallici, delle “ piastre”  in genere rettangolari o sub rettangolari, di due tipi, con i lati uguali per coppia, sia concavi che convessi. Entrambi i tipi possedevano dei fori per il fissaggio alle vesti. Così come avveniva presumibilmente per i corsetti in cuoio, l’elmo, i gambali e le corazze, non dobbiamo stupirci se venisse impiegato un materiale apparentemente poco robusto come il lino per imbottire l’interno dei   kardiophylakes.

La Sardegna nuragica conosce la piastra di protezione nella iconografia in bronzo e in pietra dell’arciere e raramente del guerriero armato di spada  e di arco.
Il torso dell’arciere  (talora dotato di spada) è rivestito sempre da una tunica che giunge a ricoprire i lombi. Sul petto è presente un kardiophylax, rettangolare, a lati dritti e concavi a coppie, documentato anche, come si è detto,  in area villanoviana e laziale sin dal 760 a. C.[13].
Il kardiophylax solitamente è sostenuto mediante due coppie di corregge che scendono dal collo anteriormente e posteriormente per fissare sulle spalle la faretra. I guerrieri sardi in bronzo e pietra   sono forniti di una corazza composta verosimilmente da elementi in cuoio, forse rinforzati da piastre metalliche[14]. In area nord iranica, ad Hasanlu presso la sponda meridionale del lago Urmia, nell’Azerbagian iranico, così come a Ziviyeh, sono attestate piastre pettorali di forma rettangolare[15].
Alla fine del IX secolo risalgono i contatti tra la regione settentrionale del Tirreno con l’Urartu e il Luristan, favoriti dalle attività minerarie della zona di Populonia, dell’Elba e della Sardegna. Proprio a Populonia in una delle prime tombe a camera con inumazione di Poggio delle Granate, nell’ambito del IX sec. a.C. si trovano degli elementi relativi alla bardatura di un cavallo, che hanno precisi confronti con l’area iranica e caucasica. Questi artefatti se non di importazione, potrebbero essere il frutto di artigiani orientali emigrati.
Va inoltre considerato che i pettorali rettangolari sono raffigurati anche sulle stele daunie di VII e VI sec. a. C. e che recenti ritrovamenti da Lavello, nella Basilicata settentrionale, fanno ipotizzare un loro uso almeno fino al VI sec. a. C.[16]

Il tipo di kardiophylax circolare compare nei rilievi palaziali assiri, del IX-VII sec. a.C.[17] secondo un uso in soldati, armati di scudo rotondo e di lancia, del periodo neoassiro[18], come messo in risalto da Stary[19], Cherici[20] e da Weidig[21]. Secondo Giovanni  Ugas, nel suo volume Shardana e Sardegna, le bretelle sono presenti nell’abbigliamento egizio e in particolare sono usate per sostenere la placca pettorale, prima dei  kardiophylakes dei rilievi assiri[22].
In conclusione, non deve stupirci se alcuni esiti originali in campo figurativo riprendano modelli orientali di origine anatolica o siriana,  forse sul modello di statuette giunte dall’area siro-palestinese, o sulla scia di artigiani orientali insediatisi nell’isola, sullo scorcio del IX secolo, dando vita a rappresentazioni che meglio si confacevano alla nuova struttura sociale definitasi dopo la caduta delle dinastie nuragiche.

 

[1] Bernardini 2015, p. 49.

[2] Bedini 2012, pp. 106 -112.

[3] Bedini 2012,

[4] Lilliu 1966, pp. 251-252, nr. 142

[5] Lilliu 1966, pp. 251-252, nr. 142. Lilliu 1997, p. 304, nn. 88-89). La derivazione orientale del kardiophylax di Mogoro è sostenuta, correttamente, da Bedini 2012, p. 114.

[7] Ugas 2016, p. 496.

[8] A. Scarpa, Guerriero con elmo conico, G. Ranieri, R. Zucca (Eds.), Mont’ePrama- I. Ricerche 2014, Sassari 2016, in stampa.

[9] Sull’organizzazione dell’esercito assiro cfr. i tre volumi di Dezső 2012a, Dezső 2012b, Dezső 2016. Su questo tipo di elmo neo-assiro, già definito tipologicamente nel XIX secolo (Botta 1849a, pl. 163= Albenda 1986, p. 150, pl. 140), cfr. Dezső, Curtis 1991, pp.  105-126; Dezső 2001;  Barron 2010, pp. 183-185, figg. 6.2, 6.3, 6.4 (ricostruzione grafica di un «crested helmet»  di Nimrud). Per la documentazione iconografica di tale elmo ci riferiamo in particolare ai rilievi del palazzo di Aššur-nâṣir-apli II (Assurnasirpal II: 883-859 a.C., che costruì il palazzo reale di Kalkhu (Nimrud) ) editi scientificamente da Barnett, Falkner 1962, con le osservazioni iconologiche di Matthiae 1998, pp. 347-376. Per una lettura dei «crested helmets» dei guerrieri assiri rappresentati a Nimrud preferiamo le incisioni dello scavatore di Nimrud (inizialmente identificata con Ninive) Austen Henry Layard: Layard 1849,  pls. 63, 64, 75, 79; Palazzo di Sennacherib  a Ninive: Layard 1853, pls. 14; 15, 18, 25, 26, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 41, 45. Numerosi sono i «crested helmets» assiri nei bassorilievi del Palazzo di Sargon II (Dur Šarrukin, odierna Khorsabad) (717-706 a. C.): Botta 1849a, pl. 61= Albenda 1986, p. 146, pl. 119 (FIG. 01); Botta 1849a, pl. 68= Albenda 1986, p. 147, pls. 125-126. Per l’iscrizione della città di Kishesim: Walker 1986, p. 273, nr.2 (FIG. 02); Botta 1849a, pl. 77= Albenda 1986, p. 147, pl. 124 (FIG. 03); Botta 1849a, pl. 68= Albenda 1986, p. 147, pl. 124 (FIG. 04); Botta 1849b, pl. 89= Albenda 1986, p. 140, pl. 95 (FIG. 05); Botta 1849a, pl. 90= Albenda 1986, p. 142, pl. 101 (FIG. 06); Botta 1849b, pl. 90= Albenda 1986, p. 142, pl.101(FIG. 07); Botta 1849b, pl. 93= Albenda 1986, p. 141, pl. 98. Per l’iscrizione della città di Amqarruna: Walker 1986, p. 274, nr.5 (FIG. 08); Botta 1849b, pl. 96= Albenda 1986, p. 141, pl.100 (FIG. 10); Botta 1849a, pl. 98= Albenda 1986, p. 142, pl. 102 (FIG. 11); Botta 1849a, pl. 141= Albenda 1986, p. 149, pl. 133 (FIG. 13);Botta 1849b, pl. 145= Albenda 1986, p. 150, pl.137. Per l’iscrizione del personaggio tàk[lak-ana-Bel], dignitario limmu dell’anno 715 a. C.: Walker 1986, p. 275, nr.7, n. 27 (FIG. 14); Botta 1849a, pl. 147= Albenda 1986, p. 150, pl. 138. Per l’iscrizione della città di Kisheshlu: Walker 1986, p. 276, nr.9 (FIG. 15).

[10] Lilliu 1966, pp. 251-252, nr. 142. Lilliu 1997, p. 304, nn. 88-89).

[11] Ugas 2016, p. 514.

[12] ( [Originale: Die Funde.../Panzerscheiben – pp. 49-56] I REPERTI: TIPOLOGIA, DATAZIONE E INQUADRAMENTO STORICOCULTURALE)

[13] Martinelli, 2004, pp. 67 – 71

[14] Lilliu 1966, p.128.

[15] Ghirshman 1982, p. 308 ; bedini 2012, p. 112.

[16]Die Funde.../Panzerscheiben – pp. 49-56] http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1508162008832_05_-_V._Cianfarani_1.pdf I REPERTI: TIPOLOGIA, DATAZIONE E INQUADRAMENTO STORICOCULTURALE)

 

[17] Palazzo di Assurnasirpal II a Kalkhu (Nimrud): Layard 1849,  pls. 18, 19, 20, 28, 29; Barnett, Falkner 1962, pls. X, XXXIX, LII, LIV, LXXII, LXXVI, LXXVII, LXXIX; Tiglat Pileser III rappresentati a Nimrud (lastre trasferite nel palazzo sud ovest di Assarhadon, non messe in opere): Layard 1849,  pl. 64; Palazzo di Sennacherib a Ninive: Layard 1853, pls. 21 (= Paterson 1915, pl. 77= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 430-431), 25 (= Paterson 1915, pl. 51= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 340-341), 26 (= Paterson 1915, pl. 52= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 341 dx-342), 31 (= Paterson 1915, pl. 59= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 364-366), 33 (= Paterson 1915, pl. 82= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 502-504), 45 (= Paterson 1915, pl. 62, 1= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 381-382; 381b-382b), 75 (Paterson 1915, pl. 80= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nr. 490), 78 (Paterson 1915, pl. 14= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nr. 50). Palazzo di Sargon II (Dur Šarrukin, odierna Khorsabad) (717-706 a. C.): Botta 1849b, pl. 89= Albenda 1986, p. 140, pl. 95 (FIG. 05); Botta 1849a, pl. 90= Albenda 1986, p. 142, pl. 101 (FIG. 06); Botta 1849b, pl. 90= Albenda 1986, p. 142, pl.101(FIG. 07); Botta 1849b, pl. 95= Albenda 1986, p. 141, pl. 100; Botta 1849b, pl. 96= Albenda 1986, p. 141, pl.100 (FIG. 10); Botta 1849a, pl. 99= Albenda 1986, p. 142, pl. 102 (FIG. 11); Palazzo settentrionale di Assurbanipal (Ninive). Barnett 1976, pls. XLVII (slabs 12, 10), LXVIII.

[18]Palazzo di Tiglatpileser III a Kalkhu (Nimrud): Layard 1849,  pls. 62(Palazzo centrale) , 63, 66 (palazzo di SO); Palazzo di Sennacherib  a Ninive: Layard 1853, pls. 26 (= Paterson 1915, pl. 52= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 341 dx-342), 31 (= Paterson 1915, pl. 59= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 364-366), 45 (= Paterson 1915, pl. 62, 1= Barnett, Bleibtreu, Turner 1998, nrr. 381-382; 381b-382b); Palazzo di Sargon II (Dur Šarrukin, odierna Khorsabad): Botta 1849a, pl. 68= Albenda 1986, p. 147, pls. 125-126. Per l’iscrizione della città di Kishesim: Walker 1986, p. 273, nr.2 ,(FIG. 02); Botta 1849a, pl.70= Albenda 1986, p. 148, pl. 128;  Botta 1849a, pl. 77= Albenda 1986, p. 147, pl. 124 (FIG. 03); Botta 1849a, pl. 68= Albenda 1986, p. 147, pl. 124 (FIG. 04); Botta 1849b, pl. 89= Albenda 1986, p. 140, pl. 95 (FIG. 05); Botta 1849b, pl. 93= Albenda 1986, p. 141, pl. 98. Per l’iscrizione della città di Amqarruna: Walker 1986, p. 274, nr.5 (FIG. 08); Botta 1849b, pl. 96= Albenda 1986, p. 141, pl.100 (FIG. 109; Botta 1849b, pl. 145= Albenda 1986, p. 150, pl.137. Per l’iscrizione del personaggio tàk[lak-ana-Bel], dignitario limmu dell’anno 715 a. C.: Walker 1986, p. 275, nr.7, n. 27 (FIG. 14); Palazzo settentrionale di Assurbanipal (Ninive). Barnett 1976, pls. LX, LXVI(Rilievo con la distruzione di Hamanu in Elam (645-635 a.C.) (FIG. XXX), LXVII.

[19] stary 1981, pp. 25-40.

[20] Cherici 2007, pp. 231-232, 238, n. 85, fig. 39.

[21] Weidig 2011, pp. 190-191, n. 4; Weidig 2014, pp. 49-56

[22] Ugas 2012, p. 511.

 

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