Il monumento ad Eleonora d’Arborea

-  6  - PREFAZIONE Ai tempi della Peste nera, nella seconda metà del Trecento, sino al primo scorcio del Quattrocento – mentre nell’Europa del nord infuriava la Guerra dei Cento anni tra Francia e Inghilterra – al centro del Mediterraneo, in Sardegna, si consumava un lun- go e sanguinoso conflitto periferico tra la Corona d’Aragona e il Giudicato d’Arborea. Aristanis , capitale giudicale, insieme a tutte le genti di Sardegna – la nació sardesca – combatté valorosamente contro la potente confederazione dei regni della Corona d’Aragona, che si estendeva tra Catalogna, Francia del sud, Maiorca, sino alla Sicilia, raggiungendo persino le coste dell’Oriente. Protagonisti di quell’epica stagione bellica – che portò Aristanis , gli Arborea e i Sardi a un passo dal successo finale – furono il grande Mariano IV e i suoi figli, Ugone III e Eleonora, con suo marito, il genovese Brancaleone Doria. In campo iberico, gli antagonisti erano Pietro IV il Cerimonioso, poi suo figlio Gio- vanni I, il Cacciatore o il Musico. Una autentica epopea drammatica, culminata nella tragica battaglia di Sanluri del 1409. Durante i successivi secoli ‘spagnoli’, Oristán fu ridimensionata nel suo ruolo di protagonista nella storia sarda (ma non solo) che aveva gloriosamente rivestito nel Trecento, distinguendosi comunque, tra il fulgore di gremi e confraternite, con mani- festazioni di straordinaria bellezza e pregnanza civica quale la Sartiglia . In quel periodo, in cui i Sardi ormai guardavano nostalgicamente al mito di un pas- sato glorioso, Sa Juighissa assurse nella storiografia e nell’immaginario collettivo dell’Isola – anche attraverso la tradizione orale – come emblema, punto di riferi- mento storico di tutti Sardi. In seguito, in pieno Ottocento scoppiò una Eleonoromanìa , orribile neologismo, co- niato per indicare una specie di ossessione, una fissazione quasi malata, per la Giudi- cessa. Di fatto, la Sarda Eroina , come ormai tutti chiamavano la Giudicessa, svetterà da allora sino ai tempi contemporanei come il vero faro storico dell’Isola. Non a caso, nel 1949, con una celebre e citatissima boutade , Giuseppe Dessì af- fermò che la Sardegna ha avuto due soli personaggi con «quel tanto di fantasia che occorre per essere dei grandi uomini»: Eleonora d’Arborea e Grazia Deledda. Di certo, la provocatoria e caustica boutade di Dessì sui “grandi uomini della Sarde- gna” (incarnati in … Eleonora e Grazia) è un tributo a due ‘classici’ punti di riferimen- to della identità nazionale (e nazionalistica) dei Sardi. In particolare, nell’immaginario collettivo la J ighissa di Oristano è assurta quasi a personificazione dell’Isola, e a suo emblema storico, facendo, per così dire, con- correnza a potenti simboli identitari quali i Quattro Mori e i nuraghi (e oggi anche i possenti Giganti del Sinis). L’esaltazione di Eleonora, e delle sue doti ‘virili’, nacque con gli stessi albori della storiografia sarda, tramite il sassarese Giovanni Francesco Fara (1543-1591), che trattando stringatamente le imprese della “giudicessa” illustrò in particolare le sue triplici vesti: 1. governante ‘virile’ : “con somma lode amministrò energicamente il regno” («viriliter summa cum laude regnum administravit»);

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