Il monumento ad Eleonora d’Arborea

- 207  - ze,  Repertorio generale , anni 1861-1880) si segnalano, dal ‘64, la costruzione del ci- mitero monumentale delle Porte sante presso la basilica di S. Miniato (ove più tardi interverrà con alcune cappelle; cfr.  Cappella funeraria Sapieha ,  Firenze , tav. VI, in  Ri- cordi di architettura , VI [1883], 9), la sala della regia posta realizzata nel ‘65, nell’ex Zecca agli Uffizi (cfr. tavv. III s.,  ibid ., III [1880], 2); progetti come un cimitero per gli evangelici (1867) o restauri come quello della loggia del Bigallo (1865-67; cfr. M. F., in  La Nazione , 11 febbr. 1864), dove l’attenzione filologica del F. verrà poi compro- messa dall’ulteriore “infedele” intervento di G. Castellazzi; episodi di arredo urbano, come la monumentale fontana per la piazza del duomo di Prato (1861; cfr. tav. IV in  Ricordi di architettura , III [1880], 3); o gli effimeri allestiti per la visita di Vittorio Emanuele a Firenze nel ‘60 o per il sesto centenario della nascita di Dante nel ‘65. Speciale rilievo meritano poi due opere: il nuovo osservatorio astronomico sulla col- lina di Arcetri (1869-71, poi modificato), per il quale il F. si trovò a collaborare, oltre che col suo allievo G. Boccini, con i più accreditati scienziati fiorentini impegnandosi a far coesistere moderne esigenze tecniche con un impianto distributivo originale, con un medievalismo espressivo, evocativo del tema; e, senz’altro, il neomoresco tempio israelitico, quella sinagoga che rappresenta una tessera importante nell’im- magine urbana di Firenze. Il coinvolgimento del F., che fu affiancato da M. Treves e V. Micheli, si spiega col fatto che da tempo era in contatto con la comunità ebraica fio- rentina; già nel 1847, quale architetto dello Scrittoio, s’era occupato della scuola spagnola all’interno del ghetto. Se pure è difficile isolare il ruolo e i meriti dei singo- li progettisti (fra i tre, secondo Boralevi [1985], fu Treves ad avere il ruolo trainante) nondimeno bisogna notare che il F. era il più anziano e il più esperto e che dalla sua passata attività poteva dedurre un patrimonio d’esperienza basilare per risolvere un tema così complesso. L’impegno per la sinagoga (1870-1882) non fu l’unico di questi anni. L’anziano ar- chitetto, oltre a partecipare a numerose giurie e commissioni, oltre ad essere dal ‘66 membro della Commissione conservatrice di belle arti e architetto del Senato del Re- gno, fu ancora attivo come progettista: in opere di rilievo come le terme di Santa Ve- nera (cfr. tavv. pubblicate in  Ricordi di architettura , I [1878], 1, tavv. V s.; 2, tav. I) e il neo cinquecentesco palazzo per il barone Pennisi di Floristella ad Acireale (1873; cfr. tavv. I s.,  ibid ., VI [1883], 11), il teatro Dante Alighieri nella natia Campi Bisenzio e la base del monumento ad  Eleonora d’Arborea  a Oristano; fino alla ricostruzione in chiave neoromanica della chiesa di S. Margherita a Cortona (1880-1884, modificata da G. Castellazzi dieci anni dopo), suo ultimo lavoro. Il F. morì a Firenze l’11 nov. 1885. Il suo fu un contributo non irrilevante al paesaggio architettonico dell’ultimo periodo granducale toscano e del primo ventennio dell’Italia unita. Tipico esponente dell’eclet- tismo, praticò tutti gli stili (da un classicismo d’impronta pocciantiana al neogotico, al neomedievalismo, al cinquecentismo unitario), adattandoli alle occasioni e alle ti- pologie che gli erano richieste; in particolare “vagheggiò come meglio confacienti alla nostra maniera di vivere, al nostro sentire le idee derivate dal Medioevo...” (Maffei, 1888, p. 15) e fu sensibile ed originale interprete degli esotismi che affascinavano la cultura del medio Ottocento, senza tuttavia recedere dall’attenzione per le necessità funzionali, dalla ragionevolezza propria del mestiere dell’architetto e del restauratore. Una posizione che, nel complesso, sembrò poco conformista e si espresse – secondo i contemporanei – in “opere non del tutto coerenti alle leggi e alle ragioni dell’arte”;

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