Il monumento ad Eleonora d’Arborea
- 200 - sce, neo pergameno. Subito dopo il D. si impegnò in un’opera di vasto respiro, il Mo- numento funebre a Berta Moltke Ferrari Corbelli (1857-64) per la fiorentina basilica di S. Lorenzo, in cui lo scultore mostra una grande padronanza delle fonti figurative storiche (classiche, ellenistiche, rinascimentali, michelangiolesche, berniniane) da lui mescolate e impiegate in funzione di evocazioni sentimentali più complesse rispetto al vagheggiamento della bellezza colta e sensuale perseguito nelle sue opere neogreche. Proprio questa eterogeneità delle fonti di ispirazione, che spesso gli venne rimproverata, utilizzate in chiave squisitamente evocativa, costituirà la caratteristica fondamentale di questo nuovo periodo della sua attività, fino agli anni Settanta inoltrati, denso di opere e di capolavori, a partire proprio dal monumento laurenziano. Nel 1863 terminò la grande lunetta con l’ Esaltazione della Croce per il portale mediano della nuova facciata di Santa Croce (per la quale eseguì anche la Madonna addolorata della cuspide e diresse i lavori di T. Sarrocchi e di C. Zocchi alle due lunette dei portali laterali), in cui appare evidentissimo il riferimento stili- stico a epoche diverse della storia dell’arte per caratterizzare i passaggi della com- plessa allegoria cristologica. Ma l’opera cardine di questo periodo è certamente la Pietà , commissionata al D. nel 1862 da Alessandro Bichi Ruspoli per la sua cappella di famiglia nel cimitero del- la Misericordia a Siena, ove venne collocata nel 1868 dopo essere stata presentata all’Esposizione universale del 1867 a Parigi, in cui ottenne la gran medaglia d’onore. La critica del tempo pose in risalto soprattutto il contrasto fortemente suggestivo fra la perfezione “quasi pagana” del corpo di Cristo e l’espressione turbata della Madon- na “secentisticamente cattolica” (Fiesole, villa Dupré, Archivio, Pacco Miscellaneo : lettera di A. Aleardi al D., Brescia, 12 ag. 1864), tanto che l’opera divenne ben pre- sto esemplare per una moderna arte religiosa intessuta, come affermò l’Aleardi, di “forma antica e sentimento moderno, anima cristiana con in mano scarpello greco” (sull’opera si veda anche G. Gavotti in La Nazione , 28 genn. 1867; C. Guasti [1867], in Belle arti . Opuscoli …, Firenze 1874, pp. 165-176; O. Lacroix, in L’Esposizi ne uni- versale … illustrata , Milano-Firenze-Venezia 1867, III, n. 97; P. Mantz, in Gazette des beaux - arts , XXIII [1867], pp. 225 s.; D. Martelli, in Gazzettin delle arti del disegno , 2 febbraio e 1° giugno 1867; Spalletti, 1974, pp. 565-569).Altre opere di questi anni furono il monumento a OttavianoFabrizio Mossotti per il Camposanto di Pisa (1863- 67), con la bellissima personificazione dell’ Astronomia , e il Cristo risorto (1865-67 c.) per la cappella della villa del marchese Ferdinando Filippi, poi Mignani, a Buti (Pisa), spiritualissima e patetica rielaborazione del celebre Redentore di Thorvaldsen. In occasione dell’Esposizione universale del 1867 il D. si recò una seconda volta a Pa- rigi, ma la sua attività posteriore a quel viaggio non rivela che scarse tracce di quel soggiorno francese. L’opera più impegnativa a cui il D. si dedicò in questo periodo fu certamente il Monumento a Cavour per Torino (1865-73) che, sostanzialmente, si ri- solse in un insuccesso.Nonostante l’indiscutibile fascino dei quattro gruppi allegorici del basamento – spesso riconosciuto anche dai detrattori del monumento – l’opera, nel suo complesso, fu al centro di fierissime polemiche animate soprattutto da parte di quei settori della critica che non concepivano la chiave allegorica proposta dal D. per la celebrazione di uno degli artefici del Risorgimento e che avrebbero invece preferito una rappresentazione più evidente, meno soggetta a mediazioni colte, così come del resto avveniva proprio in quegli anni per i numerosi monumenti a uomini
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy MjA4MDQ=