Il monumento ad Eleonora d’Arborea
- 118 - 3. Il perché di un monumento Gioacchino Ciuffo, svestiti gli abiti istituzionali, fu sotto Prefetto ad Oristano dal 1863 al 1866, e indossati quelli di uomo di lettere ed appassionato di storia e tra- dizioni sarde, al brindisi che conclude le feste per l’inaugurazione del monumento ad Eleonora, riassume la sua esperienza di componente del primo Comitato rivol- gendosi all’amministrazione comunale di Oristano: Principierò dal rendere anche a nome dei miei concittadini e colleghi di Cagliari, il più fraterno e affettuoso saluto di congedo e di gratitudine alla spettabile Rappresentanza del Municipio d’Oristano, di questa città antica capitale della classica regione d’Arbo- rea, a questo memorando baluardo sul quale fu un giorno inalberato l’ultimo libero vessillo della sarda indipendenza. Si quel vessillo che Mariano IV avea trasmesso a mani del suo tanto prode quanto infelice fratello Ugone, e che fu indi gloriosamente impugnato dalla sua degna ed intrepida figlia Eleonora, del cui perenne monumento già festeggiammo l’inaugurazione. Quel vessillo che no, non fu ne sarà giammai fra noi il segnale di insane e discordi democrazie, ma dell’ordine, del diritto e della vera liber- tà. Tuttora gioisco d’essere stato insieme col Comitato anch’io onorato fra tanti illustri e notabili cittadini del personale intervento a queste patriottiche feste, ed anzi di esse- re stato seco loro accolto e gentilmente trattato. Perocchè come ogni cittadino che volle e seppe amare e apprezzare il proprio paese, non poteva a meno di tornare anche a me graditissimo lo avere fra voi potuto compiere a un debito il più sacro verso la nostra patria. D’altronde Oristano, questo splendido avanzo dell’antica Tharros, dove per circa un lustro della mia vita pubblica ebbi ben gradita dimora, ha in me sempre lasciato le più belle, le più sublimi rimembranze. Quà soprattutto si trova e si ammira, tanto nelle più alte come nelle inferiori e più umili classi dei suoi abitanti, un culto il più religioso alla legge, all’ordine sociale, ed al lavoro, un carattere giusto, leale, disin- teressato, di tipo veramente originario ereditato senza dubbio da quel superstite splendore delle antiche virtù domestiche latine, loro serbate dalla impronta di un regi- me poggiato sulla base della giustizia e dell’onore nazionale, quale era quello della eroica Giudicessa, e dei suoi più illustri e celebri antenati. Ha in me sempre destato la più alta e sentita ammirazione come la desterà già nella universale opinione del paese, il ricordo della storica leggenda di questa Divina donna, e delle sue peregrine e virili virtù; di questa gloria tutta sarda, ma il cui fulgore si spande e riflette or più che mai in tutta l’Italia. Ricordo che fa sempre ritornare alla mia mente alcune anteriori e congeneri esultanze cittadine, più modeste bensì, ma del pari spontanee e profonda- mente sentite, celebratesi in questa stessa città e pendente il tempo che vi ho soggior- nato. Come infatti potrò con queste nobili popolazioni dimenticare quella prima estrinsecazione della loro comune compiacenza nello inaugurarsi l’apertura dei primi lavori delle nostre ferrovie? Come non rammentare quella successiva festicciola, quasi improvvisatasi dagl’in allora rappresentanti della Compagnia Reale, sempre beneme- rita della Sardegna e dei Sardi, in unione a questa municipalità e cittadinanza, in oc- casione della corsa di prova del primo tronco ferroviario costruitosi fra Oristano e Terralba, ed effettuatosi colla prima vaporiera battezzata col gran nome di Eleonora? Gratissime reminiscenze! Regnava in tutti coloro che meco vi presero parte la più gaia e fraternevole concordia, non punto dissimile da quella che sperimentammo nei festivi giorni or ora percorsi, il più grande entusiasmo fin d’allora destavasi in quei fortunati e confortevoli momenti, che già segnavano i primi albori del nostro avvenire più flori- do e ridente. In quegli alti trasporti del cuore ci allietavamo vieppiù i concerti della banda cittadina della nostra Cagliari, gli evviva delle vicine popolazioni accorsevi col- le rispettive loro rappresentanze; evviva, che facevano eco a quelle di coloro che
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