Il monumento ad Eleonora d’Arborea
- 112 - Ebbe un esito più felice un altro bellissimo coro in onore di Eleonora di Arborea, compo- sto ed accompagnato al cembalo dal maestro Lario, sopra parole di Suor Elisa, una delle Suore preposte all’insegnamento delle bambine, la quale ha una voce simpatica, un inge- gno non comune, due occhioni da Andalusa, 32 denti d’avorio, dieci dita di fata, e non più di 25 anni. Totale, 70 pregi che la rendono simpatica a tutti gli Oristanesi. L’ispettore scolastico Cossu lesse un forbitissimo ed elaborato discorso sull’istruzione in Oristano e nella Provincia ai tempi di Eleonora; toccò a larghi tratti della vita di que- sta eroina, e si fece vivamente applaudire da quanti assistevano a quella festa. Venne la volta dei premi che furono moltissimi, e di tutte le categorie – dal ricco libro di preghiere fino all’umile bambola di cartapesta. Le tenere creature premiate gon- golavano di gioia, e fu quello per esse un giorno di schietta allegria che non potrà più cancellarsi dalla loro memoria. La musica del 52 o – destinata sempre, come tutte le musiche, a rallegrare tutte le feste del mondo – rallegrò la festa delle bambine suonando alcuni pezzi, oltre la marcia reale di apertura e di chiusura. La sera di questo stesso giorno era dedicata alla corsa dei cavalli, per la quale i sardi sentono un indicibile e istintivo trasporto. Una festa senza corse è come un giorno senza sole, o un giardino senza fiori – e gli isolani ci tengono! Sopra due palchi eleganti, appositamente costrutti, erano sedute un buon numero di signore e di Rappresentanti, i quali, viceversa, erano invece spettatori delle gare che si sarebbero impegnate fra gli intrepidi cavallerizzi. Il popolo ingombrava tutto lo stradone, aspettando ansiosamente i campioni che do- vevano divorare la via, uniti in pariglia. Dal canto mio confesso, che non ho mai assistito con piacere ad una corsa di cavalli, avendomi l’esperienza dimostrato sempre, che ben raro è il caso in cui non capiti qualche disgrazia. Per dire il vero però, le corse di Oristano non presentavano un serio pericolo, perocché non si trattava di fantini che, abbandonati alla furia di un focoso corridore, cercassero di arrivar primi alla meta per guadagnarsi un premio; ma bensì trattavasi di correre in pariglia, abbracciati l’un l’altro, per far mostra di valentia nel cavalcar bene e nel mantenersi in equilibrio. – Questo genere di corse è molto usato nel capo meridionale; nel settentrionale invece, è quasi sconosciuto. Diversi erano i costumi che indossavano quei cavalieri; ma i più originali, o meglio quelli che attiravano la pubblica attenzione, erano veramente due: - l’uno quello che vestiva il costume di Mamoiada, avente il cappuccio sugli occhi, il corsetto di scarlatto, la pipa in bocca, il coltello alla cintola, e la scuppetta col calcio appoggiato all’arcione; l’altro era colui che vestiva il costume di vasellaio di Oristano, con abiti eleganti e con una treccia a due colori che contornava il suo lungo berretto. Due o tre squilli di tromba avvertivano la folla che il gruppo di due o tre cavalieri era in vista; e allora la folla, lungo lo stradone, si spartiva in due per lasciar passare i cavalli e i cavalieri, tornando poi a serrarsi compatta, dietro agli intrepidi campioni, all’indiriz- zo dei quali si mandavano grida di gioia, d’incoraggiamento e di congratulazioni. Vi era uno fra gli altri (credo vestisse il costume di Abbasanta) il quale faceva sul cavallo prove di valentia, reggendosi ora sopra un ginocchio, ora sopra un piede, ed ora correndo col… dirò meglio colla faccia verso la coda del cavallo. Quantunque queste bra- vure abbaino la loro parte di merito, credo però che esse non siano nell’indole dei nostri isolani; il sardo, fiero ed intrepido, monta sul proprio cavallo – gli serra i fianchi colle ginocchia come in una morsa, e così si spinge coraggioso in avanti, divorando valli monti e pianure, e sfiorando i più terribili precipizi. Quelle posizioni acrobatiche sul cavallo mi pare si convengano meglio ad un Circo equestre che ad una corsa sarda. Il nostro isolano, lo ripeto, si attacca tenacemente alla cavalcatura, in modo quasi da fare di due corpi un corpo solo; - tutto uomo, o tutto cavallo, come meglio vi torna.
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