Il monumento ad Eleonora d’Arborea

- 107  - nenti. Un diffuso programma le aveva annunziate per i giorni 22, 23 e 24; la Compagnia delle Ferrovie sarde aveva accordato il ribasso del 50 per cento, stabilendo treni straor- dinari; e le popolazioni tutte dell’isola aspettavano ansiosamente quei giorni, bramosi di recarsi in Oristano per assistere ad una festa nazionale. Fin dalla mattina del giorno 21, assegnato ai treni straordinari… ed economici, i cit- tadini sassaresi si erano recati in buon numero alla stazione per prender posto nei vagoni. Era uno spettacolo tutto nuovo. Quindici vagoni carichi di passeggieri uscivano dalla sta- zione accompagnati dalle grida entusiastiche d’una folla curiosa che si era colà recata per vederli partire. Un buon numero di passeggieri erano rimasti a terra, e se ne tornarono a casa, confidando di essere più fortunati col treno della notte, che doveva partire alle 10. E alla sera, una folla più compatta e più curiosa di quella della mattina, ingombrava la stazione per veder partire altri 15 vagoni gremiti di passeggieri, fra i quali lo scrivente. Un fischio acuto, due squilli di corno, e un sonoro partenza! diedero il segnale; e il pe- sante convoglio uscì borbottando da quel recinto, fra gli urli, le grida, le risa e le esclama- zioni di chi partiva e di chi restava; gioia nei primi, un po’ d’invidia nei secondi. Le tenebre esercitano uno strano prestigio. Una locomotiva che nel cuore della notte attraversa i campi, boschi, fiumi, trincee, gallerie, ha qualche cosa di misterioso che esalta l’immaginazione e dà alle cose un aspetto fantastico. Quell’urlo, quei fischi sussultuosi, quel cielo color di piombo, quei tronchi d’alberi sopra un fondo nero che ti passano rapida- mente davanti, quelle faccie dei macigni sinistramente illuminate dai due occhi rossi della macchina, quel monotono e cadenzato rumore che mandano i vagoni sulle rotaie, ti fanno una strana impressione; tu senti il bisogno della compagnia – diresti che, come i bambini, hai paura del buio; senza saperne la ragione ti ritornano alla mente le storielle di sinistri ferroviari letti in sui giornali! È un viaggio nel mistero, nell’ombra, nell’ignoto; si presente l’abisso. Ho detto: si ha bisogno di compagnia – ma non di troppa compagnia. Noi eravamo letteralmente stipati; ero stato ultimo ad entrare nello scompartimento, e i miei compagni di viaggio mi stesero la mano e mi salutarono con un sorriso di limone, che io contraccam- biai con un sorriso d’aceto. In quel momento eravamo tutti egoisti ed ipocriti; perché in vagone non vi sono amici. L’uno all’altro esternava il piacere di essere in buona compagnia, mentre forse, in fondo, ognuno di noi avrebbe voluto esser solo, per godere comodi mag- giori. – Quello stare impalati, stretti fra i gomiti dei cari vicini che ti rompono le costole, colla prospettiva di otto lunghe ore di viaggio, colla certezza di non poter dormire, tutto ciò è orribile, raffredda l’amicizia, ci fa bestemmiare i viaggi e le ferrovie, e ci rende ingrati, ipocriti, egoisti. Ma che fare? Pazienza! – si sa bene che le feste costano sempre dei sagrifizi! Il treno volava – dirò meglio, camminava. Dai 100 finestrini del lungo convoglio usciva un chiacchierio vivace; erano grida, canti, suoni; si mangiava, si beveva, si urlava, si pe- stavano i piedi, e non si lasciava chiuder occhio a quei pacifici viaggiatori che amavano la tranquillità. Supplizio che bisogna subire con evangelica rassegnazione; nei vagoni, come nei teatri, chi ha pagato il biglietto ha pur diritto di fischiare, e di far perdere la notte e la pazienza al prossimo, che non sempre amiamo come noi stessi! Dopo due ore si arrivò a Chilivani, dove avevamo 30 minuti di fermata. Tutti i passeg- gieri si precipitarono nel Ristorante di Moraccini, che il proprietario aveva illuminato a palloncini, e decorato con deliziosi festoni di frasche, con bandiere, e che so io. Si mangiò, si bevette, si fè nuovo chiasso, si pagò bene, e si uscì contenti, dopo aver reso contento il fortunato albergatore. A Macomer altra illuminazione, frasche, fiori e bandiere come sopra – col relativo chiasso, reso più sensibile dalle libazioni continue. Alle 6 e mezzo ant. del giorno 22 entrammo trionfanti nella Stazione di Oristano, che pur essa era stata per la circostanza vestita a festa con bandiere, frasche, palloncini, e … detti.

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