Autunno fredda è la tua voce
46 il coniglio dall’orecchio mozzo. Sei ancora, bambina, in quella stanza e hai scordato il colore degli occhi di tua madre. Trasali al profumo di un sigaro credendo di vedere, gigantesco, tra i battenti affumicati tuo padre col largo sorriso sopra i denti gialli di cavallo Infanzia. Fatta di mille cose, di tutto e di nulla, che svanisce quando un colore, un suono, un profumo, ti rimandano ad essa perché più amara sia l’oscura percezione della vita, fin dal primo disperato urlo del neonato. Io guardo adesso una baia, fra monti d’ardesia, in un galoppo di groppe di quercioli sotto un cielo bianco e grigio. E rivedo la tua stanza, bambina vestita di scuro, dove l’infanzia si è consumata lasciando nelle crepe dei muri le immagini di un mondo che non ha luce d’alba e tenebra di crepuscolo, che non conosce il sorriso del maligno nella canicola meridiana. Che cosa era prima di quel tempo? È il più bello tra i pensieri
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