Sa Pippia de Maju

- 49  - -  48  - d’ettanta a s’arriu po proi, ca naranta ca proiada, du fadianta su significau po proi e ci d’ettanta a s’arriu! Ci d’ettanta a s’arriu poitta su significau fudi po fai proi. E deu, babbu fui benende de triballai sa dì, e deu fui cun custas picciocheddas andendi a gettai sa Pippia de Maju in s’arriu, m’afferrada e mi giada una carda!" La figlia della Sig.ra, testimonia: “Lo facevano, l’ho vista […] io sono del 54 l’ho vista anche a 7 anni, 6 anni, la facevano […] erano le margherite quelle gialle, la vestivano era una specie di croce fatta con questa cosa qua, si me la ricordo benissimo” Riguardo la punizione subita dalla madre, spiega: "Perchè lei non doveva permettersi di chiedere, lei non aveva bisogno, lei si è accodata alle ragazze che avevano bisogno, loro [la sua famiglia ndr] erano considerati benestanti in paese, quindi lei ha fatto una figuraccia“ 47 Sembra che questi particolari riti di questua celebrati nei paesi dell'Oristanese, siano conformi alle pratiche cerimoniali attestate in diverse regioni d'Europa durante il primo maggio. La simbologia relativa al risveglio della primavera e al buon auspicio della fertilità che rappresentano i rituali de " sa Maimoa " e de sa " Pippia de Maju ", effigi vegetali trasportate cerimonialmente in corteo all'interno del paese, di casa in casa, dalle bambine, consente di riflettere su come anche in Sardegna siano attestati riti di rinnovamento vegetale che possono essere comparati a quelli analizzati precedentemente dagli studiosi citati. 48 49 47 Intervista a Raimon a Obinu e Gilda Murru del 31/07/2019 rilevata da Daniel Meloni e gentilmente forni- ta a chi scrive. Trad. Lett.: "Il primo giorno di maggio andavamo in campagna e prendevamo questo caraganzu e face- vamo una bambolina, ma se ne facevano tante eravamo tante ragazzine e la vestivamo, le mettevamo un grembiulino, il vestito non era nemmeno [chissà ché ndr] e una cuffietta e passavano le poverette, a me mio padre diede anche una punizione perché andai con le ragazzine! Le poverette passavano in giro e si davano fave cotte, si davano ceci cotti, quello che si aveva, andavano di casa in casa, erano molte le ragazzine, non è che fosse solo una comitiva, per esempio quattro cinque ragazzini, ne portavano una e andavano in giro per il paese, a chiedere e dicevano «a sa Pippia ‘e Maju!», e le persone lo sapevano era una moda [un’usanza ndr] che c’era e gli si dava qualcosa da mangiare, raccoglievano tutto poverine, perché erano povere capito? [quanto era grande questa pippia? ndr] grandetta, era grande la portavamo in spalla […] e poi lo sai cosa facevano? Alla fine, nel pomeriggio dopo la raccolta la portavano al ruscello e ce la buttavano nel ruscello per piovere, perché dicevano che [così facendo ndr] sarebbe piovuto, lo facevano per il significato per far piovere e ce la buttavano nel ruscello. E io, babbo stava rientrando da lavoro il giorno, e io ero con queste ragazzine andando a buttare sa Pippia de Maju nel ruscello, mi prende e me le ha date di santa ragione!”. 48 A Ghilarza e Aidomaggiore su maimone invece assume un altro tipo di significato, diverse sono le fattezze e diverso è il motivo per il quale si prepara, veniva infatti confezionato, per dare vita a un rituale per impetrare la pioggia per le sementi che pativano la siccità, riporta il Ferraro: “A Ghilarza quando i seminati “su laore” cominciano a sentire la siccità, (sa siccagna) i ragaz- zi fanno una barella di rami, di ferula o di grossi fusti d’erba, li ricoprono con foglie di squil- la (chibudda marina) o di altre erbe e la portano in trionfo di casa in casa gridando: «Maimone Maimone, abba chere’ su laore, abba chere’ su siccau, Maimone llàu llàu». Dagli usci delle case da- vanti alle quali passa la barella gettano acqua sull’erba verde della stessa ” (FERRARO 1892: 59-60) Per Aidomaggiore invece abbiamo delle testimonianze più recenti: veniva costruita una sorta di gran- de ghirlanda di pervinca, sostenuta da canne che i ragazzi portavano in corteo, per tutto il paese, qui le padrone di casa gettavano sulla ghirlanda di pervinche acqua a volontà; anche qui veniva recitata la formula attestata dal Ferraro (Intervista a M.M. Del 16/12/2013). 49 G. Pau, nell’articolo “ Sa Pippia de Maju : luce su un mistero”, L’Unione Sarda, 30-III-1984, p.3 Scrive Quello che risulta da questi esempi di rito è che lo spirito della vegetazione (come lo intende Frazer), o meglio la potenza della vegetazione (come la intende Eliade) e quindi l’atto del risveglio vegetale , viene portato all’interno del villaggio e della comunità in modo esplicito, per consentire alla collettività stessa di parteciparvi. di una testimonianza fornitagli da “Peppino Manca di Cabras” il quale avendo avuto un colloquio con un’anziana signora di Cabras “zia Anna Lepori” venne a conoscenza di una tradizione celebrata a Ca- bras per il 1° maggio, riguardante una “ pippia ” fatta di “ coreganzu ” e trasportata cerimonialmente in corteo per il paese, presso le abitazioni dove veniva aspersa d’acqua. In cambio le bambine riceveva- no dei doni alimentari. Il dialogo che viene riportato nell’articolo, è chiaramente modificato da chi lo aveva trascritto, deducibile dalla terminologia utilizzata non confacente a un’anziana signora del luo- go, questo purtroppo non consente a distanza di tempo, di poter effettuare un’analisi critica sulla te- stimonianza che per altro, allo stato attuale della ricerca, pare dispersa nella sua forma originale. Tale rito, se esistito veramente a Cabras, altro non è che la cerimonia primaverile celebrata con l'iter rituale delle questue infantili praticata anche a Riola per " sa Maimoa " e a Siamanna per " sa Pippia de Maju ". Attraverso una preliminare indagine sul campo svolta a Cabras, gli informatori, (un piccolo campio- ne rappresentativo di persone tra i 60 e gli 85 anni) affermano di non aver mai sentito parlare di una pratica simile. È inoltre risultato impossibile individuare parenti ancora in vita del Sig. Manca che potessero forni- re informazioni riguardo alle sue conoscenze. Il campione di informatori trattato, testimonia invece un’altra pratica che svolgeva un uomo di Cabras chiamata forse “ Pippia de Maju ”; una mascherata che si svolgeva la domenica o il martedì di Carnevale. Il Sig. “Querinu” munito di bicicletta, trasportava con sé, per le vie del paese, una bambola di pezza, conciata alla bell’e meglio, con la faccia dipinta; il trasporto avveniva cerimoniosamente, recitando una sceneggiata, e cantando delle canzoni, durante la messa in scena, la pupattola, veniva percos- sa ripetutamente, mimandone tra l’altro il pianto. Così spiegano gli informatori durante l’intervista: (Intervista a I.F, I.F, E.F, S.F. Del 30/05/2014) “Quest’uomo cantava la canzone per addormentarla, in bicicletta, passava nelle case più distinte perché gli davano qualche cosa. [come si chiamava que- sta bambola? Ndr] “sa Pippia de Maju! Non si sa perché! Issu da iscudiada, [ Trad. : lui la picchiava] e questo noi da ragazzine ci ricordavamo, «alla bessende tziu Querinu!» A bortasa du timmeiaus puru! [ Trad. : Guarda! Sta uscendo zio Querino, a volte ne avevamo anche paura!] passava con una biciclet- ta, ma aveva tanto di carta colorata di straccetti, aveva una cassetta e passava nelle case di Cabras, e diceva [alla bambola ndr] «cittudidda!» [ Trad. : Stai zitta!] la picchiava! Faceva scena! Era un artista diciamo, recitava...ma cosa diceva? Passava per Carnevale, “Pippia de Maju” gliel’aveva messo lui così! Ma passava per Carnevale, era fatta di stoffa fudi maba! Pariada una fattura pariada! Pottada sa conca manna manna aicci [ Trad. : era brutta! Sembrava una fattura! Aveva la testa grande così!] […] deo m’arregodo ca pottada canna [ Trad. : io mi ricordo che aveva canna] […] «da scudiada» [ Trad. : la picchiava] [di cosa era fatta? Ndr] «de zappulu» [ Trad. : di stracci] la faccia e la testa era colorata. Al- lora la gente nei giorni di festa si sedevano nelle strade e quindi lui si fermava con questa bicicletta, e la bambina e faceva il suo spettacolo, tutti gli davano una cosettina, passava o domenica o marte- dì [di Carnevale ndr] passava di sera, «tottu s’arruga in foras» [ Trad. : tutto il vicinato fuori] [e questa bambola poi che fine faceva? ndr] «eh chi lo sa!» era una scena che faceva per Carnevale! Voleva soldi, voleva da mangiare si narada [ Trad. : si chiamava] “Pippia de Maju” faceva ridere a tutti, almeno più di 50 anni fa […] [prima di lui era stata fatta da qualcun altro? Ndr] no, no Pippias de Maju fattas de attra zente no, [ Trad. : no, no Pippias de Maju fatte da altra gente no] poi non lo ha più fatto nessuno! […] secondo me lo faceva per suo tornaconto […] lui non si mascherava, prendeva la bicicletta...e da scudiada, [ Trad. : la picchiava] e piangeva [la bambola ndr] e cantada [ Trad. : e cantava] […] “Pippia de Maju” [questo termine con il quale definiva questa bambola ndr] sicuramente Querinu l’ha copiato!” Altre informatrici più giovani di Cabras testimoniano invece riguardo questa messa in scena praticata dal Sig. Querinu: (Intervista a R.S. e R.S. del 5/06/2018) “Cantava per avere qualche soldino, offerte che venino messe dove setacciava la farina. Setacciava la farina per finta con su carrigu [ Trad. Lett .: cesta ndr] , sopra un supporto per su sadazzu [ Trad. Lett. : setaccio per farina]. Con sè aveva una bambola di pezza seduta vicino a lui per terra. Lui con questa scenetta cantava una canzone, e riferendosi alla bambola diceva che era una marziana scesa dalla luna. Cantava canzoni in rima in sardo inventan- dole sul momento. Delle volte andava in giro con la bicicletta allestita con carta colorata e girandole, in questo caso la bambola di pezza stava seduta sulla bici, lui andava a piedi e cantava, la chiamava “sa marziana””.

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