Sa Pippia de Maju
- 31 - - 30 - Il simbolo è un segno il cui contenuto, complesso, articolato, mai completa- mente afferrabile, sovrasta l’espressione, un segno in cui il senso sovrabbon- da e risulta per tanto irriducibile a modelli formali. Traboccando al di fuori di ogni metafora e analogia ha il potere di evocare delle realtà altrimenti indicibili e inafferrabili. […] Amplia i confini della coscienza e rende, dun- que, possibile un’esperienza totale della realtà. Suscettibile di rivelare una modalità del reale non evidente sul piano dell’esperienza, è mediante esso che viene attribuito un nuovo e profondo significato all’esistenza, quindi l’accesso al sacro (BUTTITTA 2008: 19) Va precisato che i simboli […] sono segni che in rapporto ai sistemi ideologici e alle pratiche culturali delle diverse società storicamente date, vengono ad assumere funzione simbolica. Immagini apparentemente analoghe, inoltre, possono essere portatrici di significati differenti, anche divergenti, in diversi contesti. È, tuttavia, non questionabile che alcuni simboli si presentino con significato analogo anche presso culture assai distanti sia nel tempo che nello spazio, quasi fossero realmente prodotti naturali e spontanei (BUTTITTA 2008: 23) Esistono quindi simboli che possono essere interpretati come Universali, tra questi, nella nutrita letteratura a riguardo 14 , , viene individuato l’”Albero Universale”, al quale “corrispondo o i più svariati sistemi segnici e, al contrario, sist mi segnici diversi e del tutto indipendenti fungono da piano di espressione di questa immagine; i complessi segnici di cui è parte integrante l’“albero”, sorgono praticamente ovunque e nelle epoche più diverse” (BUTTITTA 2008: 23) Riguardo la presenza degli stessi simboli presso culture distanti nel tempo e nello spazio, anche mai entrate in contatto, c’è intanto da considerare che il rapporto tra dimensione simbolica e dimensione economica è più stretto di quanto non appaia. Pur nella apparente diversità delle situazioni, una parte consistente dell’umanità per millenni è vissuta principalmente grazie allo sfruttamento della terra sia in forma di coltivazione che di pascolo. Di necessità i cicli biologici di un numero incalcolabile di uomini sono stati legati indissolubilmente a quelli delle stagioni. È in rapporto a questa comune dimensione agricolo-pastorale, a questo “macrocontesto” omogeneo, che va esaminato l’isomorfismo di certi prodotti simbolici. Taluni simboli, dunque, sembrano possedere carattere di “universalità”, anche indipendentemente dai singoli contesti storici. Questo fatto è probabilmente da riferire alla loro matrice esperienziale, se non a quella che gli illuministi chiamavano “identità della natura umana”. Se è vero che la struttura della mente è identica in tutti gli uomini ed eguali sono le sue procedure percettive e di elaborazione concettuale, allora a fronte di analoghe esperienze, se si vuole anche emotive, è possibile il formarsi di analoghe immagini, per il condensarsi intorno allo stesso segno di analoghi frammenti di senso. Il fuoco, l’albero, l’uovo, l’acqua, sono esempi evidenti di 14 Buttitta (2008: 23) si riferisce esemplarmente a Toporov (1973). come alcuni momenti esperienziali nella loro concettualizzazione culturale, pur sempre soggetta alla deriva della storia, possono sfuggire al naufragio del senso, mantenendo costante e inalterato il loro valore simbolico. (BUTTITTA 2008: 25-7) L’“Albero” quindi è uno di questi sistemi simbolici universali. Perciò in contesti culturali completamente distanti e differenti tra loro, per luogo o epoca storica, si possono manifestare riti che esprimono uguali apparati simbolici fondati sulle medesime percezioni di base. Nel testo “Continuità delle forme e mutamento dei sensi” , Ignazio E. Buttitta elabora un’interessante riflessione sulla comparazione di forme rituali appartenenti alla storia antica con le tradizioni popolari contemporanee e quindi sulla possibile continuitàdi queste forme rituali “preistoriche” (chediventerebbero “sopravvivenze” della storia antica) nei sistemi rituali contemporanei. Nelle società antiche e tradizionali sono, soprattutto i ritmi produttivi e riproduttivi che, segnando la fine e l’inizio di specifiche fasi dei cicli vitali e mettendo annualmente in crisi la continuità del cosmos naturale e sociale, rappresentano la fine e l’inizio di segmenti temporali qualitativamente diversi organizzando i ritmi della vita civile e religiosa istituzionalizzati nei calendari cerimoniali (BUTTITTA 2013: 41-2) 15 Ricordiamo infatti che la concezione delle società arcaiche è circolare, come scrive Antonino Buttitta: Il te po circolare è quello degli dei, del mito, del rito della fiaba: un te po che itera progressioni, una dimensione dove si confondono e si consumano annualmente, per annullare rigenerarsi, il presente, il passato il futuro. Il tempo lineare è invece quello della storia, della successione di vite e di eventi irripetibili, dunque solo celebrabili. Il tempo circolare, in sostanza, garantisce la permanenza della vita, quello lineare è una corsa inarrestabile verso il consumo e la morte (BUTTITTA A. 1996: 49-50) I calendari sono prodotti culturali che esprimono esigenze di tipo economico e socio-politico relative a scadenze stagionali o alle attività produttive: “ nelle culture agricole e pastorali, ve la vita stessa delle comunità dipende dalla quantità e qualità del racc lto, dal benessere e alla fecondità degli armenti questo fatto si manifesta con particolare evidenza“ (BUTTITTA 2006: 28) 15 Legata al corso della natura la concezione del tempo delle società arcaiche è circolare. Essa è percepi- ta “come una successione di eventi all’interno di un ciclo sempre uguale a sé stesso”. Non una succes- sione meccanica, un ribadirsi immutabile e sicuro, ma un susseguirsi di eventi sottoposto al rischio della fine. Ecco la necessita del rito e del suo annuale reiterarsi per riprodurre e garantire il ripetersi del tempo. In questo orizzonte cerimoniale particolarmente importanza hanno perciò il primo germoglia- re del grano, prova dello scorrere normale del ciclo temporale, evidenza della rinascita della vita, e la raccolta delle messi, garanzia di nutrimento per il periodo di morte vegetale. Questa radicata religione della terra si adegua al variare del pantheon e dei sistemi religiosi fino all’avvento del cristianesimo. Neanche la fede nel Salvatore, che questo culto implode e sublima, riesce a soppiantare arcaici culti, tradizioni e credenze. Può soltanto incarnarli in una visione “cristianizzata” o respingerli come diabo- lici (BUTTITTA 2002: 37-8)
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