Sa Pippia de Maju
- 29 - - 28 - Portare cerimonialmente in processione un ramo verde, unmazzo di fiori o un albero, significa portare tra la comunità la Primavera; esibire il simbolo della rinascita vegetale, la benedizione di un “nuovo inizio” della rinascita della natura e quindi la possibilità di intraprendere un nuovo tempo, che va anzitutto propiziato con il rito. L’autore sostiene che nelle cerimonie popolari celebrate per propiziare l’arrivo della Primavera emerge sempre una nota comune, ovvero: La cel brazione di un avve imento cosmico (Primavera o Estate) mediante la manipolazione di un simbolo della vegetazione. Si mostra un albero, un fiore, un animale, si orna e si porta in giro ritualmente un albero, un pezzo di legno, un uomo vestito di frasche o un’effigie; talvolta avvengono lotte, gare, scene drammatiche attinenti a una morte e una resurrezione. La vita dell’intero gruppo umano si concentra, per un momento, in un albero o in un’effigie vegetale, semplice simbolo destinato a rappresentare e benedire un avvenimento cosmico: la primavera. É come se la collettività umana fosse incapace di manifestare la sua gioia e di collaborare all’instaurazione della primavera su un piano, oggettivamente parlando, più vasto, abbracciante la Natura intera. La sua gioia, e anche il fatto di collaborare alla vittoria definitiva della vita vegetativa, si limita a un microcosmo: un ramo, un albero, un’effigie un personaggio mascherato (ELIADE 1999: 296) Come sostiene l’autore, con l’attuazione del rito, si manifesta il simbolo. Uno o più personaggi che trasportano cerimonialmente un’effigie costituita da un albero, un mazzo di fiori o erbe, un ramo decorato o un uomo completamente coperto di frasche, fungono da tramite e in questa specifica prassi viene stimolato (nella comunità che agisce e subisce il rito) quel sentimento del sacro che concentra l’avvenimento cosmico della rigenerazione della Natura, ma anche dello stesso tempo comunitario, nel simbolo vegetale. É quindi attraverso questa manifestazione del sacro che viene evocato l’avvenimento della rigenerazione, l’elemento vegetale non viene esaltato in quanto tale, ma in relazione a ciò che rappresenta: “ Un solo oggetto o simbolo indica la presenza della Natura. Non si tratta dunque di un sentimento panteistico, simpatia o adorazione della natura, ma di un sentimento provocato dalla presenza del simbolo (ramo, albero ecc.) e stimolato dall’attuazione del rito (processioni, lotte, gare ecc.)” (ELIADE 1999: 11). É la potenza della vegetazione che viene evocata e riconosciuta, questi cerimoniali infatti si fondano su “un’intuizione globale del sacro biocosmico, che si manifesta a tutti i livelli della vita, si accresce, si esaurisce e si rigenera periodicamente. Le personificazioni di questa sacralità biocosmica sono polimorfe, diremmo quasi provvisorie. Un «genio» della vegetazione appare talvolta per creazione mitica, vive, si diffonde, per poi scomparire. Quel che resta, quel che è primario e permanente, è il «potere» della vegetazione, sentito e riconosciuto con eguale efficacia in un ramo, in un’effigie o in una personificazione mitica” (ELIADE 1999: 296). Secondo Eliade quindi, durante la celebrazione dei riti vegetali non si attua l’adorazione di un albero, di un ramo, di un fiore, come elementi divini e dotati di spirito o anima propria ma si celebra ciò che questi simboli rappresentano e manifestano, ovvero la rinascita della potenza della vegetazione e di un nuovo tempo per la comunità, un nuovo principio. I.2 Segni e Simboli Universali Ignazio E. Buttitta, Antropologo e professore ordinario di Etnologia e Storia delle Tradizioni Popolari presso l’Università degli Studi di Palermo, nei suoi numerosi studi ha dedicato particolare attenzione all’analisi di vari contesti socioculturali dell’area Euro-Mediterranea e nello specifico del Meridione d’Italia. Ha concentrato diverse ricerche etnografiche sull’importanza del simbolismo rituale di specifiche tradizioni popolari, nelle quali si impiegano elementi rituali vegetali che implicano l’importanza del rinnovamento del tempo comunitario e l’indispensabile necessità di impetrare la rigenerazione della natura. È fondamentale, innanzitutto, comprendere come per l’Uomo sia stato essenziale accedere alla “sfera del sacro” per poter interpretare la sua esistenza e il suo “esserci” nel mondo, per spiegare ciò che lo circondava e capire l’angoscia che provava di fronte ai fenomeni naturali e della propria vita. L’analisi del simbolismo sacro in relazione a questi argomenti ben si evidenzia negli studi elaborati dal Prof. Buttitta in “Verità e Menzogna dei Simboli” nel quale scrive: Non si vive di solo pane: nella sua evidenza questo fatto segnala la cogente e tutta umana esigenza di trascendere la matericità per riempire di senso la propria esistenza. Un’esigenza antica e attuale che si radica nel mistero della vita e della morte. [...] Nutrizione, riproduzione e conservazione della vita individuale, in quanto garanzia della vita collettiva, sono stati per millenni gli obiettivi primi perseguiti dall’uomo. Per il loro raggiungimento egli ha sempre considerato imprescindibile un continuo rapporto con le entità immateriali che popolano e governano il mondo. L’uomo aveva coscienza che la sua esistenza era legata a una molteplicità di fattori che sfuggono al suo controllo. La capacità di generare, la malattia, l’accidente, la selvaggina e i frutti della terra, la fortuna nella caccia e nella guerra, le stagioni buone e cattive, i terremoti, le alluvioni e quant’altro “arrivavano”, da forze e luoghi invisibili. Da questa consapevolezza si costituisce in tempore primævo la sfera del sacro. (BUTTITTA 2008: 11) 13 Quest’ultima viene a costituirsi attraverso un insieme di simboli polisemici che non possono essere costretti a precise classificazioni di forma in quanto: “ Quando si parla di simboli si è portati, in genere, a pensare a prodotti figurativi. In realtà la dimensione simbolica occupa l’intero campo della espressività dunque della comunicazione” (BUTTITTA 2008: 15). Ogni cultura, con la pratica del rito celebra i propri simboli, significati astratti che attraverso l’azione rituale diventano manifesti e quindi intellegibili dalla comunità. 13 C’è stato un momento in cui l’uomo ha schiuso gl occh alla percezio e del mondo, el ’ ltro diverso da sé, riconoscendosi come creatura distinta e speciale, non solo capace di manipolare tecnicamen- te il reale, ma di spiegarlo e gestirlo intellettualmente. L’uomo guadagnò così una forma superiore di consapevolezza della realtà che lo pose innanzi al mistero dei fenomeni, alle forze ignote e imprevedi- bili contro le quali andavano garantite la sua stessa esistenza e quella della specie. Solo nell’universo dei simboli le sue inquietudini e le sue incertezze potevano trovare risposta. L’ominide primitivo, ormai Homo Erectus, era dunque già Homo symbolicus, un essere che non percepiva passivamente i feno- meni che lo circondavano e lo angosciavano (BUTTITTA 2008: 12)
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