Sa Pippia de Maju

- 27  - -  26  - b) l’albero- immagine del Cosmo (India; Mesopotamia; Scandinavia ecc.); c) l’albero- teofania cosmica (Mesopotamia; India; Egeo); d) l’albero- simbolo della vita, della fecondità inesauribile, dell’assoluta realtà, in relazione con la Grande Dea o col simbolismo acquatico ad esempio (Yakşa); identificato con la fonte dell’immortalità (Albero della Vita) ecc. e) l’albero- centro del mondo e sostegno dell’universo (presso gli Altaici, gli Scandinavi) ecc. f) relazioni mistiche fra alberi e uomini (alberi antropogeni; l’albero come ricettacolo delle anime degli antenati; matrimonio degli alberi, presenza dell’albero nelle cerimonie di iniziazione ecc.); g) l’albero- simbolo della resurrezione della vegetazione, della primavera e della «rigenerazione» dell’anno ad esempio («Il maggio» ecc.) 11 . Interessante per questo lavoro di indagine risulta il gruppo simbolico relativo ai riti del Maggio . Specifici gesti, ruoli o compiti interpretati dall’uomo durante determinati riti vegetali, sono da leggere come espliciti atti propiziatori celebrati per ingraziare la rigenerazione della natura e l’arrivo della primavera, questi stessi elementi sono riscontrabili nei culti del Maggio praticati durante il ciclo che va da Carnevale a San Giovanni (VANN GENNEP 1946), in tutta Europa: “dalla Scozia alla Svezia, fino ai Pirenei e i paesi Slavi, il Maggio da occasione a divertimenti collettivi” questi ultimi, conservano nelle tradizioni popolari europee “ quei complessi drammatici arcaici con cui si affrettava l’arrivo della primavera ornando un albero e portandolo ceri onialmente in corteo” (ELIADE 1999: 284). L’importante, non è soltanto la manifestazione della forza vegetativa, ma il tempo in cui si attua. Comincia una tappa nuova, cioè si ripete l’atto iniziale, mitico, della rigenerazione. Per questo ritroviamo il cerimoniale della vegetazione –in regioni ed epoche diverse- celebrato fra il Carnevale e il giorno di San Giovanni. Non fu la comparsa reale della primavera a creare il rituale della vegetazione; non si tratta di «religione naturalistica», ma di uno scenario cerimoniale che si è adattato, secondo le circostanze, alle diverse date del calendario. Questo scenario ha conservato dappertutto la struttura iniziale; è una commemorazione (cioè una ritualizzazione) dell’atto primordiale della rigenerazione (ELIADE 1999: 296-97) Non deve quindi stupire che il Maggio venga celebrato in date calendariali differenti, questo perché la primavera non si manifesta ovunque nello stesso momento: A seconda delle caratteristiche climatiche e ambientali dei diversi luoghi, il risveglio della Natura subisce slittamenti; non sempre il Maggio si celebrerà in tutte le regioni e in tutte le culture con le medesime modalità o la stessa scadenza temporale, in alcuni luoghi potrà manifestarsi nei primi mesi dell’anno, in altre anche ben oltre il mese di Maggio. Bisognerà quindi interpretare il Maggio con una visione più ampia e completa, poiché, non rappresenta in modo esclusivo un rito legato necessariamente 11 (ELIADE 1999: 240-241) al mese omonimo, come suggerisce il termine, ma sta a indicare in generale riti e cerimonie di Primavera. Mircea Eliade tentando di dare una spiegazione alle ierofanie vegetali afferma che i documenti presenti in merito sono assolutamente eterogenei, trattandosi di scritti o frammenti provenienti da “sacerdoti, iniziati, dalle masse, gli uni presentando soltanto allusioni, frammenti e dicerie, gli altri, testi originali ecc...” ma precisa che le ierofanie vegetali “(cioè il sacro rivelato per mezzo della vegetazione) si ritrovano tanto nei simboli (Albero Cosmico) o nei miti metafisici (Albero della Vita), quanto nei riti popolari (la «Passeggiata del Maggio», la combustione del ciocco, i riti agrari)”. Tuttavia analizzando questi documenti è possibile individuare quei tratti comuni che creano un insieme coerente relativo alla sacralità della Natura presente in tutte le ierofanie. Quindi si osserverà che: Certe ierofanie non sono abbastanza «aperte», sono quasi «criptiche», nel senso che rivelano soltanto in parte e in modo più o meno cifrato la sacralità incorporata o simboleggiata dalla vegetazione, mentre altre ierofanie realmente «faniche» lasciano trasparire, nel loro insieme, le modalità del sacro. Per esempio, potremmo considerare come ierofania criptica, non sufficientemente «aperta», o «locale», l’usanza di portare in giro cerimonialmente un ramo verde all’inizio della primavera; e come ierofania «trasparente» il simbolo dell’Albero Cosmico. Ma l’una e l’altra rivelano la stessa modalità del sacro incorporato nella vegetazione: la rigenerazione ritmica, la vita inesauribile concentrata nella vegetazione, la realtà manifestata in una creazione periodica. Il fatto da porre in rilievo è che tutte le ierofanie conducono a un sistema di affermazioni coerenti, a una teoria della sacralità vegetale, e che questa teoria è implicita nelle ierofanie insufficientemente «aperte» non meno che nelle altre (ELIADE 1999: 10-11) Si intuisce allora come il Maggio possa presentarsi sotto molteplici forme, più o meno “aperte” e “esplicite” o “chiuse” e “implicite”, ma che fondamentalmente i riti collegati a questa ierofania rappresentano sempre il medesimo significato, ovvero quello della rigenerazione vegetale e della fecondità 12 . Nelle feste della vegetazione, quali si sono conservate nelle tradizioni europee, non è soltanto l’esposizione cerimoniale di un albero, ma anche la benedizione di un anno nuovo che incomincia. […] Le modificazioni subìte dal calendario nel tempo nascono talvolta in parte a quell’elemento di rigenerazione, di «nuovo principio» che scopriamo in numerose usanze primaverili. Ma è intuitivo che la comparsa della vegetazione rivela una nuova tappa del tempo; la vita vegetativa rinasce ogni primavera, «ricomincia» (ELIADE 1999: 290) 12 L’intelligenza di una ierofania non è ostacolata né dall’eterogeneità storica dei documenti (alcuni dei quali provengono da élites religiose, altri da masse incolte, gli uni frutto di civiltà raffinate, gli altri cre- azioni di società primitive ecc.), né dalla loro eterogeneità strutturale (miti, riti, forme divine, supersti- zioni ecc.) Nonostante le difficoltà pratiche, questa eterogeneità è anzi la sola cosa capace di rivelarci tutte le modalità del sacro, perché un simbolo o un mito lasciano trasparire nettamente le modalità che un rito non può manifestare, che nel rito sono soltanto implicite (ELIADE 1999: 11)

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