La Sartiglia
92 Se è Carnevale, viva le pariglie. Nel senso buono, il circo della Sartiglia. Ciò che forse attrae maggiormente i turisti. Acrobazia, capacità, coraggio. Non c’è nulla in palio, è pura dimostrazione: qualcosa di simile all’artista che si libra in volo senza rete. Lo si capisce dall’attesa, dal brusio febbrile prima che i cavalieri sbuchino dal piccolo tunnel che si collega a via Mazzini. E ogni anno, è lo stesso stupore per i colori, per quel mare di pieghe, coccarde, rosette che si agita al galoppo. Per l’energia che si scatena fra bestie e uomini. L’immagine dei tre cavalieri – si comincia con la pariglia de su Componidori – che sfrecciano in una coreografia spericolata è sempre in cima ai titoli di testa e di coda della Sartiglia. Se teatro deve essere, assistiamo alla scena madre, con i due cavalieri a lato che reggono quello al centro lanciato in movimenti impressionanti. La piramide è come il salto mortale. Calcolando il punto di massimo giubilo della folla, forse siamo nel momento esatto. Per qualcuno è solo una parentesi. Un’invenzione ottocentesca che gli studiosi liquidano, magari sprezzantemente, come una concessione fin troppo popolare allo spettacolo. Non aggiunge niente alla vena di sacro e, soprattutto, al senso del rito atavico. Eppure si parlava di venti, trenta “parejas” nelle cronache del 1722 per celebrare le nozze di Carlo Emanuele di Savoia con la principessa Anna Cristina Luisa Palatina di Sultzbach. Festa grande. E d’altra parte si racconta che una volta i nobili andavano a caccia della stella e il popolo si divertiva con le acrobazie. Si discute, insomma, perché la Sartiglia è anche un fertile terreno di studi. Comunque sia, è la storia a dire l’ultima parola. A imporre i cambiamenti e a sancire i gusti. E chi vuole può vederla in questo modo: una festa nella festa. Il ringraziamento del coraggio dopo la conquista della stella. C’è qualcosa di sacro anche in questo.
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