La Sartiglia
82 Prima di tutto c’è il silenzio. Sono cronache discrete, spesso familiari, quelle che raccontano come nascono le stoffe e i colori della Sartiglia: Non parole o suoni, ma mani di donne che toccano delicatamente i nastri di raso. Fruscii, gesti lenti e accurati, che cominciano a settembre. È un’altra festa, intimamente solenne. Sbocciano come fiori le settanta rosette che barderanno il cavallo. E intanto i panieri si riempiono degli abiti che vestiranno su Componidori. Una specie di magia, affidata al lavoro femminile, eredità irrinunciabile di una società che non dimentica la Dea madre. Quei gesti si ripetono nella vestizione: le dita delle donne passano i fili, posano sull’uomo prescelto la camicia, il velo bianco, legano le maniche, appuntano la camelia, fasciano il volto che accoglierà la maschera. Non a caso su Componidori è una figura androgina, oltre i generi. Fin dalle origini. E non è un caso che a guidare la cerimonia sia sa Massaia manna. Orienta i movimenti, con comandi leggeri, detta il ritmo immutabile che porta alla metamorfosi. Ecco, i ritmi. Dopo quello del silenzio c’è il ritmo che riempie i due giorni del Carnevale: i suoni. I soffi vitali della Sartiglia si mescolano fin dal primo istante. Ciò che era intimo diventa pubblico: l’opera discreta, prima della folla, è annunciata, accompagnata, esaltata dalle trombe e dai tamburi. Il sacro e lo spettacolo, riassunti in un protagonista ma raccontati da una comunità. Negli occhi il galoppo, la stella che oscilla, le pariglie spericolate, nelle orecchie le note incessanti. Una volta erano squilli di avvertimento sulla pista della corsa, questione di sicurezza, oggi è una delle tante anime della giostra. Si guarda quel corteo di musicanti e forse si ignora che ogni passaggio sonoro è uno studio. È tradizione: passi e rullate con nomi e momenti esatti. Dall’“attenti e ritorno”, triplice squillo che anticipa la posa della maschera, a “su passu de su Componidori”, quando le donne hanno finito la vestizione e l’eccezionalità va in scena.
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