La Sartiglia
46 Quelle maschere hanno qualcosa di infantile. O comunque di puro, innocente. E persino di malinconico. L’una, del Gremio dei contadini, ha il colore della terra. L’altra, del Gremio dei falegnami, è pallida. Siano di cera o di legno, nascondono al pubblico l’uomo che è diventato Dio. Solo lo sguardo balena dalle fessure. Ma per tutti, nello stesso tempo, è una rivelazione. Su Componidori è in groppa al cavallo, che per un giorno sarà parte del suo corpo: la maschera ne fissa l’essenza ultra-umana, spiccando sul candore del velo ricamato che gli copre il petto. Quando esce dalla sala della vestizione, viene affiancato dai suoi due aiutanti, il segundu e terzu cumponi. Attorno gli altri cavalieri. E poi la folla. È la festa che esce dall’intimo e scopre lo spazio aperto, la sfida, il gioco. Il corteo che raggiungerà il sagrato della Cattedrale è ciò che riempie gli occhi, è l’unione fra su Componidori, la divinità, e il popolo, la città. L’istante prolungato e radioso che annuncia la scommessa della prosperità. Non ci sono colori sfuggenti. I costumi, le bardature dei cavalli, tutto ciò che la tradizione impone, ricordano giardini fioriti in primavera. Una ricchezza che si rinnova e sembra evocare la ricchezza del raccolto, la buona fortuna. E non a caso su Componidori, sacerdote sacro e laico, benedice a più riprese chi gli sta attorno e le moltitudini oltre le transenne. Lo farà anche dopo la gara, impugnando con la mano destra sa “pippia de maiu”, una sorta di scettro di viole mammole unite dalla pervinca. Perché la regalità sia perfetta. E così la solennità del rito celebra la stagione, l’amore, la fertilità.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy MjA4MDQ=