La Sartiglia

104 È bello il racconto di una “Massaia manna”. Quando su Componidori, al galoppo, ha benedetto la folla per l’ultima volta, tutto sembra finito. In quel momento, apparentemente malinconico, nella sala del Gremio regna il silenzio. Poche ombre lasciate dal crepuscolo, qualche custode si muove con delicatezza, i fruscii sembrano amplificarsi negli spazi vuoti. A poco a poco i rumori crescono, prima attutiti poi appena più forti. Così accade quando gli invitati a un ricevimento si avvicinano alla porta. E così è nell’ultima parte della Sartiglia. Chi ha corso, chi ha suonato, chi ha sudato, torna alla “casa” del Gremio, nella stessa sala dove al mattino è stata creata la divinità. Che ancora non può toccare terra, che ora deve essere svestita. Provvedono le stesse “massaieddas”. Non è solo un dettaglio necessario. Chi per un giorno è stato eccezionale ora torna alla normalità. Il volto nascosto ricompare ed è facile leggergli la gioia negli occhi. Non è la fine di un prestigio effimero, ma un coronamento affidato alla storia di questo rito. AOristano. Gli altri applaudono, e sono tanti, perché di norma questa è una festa aperta a tutti. E tutti hanno il diritto di ringraziare. Spuntano le zippole, si stappano le bottiglie di vernaccia. Tra poco ci sarà il grande banchetto finale, momento immancabile delle celebrazioni nell’Isola, e più o meno in qualsiasi punto del mondo. In questo caso un altro frammento di sacro profano, un altro anello del rito propiziatorio. Così, si racconta, circola la forza, corre l’energia, e tutto si collega, si incatena. Come in una stella.

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